Il “montismo” resterà, ma il suo nemico è la moltitudine

di Vito Laterza
Pubblicato il 23 Aprile 2012 - 09:51| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Gli italiani sono assediati dalle discussioni da corridoio della politica politicante sulla questione Monti e sul quesito che essa riporta: il professore della Bocconi resterà al governo, eletto o meno, dopo il 2013?

Questo è un dibattito di basso profilo, senza visione né strategia a largo respiro, alimentato da grumi di interessi a breve termine che ignorano le nuove grandi questioni che la geopolitica del terzo millennio mette in campo. Il “montismo”, senza dubbio, rimarrà e si sta sempre più connotando come la forza politica di una nuova maggioranza in linea con l’ordine nuovo della tecnocrazia neoliberale globale.

Che tutto ciò accadesse anche in Italia era prevedibile da tempo. Il vero problema è lo scollamento tra il sistema come viene rappresentato dalle azioni dei leader politici tradizionali – non solo dei partiti, ma anche dei sindacati, delle associazioni di categoria, insomma di tutti i soggetti e le istituzioni che hanno fatto parte della vita repubblicana dal dopoguerra in poi – e le grandi turbolenze ed i cambiamenti radicali che stanno interessando l’economia e la società reale.

Il “montismo” non è di destra né di sinistra, perché appartiene ad un mondo nuovo, dove questi schemi non significano più nulla. Non ha bisogno di essere rappresentativo di un blocco sociale specifico, perché è una forza indipendente e autopropulsiva, allineata con gli attori reali dell’economia, della finanza, dei mercati e della politica, vale a dire coloro che operano dietro la rappresentazione democratica, incidendo e dettando le condizioni, determinando di fatto il prezzo del pane, ma anche i modelli di produzione.

Queste forze non hanno bisogno di rappresentanza politica diretta. Hanno una propria logica indipendente, che va al di là degli interessi consci degli individui, poveri o ricchi che siano. Per comprendere questo nuovo modello bisogna vedere la vita politica ed economica più come un ecosistema di quelli descritti nei documentari sulla natura, piuttosto che come luoghi dove persone assennate si siedono e discutono liberamente e con passione delle possibili soluzioni e bisogni della gente e della vita quotidiana. L’epoca dell’agorà greca o quella della moderna democrazia essenzialmente borghese e liberale, è finita. Il suo esercizio continua solo come farsa nei talk-show televisivi di prima e seconda serata, e, perchè no, anche e soprattutto in Parlamento; ma le decisioni vere, che determinano i movimenti di capitali, persone, idee e tecnologie, si prendono altrove.

Se i partiti e gli altri soggetti della democrazia consociativa repubblicana non sono più in sintonia con i tempi, e persino i massmedia sono troppo legati a questo vecchio sistema per comprendere le dinamiche reali che governano la società, qual è il vero fine del “montismo”? Cosa offre questa tecnocrazia all’Italia, o, se volete, al sistema mondo?

Il “montismo” non è altro che la deriva militante di un sistema capitalistico che cerca di salvare se stesso al di là delle regole della democrazia liberale che per tanto tempo lo hanno rappresentato, almeno in gran parte dell’Occidente e nella sua parte cosiddetta “buona”.

Le argomentazioni sono semplici: il sistema è sull’orlo del collasso, ma può ancora salvarsi. Al fallimento del modello democratico, inadeguato ad affrontare in tempi rapidi i cambiamenti globali, bisogna, quindi, rispondere con soluzioni “neutrali” che ristrutturino questo sistema al di là dei partiti e dei modelli elettorali. Questa tesi non è molto diversa dalla teoria di Bush jr e compagni per combattere il terrorismo dopo l’11 settembre: per salvare la democrazia, dobbiamo metterla in standby, quando si tratta di affrontare il suo vero nemico, cioè il terrorismo, che è multiplo, informe, infido e non può essere contenuto o anche soltanto concepito dal sistema democratico in quanto tale.

Allo stesso modo, il “montismo” chiede una sospensione della democrazia per evitare il “caos”, si dice, che risulterebbe da un collasso del sistema capitalistico odierno. Questo caos è una massa informe di potenziali altre vie – terze, quarte, quinte, millesime… – che nella coscienza del cittadino, ancora imbevuto del dogma della democrazia liberale come ordine costituito e come salvezza dalla barbarie di uno stato di natura, emerge spesso come una chimera, un incubo da evitare a tutti i costi. È proprio su queste paure che il montismo rafforza la sua autorità, offrendosi come unica e necessaria soluzione.

Il vero nemico del modello Monti resta la moltitudine. Le classiche categorie di identità e rappresentanza politica – destra/sinistra – sono tutte in crisi. La politica tradizionale non rappresenta questa massa informe e potenzialmente travolgente di interessi, sentimenti, aspirazioni, movimenti diversi, con tutta una serie di nuove contraddizioni che vanno ben al di là della dialettica marxista-revisionista del rapporto capitale-lavoro o anche in un’ottica più liberale stato-cittadino, potere-individuo. La questione non è formare un nuovo partito, sia esso di Monti, o di un altro Berlusconi, o un Movimento Cinque Stelle, o un nuovo partito dei giovani.

La moltitudine non si fa rappresentare. È una forza che va oltre le intenzioni coscienti dei singoli, si materializza nelle forme più svariate senza che possa essere predeterminata o prevista da uno schema scientifico. Dal Movimento dei Forconi alle contestazioni multi-partisan di Napolitano in Sardegna, la moltitudine non si costituisce mai come partito politico o con una qualsiasi altra manifestazione di intenzioni ed azioni. Non è il Movimento NoTav, ma lo infiltra, così come infiltra la freeconomics delle corporation come Facebook, ma anche i grossi traffici criminali che sostengono le vere forze del nuovo capitalismo, come la mafia e altre forme di grey economy.

La moltitudine è dentro di noi e al di là di noi: si manifesta nelle sommosse metropolitane dell’estate 2011 in Inghilterra, così come tra i contadini siciliani esasperati, o i lavoratori allo stremo che urlano in faccia all’”amico” Santoro così come al “nemico” Belpietro. Si manifesta negli atti estremi, come chi si dà fuoco per disperazione, portando la sua disperazione nell’arena della politica. Si manifesta negli omicidi xenofobi, eppur privi di senso, della scuola di Tolosa o dell’isola di Utoya in Norvegia. Si esprime anche nelle proteste pacifiche che scombinano i piani del montismo, che intralciano l’inesorabile avanzata della tecnocrazia, sia per una linea ferroviaria ad alta velocità sia per una modifica sostanziale dell’art. 18.

I populismi vari – Grillo, Di Pietro, la Fiom, Vendola – nel breve termine riescono a cavalcare l’onda. Con poche frasi ad effetto, per un momento, intenso ma pur sempre destinato a sparire, sembrano cogliere i sentimenti della moltitudine. Ma non li rappresentano. Anch’essi, come la politica tradizionale, sono destinati a tramontare, o sono già tramontati sul nascere, perchè non offrono vere alternative.

Le alternative a Monti noi non le abbiamo ancora concepite. Sono percettibili in potenza all’interno di questi movimenti, di questi guizzi di masse e individui informi. Non sappiamo, però, come articolarle, non abbiamo il linguaggio nè l’istruzione giusta per farlo. E fin quando non riusciremo a comprendere le vere dinamiche non rappresentate, invisibili, che sostengono il sistema reale, la co-esistenza del montismo come ordine costituito con le continue azioni insurrezionali senza direzione precisa, sembra essere il futuro più probabile.

Vito Laterza è ricercatore dottorando in Antropologia Sociale all’Università di Cambridge, vive all’estero dal 2000 e segue le vicende italiane “a distanza”, in un’ottica geopolitica globale. Si occupa principalmente di questioni politiche, economiche e socio-culturali in Africa del Sud (in particolare Sudafrica, Zambia e Swzailand, dove ha svolto ricerca sul campo) ed Europa (Italia e Gran Bretagna).