Volare dopo Germanwings, una questione di testa: cosa fare per aerei più sicuri

di Andrea Castiello D'Antonio*
Pubblicato il 22 Aprile 2015 - 06:18 OLTRE 6 MESI FA
Volare dopo Germanwings, una questione di testa: cosa fare per aerei più sicuri

Volare dopo Germanwings, una questione di testa: cosa fare per aerei più sicuri (LaPresse)

ROMA – Cosa è possibile apprendere dal tragico evento dell’Airbus 320 della Germanwings? Sicuramente molto, e l’occasione non dovrebbe essere trascurata né persa. Nella gestione di piloti e comandanti il primo passo fondamentale è scegliere le persone giuste. Quando, nel 1916, Agostino Gemelli fu incarico dal Comando supremo dell’esercito di occuparsi della selezione dei piloti militari, in collaborazione con Francesco Baracca, dopo aver studiato il ruolo professionale e sperimentato lui stesso la conduzione degli aerei, comprese l’importanza dell’esame psicologico e non solo medico dei candidati, istituendo il Laboratorio di psicofisiologia.

È trascorso un secolo da allora ma non sembra che il suo insegnamento sia stato raccolto. Oggi disponiamo di tre grandi metodologie di valutazione psicologica delle persone che dovrebbero essere utilizzate soprattutto per i ruoli di maggiore responsabilità: il colloquio individuale clinico-organizzativo, i metodi di gruppo, e i test e questionari.

Al fine di comprendere e valutare il candidato pilota è necessario applicare tutti e tre questi metodi, da parte di esaminatori psicologi diversi, al fine di integrare le informazioni e costruire una rappresentazione sufficientemente affidabile del candidato. Ma è necessario svolgere colloqui di psicodiagnosi approfonditi di due-tre ore di tempo, ampliare la gamma dei questionari e dei test psicologici utilizzando anche le tecniche proiettive, e inserire l’assessment in gruppo che, unico, può offrire informazioni su un’ampia gamma di capacità soggettive, non solo di natura relazionale.

Ciò che si deve evitare – ed è ciò che invece sembra oggi costituire la procedura di selezione dei piloti – è affidarsi ad un unico test (il Minnesota Multiphasic Personality Inventory), effettuare il colloquio psicologico solo in rari casi e su indicazione del medico, e ignorare del tutto la valutazione in gruppo. Una volta superata la fase di selezione iniziale l’aspirante pilota dovrebbe essere seguito regolarmente e ciclicamente monitorato dal punto di vista psicologico – cosa che oggi non avviene – . Ciò significa osservarne la condotta durante l’addestramento presso le scuole di volo, ripetere test e colloqui psicologici di monitoraggio, offrire il supporto del counseling psicologico nei casi appropriati.

La figura del tutor psicologo durante l’addestramento sarebbe in questa fase di vita dell’aspirante pilota del tutto indispensabile, ma oggi non esiste. Con l’inizio della carriera di pilota di linea prendono il via i controlli medici annuali. Si tratta, però, di controlli medici nei quali l’aspetto psicologico, esistenziale e di vita organizzativa (perché le compagnie aeree sono a tutti gli effetti organizzazioni di lavoro, cioè aziende) non è preso in considerazione.

Al fine di rendere davvero sicuro il traffico aereo commerciale si dovrebbe predisporre una rete professionale di psicologi e psichiatri che, in veste di counselor, possano essere interpellati nei momenti in cui la persona vive situazioni di difficoltà personale, relazionale ed esistenziale. Questa rete dovrebbe essere messa a disposizione non soltanto di piloti e comandanti, ma anche degli assistenti di volo.

Vi è inoltre una terza categoria che sembra essere del tutto trascurata nell’attuale dibattito che è quella dei controllori del traffico aereo. Si tratta di persone che hanno nelle loro mani la gestione dei cieli e che esplicano un lavoro altamente stressante in cui i livelli di attenzione e concentrazione devono rimanere ai massimi livelli per periodi prolungati di tempo. Cosa si fa per scegliere, formare e supportare adeguatamente questa categoria di professionisti?

Vi sono dunque numerosi spunti che potrebbero oggi essere presi in considerazione al fine di migliorare il mondo del volo e rendere i viaggi aerei più sicuri. È possibile realizzare ciò solo se si supera la dicotomia – e spesso l’incomprensione – tra medici e psicologi, se si assegna la medesima dignità professionale al lavoro dello psicologo clinico rispetto a quello del medico e dello psichiatra, se si costituiscono dei team multi-professionali in cui gli operatori possano davvero integrare le loro conoscenze scientifiche professionali, evitando le lotte di potere per chi deve avere l’ultima parola sull’idoneità di un candidato o di un pilota.

Esiste nel mondo da molti decenni un’area specialistica della psicologia definita Space and Aviation Psychology, cioè psicologia dell’aviazione, in cui psichiatri e psicologi collaborano con lo scopo di studiare ed intervenire su ogni aspetto del volo che abbia un collegamento con il cosiddetto “fattore umano”. Sarebbe utile ed intelligente se ne nostro Paese tale disciplina venisse almeno presa in qualche considerazione da coloro che hanno l’autorità di decidere come impostare i programmi di selezione, formazione e valutazione del personale dell’aria.

Se si vuole seriamente cercare di prevenire altri episodi come quello appena accaduto è necessario ripensare completamente la gestione del personale di volo, dalle prime fasi di selezione fino agli stadi conclusivi della carriera.

*Prof. Andrea Castiello d’Antonio, professore straordinario di Psicologia clinica e del lavoro, Facoltà di Psicologia, Università Europea di Roma. Psicologo clinico e psicoterapeuta. Psicologo del lavoro e delle organizzazioni. Psicologo giuridico e consulente tribunale civile di Roma. www.castiellodantonio.it