Spread a 150. Attento Renzi, con Berlusconi cominciò così…

di Warsamé Dini Casali
Pubblicato il 9 Febbraio 2016 - 13:32| Aggiornato il 10 Febbraio 2016 OLTRE 6 MESI FA
Spread a 150. Attento Renzi, con Berlusconi comincio così...

Spread a 150. Attento Renzi, con Berlusconi comincio così…

ROMA – Spread da 90 a 150 punti in poche notti, volatilità insistita sui mercati, investitori tentati dalla fuga per difendere il “ritorno del capitale” piuttosto che il “ritorno sul capitale”: per cui, invece di investire in azioni di un mercato che si restringe, si preferisce buttarsi sul sicuro dei titoli di Stato americani e soprattutto tedeschi.

Gli esperti spiegano che quella degli investitori è soprattutto una sfida alle banche centrali. “I mercati stanno chiamando il bluff delle banche centrali, per vedere se reagiscono per riportare la calma sui listini oppure no. Ma se gli istituti centrali non rispondono, allora salta il banco, perché vuol dire che il re è nudo” (dal Corriere della Sera).

Siamo dunque alle soglie di una nuova tempesta finanziaria perfetta? E se sì, quali prospettive per un’Italia che se finalmente è governata da un esecutivo non commissariato ed eterodiretto da Europa e banche centrali, continua a mantenere fondamentali economici rischiosi per la tenuta della fiducia? Concetto decisivo ma scivoloso che rappresenta un capitale a rischio erosione specie nella dimensione politica. E’ per questo che, come titola un editoriale di Ugo Magri su La Stampa, “Se lo spread sale, Renzi perde e vincono i gufi”. Il governo Renzi rischia davvero un disastroso dejà vu? Di seguito le criticità di natura economica e di tenuta politica di Matteo Renzi.

1) Spread a 150 punti, l’inizio della fine di Berlusconi. Troppe sono le analogie di uno spread che, sempre a quota 150 punti, sembrava nel 2011 consigliare al massimo un po’ di prudenza convinti che la tempesta ci sfiorasse appena. Poi l’esodo dai titoli periferici, noi compresi, fu il segnale che il Paese era l’oggetto privilegiato di una speculzione finanziaria che finì per portare alle stelle i rendimenti degli interessi sui titoli. Nel 2015 la spesa per interessi sul debito è costata 70 miliardi, solo 5 miliardi in meno del 2014.

2) Crescita, Italia maglia nera negli ultimi 3 anni. Nonostante la piccola ripresa, l’Italia (a parte Grecia e Finlandia) è la maglia nera della crescita negli ultimi tre anni (2014 -0,4% sul Pil, 2015 +0,8%, 2016 +1,4%).

3) Debito pubblico. Senza una crescita sostenuta è illusorio diminuire il peso del debito pubblico in rapporto al Pil fuori dall’angustia di qualche decimale. Il caso irlandese è emblematico. Con il record della progressione del Pil abbatterà deficit e debito che sembravano fuori controllo (debito al 65% tra 2007 e 2011, quasi raddoppio al 120% nel 2013, 94% nel 2016).

4) Unioni civili, è questa la priorità? Non siamo alla situazione della maggioranza implosa del governo Berlusconi. Certo però che, a dar retta ai “gufi”, suggerisce Magri, Renzi farebbe bene a leggere con attenzione i dati sullo spread e confrontarsi subito con Mef, Banca d’Italia e Draghi. La maggioranza è coesa? Più per paura che se la legislatura cade si perde il seggio che per convinzione. La scelta di accelerare su riforme che riguardano diritti civili e assetti istituzionali contrasta con l’emergenza economica permanente laddove solo il jobs act (che non è solo crescita senza lavoro come affermano i gufi, appunto) non appare però sufficiente per convincere i mercati della affidabilità italiana. E le unioni civili con la complicazione delle adozioni per i gay rischiano di essere un passaggio doloroso in termini di tenuta.

5) Banche deboli e il caso Boschi non aiuta. Sono le pessime performance dei titoli bancari a trascinare in basso i mercati. Quelli italiani in particolare: i nostri istituti vantano risultati in termini di solidità patrimoniale ma la zavorra dei crediti deteriorati è ancora tutta lì. Non aiuta la considerazione di un governo i cui esponenti di spicco (non possiamo non citare Maria Elena Boschi) sono visti come troppo amici di quelle banche che hanno avuto bisogno di essere salvate con provvedimenti a dir poco contestati. Con le banche siamo al solito dilemma: se non le aiuti affondano, se lo fai non spezzi il circolo vizioso che le ha affondate.

“Qualcuno immagina che debba essere attivata una qualche rete di protezione, o una sorta di salvataggio pubblico. Però un intervento di questo tipo indebolisce il merito di credito sovrano e di conseguenza quello delle banche, riannodando il legame tra titoli di Stato e banche che si voleva allentare” (Marco Mazzucchelli, managing director di Julius Baer a Giuliana Ferraino del Corriere della Sera).