Lesbiche, gay, trans dettano l’indice delle parole: lesbico sì, saffico no

di Redazione Blitz
Pubblicato il 19 Dicembre 2013 - 07:20| Aggiornato il 6 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA
Lesbico sì, saffico no: istruzioni lgbt ai giornalisti politicamente scorretti

Lesbico sì, saffico no: istruzioni lgbt ai giornalisti politicamente scorretti

ROMA – Lesbico e non “saffico”, “famiglia omogenitoriale” e non “famiglia gay”, “matrimoni” e non “matrimoni gay”, “gestazione di sostegno” e “maternità surrogata” invece di “utero in affitto”: è il vocabolario politicamente corretto dettato dalle “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone Lgbt (Lesbiche gay bisessuali transgender)” redatto dall’Unar (Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali) con il patrocinio del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del consiglio.

“Linee guida” visibili sul sito www.pariopportunita.gov.it

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“Linee guida” criticate da Gian Arturo Ferrari sul Corriere della Sera:

E attenzione! Soprattutto rispetto per «la lavoratrice del sesso trans», ineffabile espressione in cui alcune figure rese familiari dalla cronaca si stagliano su uno sfondo di campi e di officine. E ovunque un mare di fogli, un grande sventolio di codici deontologici, raccomandazioni del Consiglio d’Europa, strategie nazionali, agenzie per i diritti fondamentali, carte, risoluzioni e sentenze di ogni genere. Non che tutto sia da buttare. L’invito alla precisione terminologica, ad esempio, è da seguire e le spiegazioni sono chiare e puntuali. Ma il tono — didattico, insofferente, accusatorio — non è sopportabile. Molto grande è il debito che tutti abbiamo nei confronti degli omosessuali, donne e uomini. Siamo tutti vissuti e volenti o nolenti abbiamo tutti avuto parte in un mondo che nei loro confronti ha esercitato una violenza intollerabile, esplicita e implicita, materiale e morale. Con cinismo, con cattiveria. Un mondo crudele. […] Non è la rapidità del cambiamento a poter costituire una sorta di indulgenza generale. Ma non è l’editto delle Linee guida il modo di pagare quel debito. Non con questo grottesco capovolgimento delle parti per cui i perseguitati di ieri si trasformano non tanto nei persecutori, quanto nei bacchettoni di oggi. C’è nel nostro inconscio nazionale un istinto inquisitorio profondo, un piacere segreto nell’identificarsi con le figure della tradizionale oppressione autoritaria. Che tutti, a parole, diciamo di esecrare: il poliziotto, il professore, il prete. Nelle Linee guida c’è il tono minaccioso del questurino, la matita blu che si avventa sugli strafalcioni, la minuta casistica del confessionale. È triste che gli eredi, i reduci e i beneficiari di un grande movimento di liberazione si ritrovino così inaspriti, così — a loro volta — incattiviti. Come se in una delle pochissime vere incarnazioni di un reale progresso non ci fosse alcuna gioia. Ma solo rancore”.

Ecco alcuni esempi delle Linee guida:

1. LESBICO E NON SAFFICO

“Esiste poi un linguaggio apertamente ostile al lesbismo, che utilizza – anche nei discorsi politici – la parola lesbica come insulto. Per questo motivo, anche nei media, lesbica è percepita erroneamente come una parola dal vago senso offensivo. Pensiamo a titoli come: Michelle Bonev ha dato della lesbica alla Pascale. “Dare della…” è un’ espressione che sottintende un valore negativo della parola. Anche per questo, forse, si tende a usarla con parsimonia o a non usarla affatto. Ma c’è anche un uso di segno completamente diverso, che si ritrova specialmente negli articoli di costume, società, spettacolo e che riguarda l’aggettivo LESBO. Qui si rincorrono infatti formule dal sapore voyeristico o pornografico, per esempio video lesbo, bacio lesbo… Ma si veda anche un titolo come Delitto di Ostia: spunta la pista lesbo, che fa pensare a un thriller erotico. Lo stesso vale per l’aggettivo SAFFICO, che richiama atmosfere lascive e seducenti adatte a stuzzicare anche il lettore maschio. Insomma, troppo spesso l’omosessualità femminile è presentata a uso e consumo di un pubblico di uomini e cancellata completamente nella sua esistenza autonoma, anche all’interno dell’universo LGBT. Fare entrare la parola lesbica nell’uso comune e nel linguaggio dei media, liberandola da connotazioni dispregiative o voyeristiche, è un passo importante verso il riconoscimento dell’omosessualità femminile e l’attribuzione di diritti alle donne che desiderano e amano altre donne”.

2. IL SESSO DEI TRANS

“Ma l’errore più diffuso nel giornalismo riguarda l’attribuzione del genere grammaticale al soggetto transessuale. Le persone che sui giornali sentiamo continuamente chiamare I trans in realtà sono LE trans. Tra l’altro, quelle di cui si parla di solito hanno tutta l’apparenza di soggetti femminili: le foto spesso ritraggono lunghi capelli, tacchi alti e minigonne. Dovrebbe venire spontaneo attribuire il femminile, e invece le contraddizioni, anche grammaticali, abbondano: Uno dei trans di via Gradoli, Brenda […] è stata prelevata dal Ros nel suo appartamento di via Due Ponti, per essere sentita. Oppure: Vladimir Luxuria si è presa la sua rivincita. Il trans più famoso d’Italia potrà fare infatti da testimone al matrimonio di sua cugina. Dal maschile al femminile, o viceversa, nella stessa frase. Per la transessualità vale il principio dell’identità. Se la persona di cui si parla transita dal maschile al femminile, non importa in che fase della transizione si trovi, né se si sta sottoponendo all’iter della riassegnazione chirurgica del sesso, se lei sente di essere una donna va trattata come tale. Lo stesso vale per la transizione female to male. Come principio, quindi, è corretto utilizzare pronomi, articoli, aggettivi coerenti con l’apparenza della persona e con la sua espressione di genere. Quando questo risulta diffi cile al/alla giornalista, la soluzione è denominare la persona nel modo in cui preferisce essere appellata. E infi ne, sarebbe bene ricordare sempre che appunto di persone stiamo parlando: piuttosto che il/la trans o il/ la transessuale, parliamo di PERSONA TRANSESSUALE”.

 3. “LAVORATRICE DEL SESSO TRANS”

“La lavoratrice del sesso trans è spesso l’unica figura e l’unica iconografi a conosciuta della transessualità, da cui deriva il luogo comune per cui tutte le persone transessuali si prostituiscono. Persino i servizi giornalistici che si occupano della condizione delle persone transgender in Italia succede che siano illustrati con immagini tratte dalla prostituzione di strada, oppure con foto che le ritraggono in pose e abbigliamenti esuberanti, facendone (più o meno involontariamente) dei fenomeni da baraccone. Quella che esercita la prostituzione è invece una parte minoritaria delle persone transessuali e transgender che vivono in Italia, che possono svolgere una quantità di mestieri e professioni. Secondo le stime dell’associazione Free Woman (Caritas Diocesana di Ancona), in Italia vivono 40.000 transessuali e 10.000 vivono prostituendosi. Di queste, il 60% è di origine sudamericana, ma c’è anche una presenza rilevante di italiane. Ciò su cui la cronaca dovrebbe puntare l’attenzione, e raramente fa, è la grande difficoltà per le persone transessuali e transgender a inserirsi in altri settori del mercato del lavoro, a causa delle discriminazioni transfobiche di cui sono vittime. Le costrizioni e gli ostacoli che incontrano molti e molte di loro (sia FtM sia MtF) in ambito lavorativo rendono molto discutibile e pregiudiziale anche l’affermazione comune secondo cui la scelta della prostituzione nasce, per le persone che transitano dal genere maschile al genere femminile, dal bisogno di confermare o affermare la propria femminilità”.

4. FAMIGLIA OMOGENITORIALE E NON FAMIGLIA GAY

“Parlare di FAMIGLIA GAY o FAMIGLIA OMOSESSUALE per indicare il nucleo in cui i genitori sono dello stesso sesso, comporta proprio questo rischio, di trasferire l’omosessualità dai genitori su tutti i componenti, raff orzando il luogo comune per cui chi viene cresciuto da una coppia di gay o di lesbiche è destinato a sviluppare a sua volta un orientamento omosessuale. Un luogo comune che le scienze sociali continuamente smentiscono. Meglio quindi riferirsi ai genitori e parlare, per le famiglie in cui questi sono due uomini o due donne, di FAMIGLIE OMOGENITORIALI, oppure famiglie con due papà, due mamme. Meglio ancora parlare, semplicemente, di famiglie. Perché dopo aver distinto questa categoria di famiglie, come devono essere chiamate le altre, quelle in cui i genitori appartengono a due generi diversi? Si sente spesso parlare di FAMIGLIE TRADIZIONALI, per lo più in funzione oppositiva rispetto a quelle omogenitoriali. Ma tradizionale corrisponde sempre meno alla pluralità di esperienze che compongono le vite familiari, in cui sono compresi i nuclei monogenitoriali, quelli divisi dal divorzio, quelli ricostruiti ecc. L’uso di famiglie al plurale, di cui ci sono ottimi esempi anche nel giornalismo, segna l’adozione di un punto di vista inclusivo di tutte le differenze, dove a fare da trait d’union tra le varie manifestazioni dell’idea di famiglia sono i concetti di legame stabile, amore, cura, responsabilità… Per lo stesso motivo si può parlare di matrimoni, quando ci riferiamo all’unione di persone dello stesso sesso, anziché di MATRIMONI GAY. Così come è inappropriato denominare il matrimonio tra due anziani matrimonio di anziani, è anche inappropriato denominare il matrimonio di una coppia gay o lesbica matrimonio gay, dal momento che l’espressione suggerisce l’idea di un istituto a parte, diverso da quello tradizionale”.

5. “GESTAZIONE DI SOSTEGNO” E NON “UTERO IN AFFITTO”

“Altro tema ancora è l’aspirazione della coppia gay o lesbica ad avere un figlio proprio che apre al problema della procreazione medicalmente assistita e, soprattutto per le coppie di uomini, della GESTAZIONE DI SOSTEGNO (GDS), detta anche GESTAZIONE PER ALTRI (GPA) o MATERNITÀ SURROGATA (sul modello delle espressioni francesi e inglesi gestation pour autrui, surrogate motherhood, surrogacy). Si tratta della pratica in cui una donna accetta di portare a termine una gravidanza al posto di qualcun altro. Questa donna è chiamata portatrice (o madre surrogata). La fecondazione avviene in vitro: lo sperma proviene da uno dei due aspiranti papà, mentre l’ovulo può appartenere alla portatrice (ma è un caso più raro) oppure a una donatrice. In realtà, nei media, l’espressione più usata per parlarne è UTERO IN AFFITTO, che ha però un valore spregiativo, contiene in sé un giudizio negativo, sia sulla donna che porta avanti la gravidanza per altri sia su coloro che le chiedono di farlo. Giornalisticamente, quindi, è una locuzione scorretta perché non è neutra, non lascia spazio all’indagine o alla formazione autonoma di un’ opinione”.

5. LE IMMAGINI DA SCEGLIERE

“La scelta delle immagini per illustrare notizie e reportage che riguardano le persone LGBT è un aspetto particolarmente sensibile del lavoro giornalistico. Sono purtroppo numerosi i casi in cui a testi che riguardano l’omofobia, le discriminazioni, i diritti, le trasformazioni sociali sono associate immagini del tutto inappropriate. Queste normalmente ritraggono:
– parate o altri momenti di esibizione pubblica di corpi, nudità, identità;
– scene di intimità tra persone dello stesso sesso;
– locali e discoteche “gay friendly”;
– luoghi di incontri come saune o dark room.

Sono immagini adeguate a illustrare ciò di cui parlano, per esempio la sessualità tra coppie gay e lesbiche o il mondo del loisir frequentato da persone LGBT. Ma risultano inadeguate in molti altri casi. Tutti questi soggetti hanno in comune il fatto di rimandare al SESSO, ritraendo l’omosessualità sotto l’unico aspetto del piacere. Si tratta, in fondo, del pregiudizio secondo cui la persona omosessuale si identifi ca interamente con la sua sessualità. Uno spazio particolare occupano gli LGBT PRIDE, che per molti anni sono stati una delle poche (se non l’unica) occasione di visibilità delle persone LGBT in Italia. Ad attirare giornalisti e fotografi sono state sempre le fi – gure più trasgressive, luccicanti, svestite, ed è così che si è prodotto e riprodotto un immaginario intorno a queste manifestazioni che di anno in anno, già attraverso le immagini che le annunciano, mette in secondo piano il tema dei diritti. Non solo, ma le stesse immagini – spesso le più trasgressive – si possono ritrovare a illustrazione di articoli sui matrimoni o sulla genitorialità di coppie omosessuali”.

6. L’INCITAMENTO ALL’ODIO

“Come documentano gli studi sulla rappresentazione delle minoranze nei media, esiste un circolo vizioso tra il discorso politico e quello mediale. Giornali e televisioni riprendono e riproducono le dichiarazioni di politici e rappresentanti delle istituzioni, facendo circolare le loro parole nel discorso mediatico e ospitando il loro punto di vista, anche quando contiene forme di INCITAMENTO ALL’ODIO nei confronti delle persone LGBT. Questo fa parte dei doveri del giornalista, che è tenuto a “ricercare e diffondere ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile” (Carta dei doveri del giornalista). Ma è sua responsabilità anche riconoscere il DISCORSO D’ODIO e, nella piena consapevolezza della gravità delle sue espressioni per bocca di personalità pubbliche, attenersi nel lavoro redazionale ad alcune regole:
•virgolettare i discorsi o parte di discorsi di personalità pubbliche che incitano all’odio contro le persone LGBT, usando particolare attenzione nella titolazione;
•avere cura di ricercare fonti e dati che contestualizzino e forniscano informazioni attendibili e verifi cabili sui temi e gli argomenti delle dichiarazioni;
•riferirsi se necessario alle corrette definizioni dei termini ed effettuare – in casi di confusione nei discorsi – le dovute distinzioni (per esempio tra omosessualità e transessualità);
•fare attenzione nella scelta delle immagini, affinché non rafforzino gli stereotipi negativi veicolati dai discorsi pubblici riportati nell’articolo;
•avere una lista di risorse informative a livello nazionale e locale – esperti di tematiche LGBT, rappresentanti di associazioni e coordinamenti – da utilizzare per avere in tempi rapidi dichiarazioni che permettano una composizione bilanciata del servizio”.

7. VOCABOLARIO POLITICAMENTE CORRETTO

SESSO:
le caratteristiche biologiche e anatomiche del maschio e della femmina, determinate dai cromosomi sessuali.
GENERE:
categoria sociale e culturale costruita sulle differenze biologiche dei sessi (genere maschile vs. genere femminile).
IDENTITÀ DI GENERE:
la percezione di sé come maschio o come femmina o in una condizione non definita.
DISTURBO DELL’IDENTITÀ DI GENERE:
espressione usata dalla medicina per descrivere una forte e persistente identificazione con il sesso opposto a quello biologico, altrimenti detta “disforia di genere”.
RUOLO DI GENERE:
l’insieme delle aspettative e dei modelli sociali che determinano il come gli uomini e le donne si debbano comportare in una data cultura e in un dato periodo storico.
ORIENTAMENTO SESSUALE:
la direzione dell’attrazione affettiva e sessuale verso altre persone: può essere eterosessuale, omosessuale o bisessuale.
ETEROSESSUALE:
persona attratta sul piano affettivo e sessuale da persone dell’altro sesso.
OMOSESSUALE:
persona attratta sul piano affettivo e sessuale da persone dello stesso sesso.
BISESSUALE:
persona attratta sul piano affettivo e sessuale da persone di entrambi i sessi.
LESBICA:
donna omosessuale.
GAY:
uomo omosessuale.
TRANSESSUALE:
persona che sente in modo persistente di appartenere al sesso opposto e, per questo, compie un percorso di transizione che generalmente si conclude con la riassegnazione chirurgica del sesso. Il termine si declina al femminile (“la” transessuale) per indicare persone di sesso biologico maschile che sentono di essere donne (MtF – Male to Female) e al maschile (“il” transessuale) per indicare persone di sesso biologico femminile che sentono di essere uomini (FtM – Female to Male).
TRANSGENDER:
Termine “ombrello” che comprende tutte le persone che non si riconoscono nei modelli correnti di identità e di ruolo di genere, ritenendoli troppo restrittivi rispetto alla propria esperienza.
TRAVESTITO:
persona che abitualmente indossa abiti del sesso opposto, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale o identità di genere.
DRAG QUEEN / DRAG KING:
uomo che si veste da donna (queen) o donna che si veste da uomo (king) accentuandone le caratteristiche con finalità artistiche o ludiche.
INTERSESSUALITÀ:
condizione della persona che, per cause genetiche, nasce con i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non definibili come esclusivamente maschili o femminili.
LGBT:
acronimo di origine anglosassone utilizzato per indicare le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender. A volte si declina anche come LGBTIQ, comprendendo le persone che vivono una condizione intersessuale e il termine queer.
QUEER:
termine inglese (strano, insolito) che veniva usato in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali. Ripreso più recentemente in senso politico/culturale, e in chiave positiva, per indicare tutte le sfaccettature dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, rifiutandone al tempo stesso le categorie più rigidamente fissate ancora presenti nel termine LGBT e rivendicandone il superamento.
COMING OUT:
espressione usata per indicare la decisione di dichiarare la propria omosessualità. Deriva dalla frase inglese coming out of the closet (uscire dall’armadio a muro), cioè uscire allo scoperto, venir fuori. In senso più allargato il coming out rappresenta tutto il percorso che una persona compie per prendere coscienza della propria omosessualità, accettarla, iniziare a vivere delle relazioni sentimentali e dichiararsi all’esterno.
OUTING:
espressione usata per indicare la rivelazione dell’omosessualità di qualcuno da parte di terze persone senza il consenso della persona interessata. Il movimento di liberazione omosessuale ha utilizzato a volte l’outing come pratica politica per rivelare l’omosessualità di esponenti pubblici (politici, rappresentanti delle Chiese, giornalisti) segretamente omosessuali, che però assumono pubblicamente posizioni omofobe.
VISIBILITÀ:
è il risultato del percorso di autoaccettazione che permette a una persona omosessuale di vivere la propria identità alla luce del sole.
ETEROSESSISMO:
visione del mondo che considera come naturale solo l’eterosessualità, dando per scontato che tutte le persone siano eterosessuali. L’eterosessismo rifiuta e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità e relazione non eterosessuale.
Si manifesta sia a livello individuale sia a livello culturale, influenzando i costumi e le istituzioni sociali, ed è la causa principale dell’omofobia.
OMOFOBIA:
il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone omosessuali e le azioni che da questo pregiudizio derivano. Può portare ad atti di violenza nei confronti delle persone omosessuali.
Il 17 maggio è stato scelto a livello internazionale come la Giornata mondiale contro l’omofobia, in ricordo del 17 maggio 1990 quando l’Organizzazione mondiale della Sanità eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
OMOFOBIA INTERIORIZZATA:
forma di omofobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società, di cui a volte sono vittime le stesse persone omosessuali.
OMONEGATIVITÀ:
il termine omofobia oggi è in parte superato e sostituito con il termineomonegatività per indicare che gli atti di discriminazioni e violenza nei confronti delle persone omosessuali non sono necessariamente irrazionali o il frutto di una paura, ma piuttosto l’espressione di una concezione negativa dell’omosessualità, che nasce da una cultura e una società eterosessista.
TRANSFOBIA:
il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone transessuali e transgender (e di quelle viste come trasgressive rispetto ai ruoli di genere) e le azioni che da questo pregiudizio derivano. La transfobia può portare ad atti di violenza nei confronti delle persone transessuali e transgender. Il 20 novembre è riconosciuto a livello internazionale come il Transgender Day of Remembrance (T-DOR) per commemorare le vittime della violenza transfobica, in ricordo di Rita Hester, il cui assassinio
nel 1998 diede avvio al progetto Remembering Our Dead.
TRANSFOBIA INTERIORIZZATA:
forma di transfobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società, di cui a volte sono vittima le stesse persone transessuali.
PRIDE:
espressione che indica la manifestazione e le iniziative che si svolgono ogni anno in occasione della Giornata mondiale dell’orgoglio LGBT, nei giorni precedenti o successivi alla data del 28 giugno, che commemora la rivolta di Stonewall,
culminata appunto il 28 giugno 1969.
I cosiddetti moti di Stonewall furono una serie di violenti scontri fra persone transgender e omosessuali e la polizia a New York. La prima notte degli scontri fu quella di venerdì 27 giugno 1969, quando la polizia irruppe nel locale chiamato Stonewall Inn, un bar in Christopher Street, nel Greenwich Village. “Stonewall” (così è di solito definito in breve l’episodio) è generalmente
considerato da un punto di vista simbolico il momento di nascita del movimento di liberazione LGBT moderno in tutto il mondo.