Catalogna, Re Felipe rompe il silenzio: “Slealtà inaccettabile da Barcellona”. Puigdemont: “Indipendenza a giorni”

di redazione Blitz
Pubblicato il 3 Ottobre 2017 - 22:55| Aggiornato il 4 Ottobre 2017 OLTRE 6 MESI FA
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Catalogna, Re Felipe rompe il silenzio: “Slealtà inaccettabile da Barcellona”

MADRID – “Slealtà inaccettabile verso lo Stato”. Così Re Felipe giudica il referendum indipendentista in Catalogna. Per la prima volta dopo le tensioni e gli scontri il sovrano rompe il silenzio e parla alla Nazione. C’è stato “un inaccettabile intento di appropriazione delle istituzioni storiche della Catalogna – ha detto – queste autorità in maniera chiara si sono messe al margine del diritto e della democrazia, hanno voluto spezzare l’unità della Spagna” con una “condotta irresponsabile”.

Poi solennemente ha scandito: “C’è l’impegno della corona nei confronti della Costituzione e della democrazia e il mio impegno per l’unità della Spagna”.

Il re sottolinea che le autorità catalane “hanno violato i principi democratici dello stato di diritto” con una “slealtà inaccettabile”. E aggiunge: “Voglio dire ai catalani che sono preoccupati per il comportamento delle autorità della Catalogna che non siete soli, avete la solidarietà di tutti gli spagnoli per difendere i vostri diritti”.

Un discorso che ha contribuito a mantenere incandescente il clima, quello del re. E la risposta non si è fatta attendere, spavalda: negli stessi istanti Carles Puigdemont ha annunciato alla Bbc che l’atto di indipendenza unilaterale della Catalogna arriverà “alla fine della settimana o all’inizio della prossima”.

Mentre Madrid studia le prossime mosse, martedì la Catalogna si è fermata per uno sciopero generale di protesta contro le violenze della polizia spagnola, che ha usato il pugno duro domenica contro la folla ai seggi. Da Barcellona a Girona, dalla Costa Brava ai Pirenei, da Tarragona a Lleida, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per denunciare pacificamente gli assalti ai seggi, gridare “Via le forze di occupazione!” o “Visca Catalunya Indipendente!”.

L’intervento del re è caduto come una doccia gelida sulle timide speranze di avvio di un dialogo, dopo mesi di muro contro muro. Felipe VI non ha fatto alcun accenno alle violenze di domenica, ma ha duramente attaccato il governo di Puigdemont, accusandolo di aver violato la Costituzione e “i principi democratici dello stato di diritto”. Un discorso a senso unico, senza aperture verso la Catalogna ribelle.

Il discorso del re, insomma, non contribuirà a fare crescere la sua popolarità in Catalogna, terra dalle radici ancora repubblicane. E’ stato accolto da molti catalani, secondo Tv3, sbattendo padelle e tegami, in una cacerolada di protesta. Mentre il re parlava infatti, a Barcellona erano ancora in piazza migliaia di persone che tutto il giorno hanno manifestato contro la violenza della polizia spagnola. Nel pomeriggio erano almeno 300mila in un mare di bandiere stellate dell’indipendenza.

A Barcellona ci sono stati momenti di tensione ma senza incidenti davanti al comando della Guardia Civil in Via Laietana e davanti alla sede del Pp del premier spagnolo Mariano Rajoy, protetti da un fitto cordone della polizia catalana. C’è stata tensione anche davanti ad alcuni alberghi che ospitano parte dei 10mila agenti spagnoli inviati da Madrid per impedire il voto di domenica. Centinaia di persone li hanno presidiati, gridando “Via! Via le forze di occupazione!”. Alcuni alberghi hanno pregato i poliziotti di andarsene, e circa 500 agenti sono stati sfrattati. Provocando l’ira di Madrid, che ha annunciato contromisure.

Nella giornata di sciopero generale anche la politica catalana si è fermata. Sul tavolo rimangono la richiesta di mediazione internazionale lanciata da Puigdemont e l’annuncio della dichiarazione di indipendenza in parlamento. Già alla fine di questa settimana, ha detto il presidente catalano.

A Madrid sono continuate invece le consultazioni di Rajoy, che deve decidere le prossime mosse. Il premier è “indeciso”, sottoposto a pressioni di senso contrario. La sua vicepremier, il falco Soraya de Santamaria, preme per il pugno di ferro e l’applicazione dell’articolo 155 della costituzione che consentirebbe di sospendere Puigdemont e l’autonomia catalana. Sulla stessa linea il leader di Ciudadanos, uno dei due grandi partiti unionisti che dall’opposizione appoggiano Rajoy.

Il socialista Pedro Sanchez vuole invece un dialogo immediato con Puigdemont. Dopo le violenze di domenica il Psoe sta cambiando linea. Oggi ha chiesto un voto di censura in parlamento contro de Santamaria, che considera responsabile politicamente dei blitz violenti che hanno provocato sdegno in tutto il mondo. Su Sanchez preme anche Podemos, che oggi ha proposto al leader Psoe di pilotare una mozione di censura per rovesciare il governo minoritario di Rajoy, che appare sempre più fragile. “I numeri – ha detto la capogruppo Irene Montero – ci sono”.