Euro malato di Grecia? Pochi pro, tanti contro: amputare l’arto non fermerà la cancrena

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 10 Maggio 2012 - 16:53| Aggiornato il 3 Marzo 2013 OLTRE 6 MESI FA
Ap-Lapresse

ATENE – La Grecia fuori dall’Euro? Ormai potremmo levare il punto interrogativo, perché la cosa più improbabile è che la Grecia resti nell’Euro. Non lo afferma solo il (solito) economista di origini turche Nouriel Roubini, anche gli analisti di Citigroup dicono che entro il 2013 ci sono fra il 50 e il 75% delle probabilità che i greci tornino alla dracma.

Basta fare un veloce calcolo delle variabili, delle combinazioni possibili. La maggioranza in parlamento (151 seggi su 300) non ce l’ha nessuno, se non, in teoria, il fronte anti-Euro. Composto però da forse fra loro inconciliabili, quali Syriza (sinistra radicale, 52 seggi), Kke (comunisti, 26 seggi), Sinistra democratica (19 seggi), Greci indipendenti (destra, 33 seggi), Alba dorata (neonazisti, 21 seggi). Dall’altra parte i due partiti maggiori, quelli che hanno governato alternandosi dal 1974, Nea Dimokratia di centrodestra (108) e i socialisti del Pasok (41), formano un blocco pro-Euro ma si fermano a 149 seggi.

L’incarico per formare il governo va al leader del partito di maggioranza relativa, il quale ha tre giorni di tempo. Se non ce la fa, la patata bollente passa al capo del secondo partito, poi al terzo. Ultima chance: la formazione di un governo di unità nazionale. Dopo di che, se neanche questo riuscisse, come è molto probabile, il presidente Karolos Papoulias indirà nuove elezioni. Data già fissata: il 16 giugno.

Vincerà il fronte pro-euro? Non bisogna farsi fuorviare dai 149 seggi di Nea Dimokratia e Pasok, “drogati” dai 50 del premio di maggioranza concessi al partito che ha preso più voti (Nea Dimokratia). In realtà solo il 32% dei greci ha votato i due partiti pro-euro. Se si tornasse alle urne appare difficile che questa percentuale cambi di molto. Intanto l’Europa ha bloccato 1 dei 5,2 miliardi degli aiuti ad Atene dell’Efsf, del Fondo Salva Stati. Ora 4,2 miliardi, a giugno il resto. Quasi a dire: attenti greci, questo significa uscire dall’Euro.

Il Sole 24 Ore ha sentito in merito esperti e analisti. Questi sono i pro e i contro dello scenario “ciao Atene”:

Pro. 1) Non avere più il fiato dell’Europa sul collo (con i suoi obiettivi di bilancio e inviti al rigore) libererebbe il Paese dalla coazione a politiche di austerity che stanno paralizzando l’economia e impoverendo le famiglie.

2) Una svalutazione della dracma, ipotizzabile intorno al 50% rispetto a euro e dollaro, ridarebbe respiro all’economia greca, in cui le esportazioni giocano un ruolo fondamentale.

3) L’esperienza dell’Argentina. L’uscita dal sistema-dollaro e la bancarotta non sono stati indolori, ma il Paese a dieci anni di distanza si è ripreso e sta molto meglio di tanti anelli deboli dell’Euro.

4) Ripercussioni sull’economia europea irrilevanti. Spiega al Sole Andrea Ragaini, ad di Banca Cesare Ponti: “Se il mondo fosse a compartimenti stagni, l’uscita della Grecia dal gruppo dei 17 non comporterebbe problematiche rilevanti: il peso percentuale del Pil greco su quello europeo è inferiore al 3%, il flusso di scambi internazionali è irrilevante ed anche il contributo alla governance europea non è certo determinante”.

Contro. 1) Problemi a rinegoziare il debito con l’Europa e il resto del mondo. La Grecia andrebbe in bancarotta, altro che “haircut“: i debiti verrebbero proprio “rapati a zero”.

2) Anni di caos economico e finanziario e di forti tensioni sociali.

3) Isolamento. La Grecia secondo Vincenzo Longo di Ig Markets “si ritroverebbe a partire da zero, con un’economia interamente da ricostruire senza aiuti o fondi provenienti dall’esterno. Inoltre il Paese potrebbe trovarsi isolato nei traffici commerciali con il resto dell’area. Da non trascurare che sarebbe seriamente minacciata anche la credibilità del Paese e questo complicherebbe la capacità di Atene di attirare capitali dall’estero”.

4) Importazioni carissime=autarchia obbligata. Le materie prime e le merci non presenti e non prodotte in Grecia costerebbero almeno il 50% in più. Per tanto tempo i greci poi non potranno tornare sui mercati per finanziare imprese e investimenti pubblici e privati.

5) Bank Run o corsa a gli sportelli. Soldi svalutati? Conti in banca svuotati, come è già successo in Argentina. Oltretutto a svalutarsi non è solo la moneta nazionale ma si dimezzerebbe anche il valore di tutte le attività presenti in Grecia.

6) Problemi tecnici. Passare dalla dracma all’Euro è stato relativamente facile, tornare alla dracma non sarà uno scherzo, anche perché è un processo senza precedenti a cui fare riferimento. Non si tratta solo di ristampare moneta, ma anche di ridefinire tutte le parità di cambio e di calcolo di crediti e (soprattutto) debiti che in un sistema finanziario globale non resterebbe senza conseguenze negative.

7) Conseguenze per l’area Euro. Sempre Andrea Ragaini al Sole: “Il mondo di oggi non è però fatto a compartimenti e i mercati finanziari vivono di aspettative. Il rischio è quindi che si individui un altro “candidato” all’uscita su cui concentrare l’azione ribassista; Spagna e Italia potrebbero essere i primi ad essere coinvolti nel fuoco della speculazione”.

Per Federico Fubini del Corriere della Sera il ritorno alla dracma sarebbe una catastrofe:

Come spiega Arnaud Marès di Morgan Stanley, il divorzio di un Paese dall’euro e la conversione dei depositi in euro nelle banche greche in nuove dracme cambia la natura stessa del denaro. In quel caso, è plausibile che i risparmiatori con conti nelle banche di altri Paesi della periferia europea temano che anche il loro Stato lasci la moneta comune. La loro reazione sarebbe disastrosa: potrebbero ritirare in massa i fondi dalle banche portoghesi, o spagnole, per spostarli in Germania o in Svizzera. Il sistema finanziario nelle economie più in difficoltà soffrirebbe ancora duramente. […] l’Unione Europea e il Fondo monetario potrebbero rinviare gli obiettivi del piano di risanamento di Atene di un paio di anni e nel frattempo spingere per investire i fondi strutturali di Bruxelles che la Grecia non ha speso. Lì serve aiuto allo sviluppo, non solo un programma di sacrifici. Servono ingegneri tedeschi per costruire un catasto (non esiste), in modo che si paghino tasse sulla casa. Servono esperti spagnoli che insegnino ai greci a rilanciare il turismo, o esperti italiani che li aiutino a creare marchi agricoli di qualità. Senza una svolta del genere, la Grecia è la prossima Argentina. Ma in contesto più delicato.