“Google separi motore ricerca dai servizi commerciali”: mozione Parlamento Ue

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Novembre 2014 - 10:25| Aggiornato il 9 Dicembre 2020 OLTRE 6 MESI FA
"Google separi motore ricerca dai servizi commerciali": mozione Parlamento Ue

“Google separi motore ricerca dai servizi commerciali”: mozione Parlamento Ue

ROMA – “Google separi motore ricerca dai servizi commerciali”: mozione Parlamento Ue. Insieme al faro acceso dalla Commissione europea, Google in Europa deve fronteggiare un’altra sfida comunitaria al suo strapotere: il Financial Times ha anticipato i contenuti di una mozione con cui il Parlamento europeo vuole imporre al gigante digitale lo scorporo, la separazione tra le attività legate al motore di ricerca (che controlla al 90% sul mercato) e il resto delle operazioni commerciali.

Il Parlamento non ha veri e propri poteri deliberativi se non è supportato dalle decisioni dei commissari: tuttavia, la mossa di popolari e socialisti uniti per lo scorporo aggiunge massa critica all’orientamento politico europeo di ridimensionamento della posizione dominante sul web.

La Germania, di cui conosciamo il peso politico in Europa, non si oppone a una soluzione “punitiva”: sulla poltrona di commissario all’Economia digitale Angela Merkel ha imposto il tedesco Gunther Oettinger, che pubblicamente aveva già espresso la necessità di interventi fiscali, normativi e politici sfavorevoli a Google. In più pende sempre il caso Google alla Commissione dedicata alla Concorrenza.  Soddisfatto dell’iniziativa anche il presidente delle federazione italiana degli editori (Fieg) Maurizio Costa.

A questo punto io credo che Google, che ricordo ha il 90% del search in Europa, non possa sottrarsi ad affrontare il problema di fondo, che è quello di riconoscere i diritti di tutti i soggetti interessati. Parliamo di questioni antitrust, ma anche del riconoscimento del giusto diritto d’autore, della necessità di non eludere il fisco come invece ora sta facendo e, ultimo ma non ultimo, del problema degli utenti inconsapevolmente profilati con conseguenze delicatissime sul fronte privacy. (Andrea Biondi, Il Sole 24 Ore)

Ricapitolando i punti critici contestati a Google si può riconoscere come tassazione e trasparenza di Google siano i fronti più caldi: cioè, Google deve pagare le tasse dove produce ricavi, Google, seppure non vuol svelare i suoi algoritmi segreti, deve rendere noti i criteri con cui mostra e organizza i risultati di ricerca del suo motore online. Per quanto riguarda i contenuti (per esempio quelli aggregati nella pagine di Google news) e il relativo pagamento dei diritti d’autore, una tassazione per ogni singolo link rischia di essere un boomerang per i giornali che reclamano soldi sui loro contenuti originali.

“L’esperimento di 200 editori tedeschi che hanno impedito al servizio News di mostrare la preview dei propri articoli è stato fallimentare: il traffico è crollato” (Wired). Google news funziona da eccezionale vetrina. Senza contare, e non vale solo per l’Italia, che di contenuti originali i quotidiani ne dispongono al massimo un terzo della loro produzione. E del resto, alzi la mano fra gli editori chi non abbia mai comprato traffico sulla rete, per non parlare degli “i like” su Facebook.

A proposito di criteri e requisiti stabiliti dal famigerato algoritmo è interessante come negli Stati Uniti la questione sia stata affrontata (a tutto vantaggio di Google).  Google può mostrare e organizzare i risultati di ricerca del suo motore online nell’ordine che preferisce. A garanzia di questa facoltà il primo emendamento della Costituzione americana, quello che garantisce – fra le altre – la libertà di parola e stampa.

È questo il succo di una sentenza di una Corte di San Francisco e di cui riferiscono i media d’Oltreoceano. La decisione del tribunale, spiega il sito Gigaom, riguarda il caso sollevato da CoastNews: il sito sosteneva che Google mostrasse i suoi link in fondo ai risultati di ricerca sul web. Un posizionamento “ingiusto”, secondo CoastNews, visto che le stesse news su altri motori online come Bing di Microsoft e Yahoo! apparivano invece al top dei risultati mostrati agli utenti.

CoastNews si è anche spinta oltre: sosteneva pure che nel posizionamento ‘basso’ c’era l’intenzione di Google di “eliminare” CoastNews come potenziale concorrente. Un giudice gli ha dato torto: negli Stati Uniti Google è libera di fare come gli pare.