Parigi, Le Pen ultima con solo il 5%. Come due secoli e mezzo fa

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 26 Aprile 2017 - 06:57 OLTRE 6 MESI FA
Parigi, Le Pen ultima con solo il 5%. Come due secoli e mezzo fa

Parigi, Le Pen ultima con solo il 5%. Come due secoli e mezzo fa

ROMA – Parigi, qui Marine Le Pen è arrivata ultima, con solo il 5 per cento dei voti. Al contrario nelle campagne e nelle cittadine di provincia la candidata della destra reazionaria è arrivata spesso prima nel voto (quasi mai nelle grandi e medie città). Si fosse votato due secoli e mezzo fa, all’epoca della Rivoluzione francese del 1.789, i risultati sarebbero stati più o meno gli stessi. Perché è da allora e senza sosta che la campagna e la provincia francese sono state contro la capitale i e i grandi centri urbani, la Francia della “reazione” monarchica e sanfedista contro la Francia della Rivoluzione allora repubblicana, laica e illuminista.

Quante mezze fesserie si scrivono, leggono e condividono in piena buona fede. Una mezza fesseria (e forse qualcosa in più che mezza) è l’affermazione ampiamente scritta, letta e condivisa che il fenomeno Le Pen sia assolutamente e totalmente moderno e contemporaneo. Qualcosa che non ci sarebbe non ci fosse la globalizzazione, l’Europa, insomma il mondo moderno e contemporaneo.

Non è così. La Francia che vota per “l’anciènne regime” è una costante da secoli e la mappa del suo consenso correva duecento e passa anni fa lungo la stessa geografia dell’ultimo voto al primo turno delle presidenziali 2.017. E il voto del ballottaggio marcherà ancor di più la linea di confine e le rispettive zone geografiche e sociali.

Parigi alla fine del settecento è la capitale vissuta come nemica dalle campagne e piccoli borghi francesi. Nemica, non solo ostile. E viceversa Parigi fin da allora viveva campagne e borghi come minaccia mortale alla Rivoluzione. Ben lungi da venire erano l’euro e l’immigrazione. La linea di separazione, diversità, conflitto e reciproco disprezzo era “raison” contro fede, scienza contro tradizione, cultura contro radici…La Le Pen già esisteva e aveva la sua parte di Francia già allora.

Chi conosce, sia pure nei rudimenti, un po’ di storia francese sa del mai dismesso conflitto tra Parigi e la campagna. Sa che la Francia anti e contro rivoluzionaria si manifesta nella guerra civile in Vandea e poi nel caso Dreyfuss e poi nel consenso a Petain, al governo di Vichy che si mette al fianco e al riparo della Germania di Hitler e poi nella Oas, nella “Algerie francaise”, nell’attentato a De Gaulle. Questa Francia è forte, lo è sempre stata e sempre ha abitato dove abita ora. La Francia della contro-rivoluzione che in perfetta continuità, generazione dopo generazione, vota per chi le promette la sconfitta e cancellazione della modernità. Il passaggio da contro rivoluzionaria a sovranista è solo verbale.

Certo i ceti impauriti (e perfino inferociti) dalla perdita già subita o temuta della certezza e sicurezza economica, certo la contemporanea e diffusa ostilità verso l’immigrazione (ma oggi in Francia l’immigrazione è quantitativamente scarsa, lo è stata massiccia nei decenni passati)…ma soprattutto e sempre l’intollerabilità da parte di certa Francia verso la Repubblica e le sue successive incarnazioni. Anche questo, molto di questo è la Le Pen.

Un po’ di storia aiuterebbe a non scrivere, leggere e condividere in piena buona fede mezze fesserie. Come anche quella della assoluta novità e del mai visto gli operai che votano per l’estrema destra. Lo hanno già fatto in molti paesi, più di una volta. La più clamorosa un secolo fa più o meno quando tra i voti ottenuti dal Pnf (Partito nazionale fascista) e dal Partito Nazional socialista di Hitler (volle la dizione socialista proprio per questo) c’erano abbondanti quelli operai.

Un po’ di storia e qualche libro…per sapere magari che anche i comunisti del secolo scorso individuavano nel Partito comunista e non nell’elettorato operaio l’elemento che oggi si definisce “di sinistra”. Solo il Partito e la sua natura di “ceto politico militante” consentivano che il voto popolare e operaio non andasse alle “forze della reazione”. Leggere le pagine di Marx-Engels sul comportamento sociale e valoriale del lumpenproletariat potrebbe fornire più di una chiave antica ma ancora valida per interpretare il voto “populista” non proprio come una novità.

E assoluta novità non è neanche che Melenchon, l’anti sistema gauchista, non indichi ai suoi elettori rimasti senza candidato se votare Macron o Le Pen, dichiarando di fatto un “per me pari sono” dietro il quale non si fa fatica a vedere che il più inviso è il “liberista” Macron e non la “fascista” Le Pen. Anche ai tempi della Rivoluzione, quella del 1789 e negli anni successivi fino al Terrore e a Termidoro, il maggior impegno politico di quella che oggi si chiamerebbe la sinistra radicale fu di epurare, combattere, sradicare, boicottare ghigliottinare quando possibile i moderati, i centristi, i riformisti, in una parola i democratici bollati e perseguiti come “traditori travestiti da rivoluzionari”.

Quel che accade in Francia, in Europa, in Occidente è che una società, una umanità che ha goduto delle royalties dello sviluppo dei commerci, della tecnologia, del capitalismo, della socialdemocrazia, del liberismo (anche nella faccia oscura del colonialismo e imperialismo) ora vede su scala planetaria l’esaurirsi di tali risorse o almeno della quota di queste risorse a lei destinata.

E come sempre da millenni quando una comunità è chiamata, costretta, ad una riconversione forzosa del proprio status economico, questa comunità accende, coltiva, esalta movimenti politici ed elettorali reazionari. Reazionari in senso tecnico-storico, cioè che aspirano alla reinstaurazione del passato. E lo fa sempre rivolgendosi e non disdegnando di rivolgersi al tipo di fascismo che ha temporalmente sotto mano.