Elezioni Svezia, un altro mondo: vince chi promette di aumentare le tasse

di Redazione Blitz
Pubblicato il 15 Settembre 2014 - 11:58 OLTRE 6 MESI FA
Svezia, un altro mondo: vince chi promette di aumentare le tasse

Stefan Lofven (Foto Lapresse)

STOCCOLMA – Alle elezioni in Svezia vince chi promette di aumentare le tasse, almeno ai più ricchi, e non chi ha fatto della riduzione del carico fiscale la propria politica. Il voto di domenica 14 settembre ha visto la vittoria, seppure risicata, dei socialdemocratici di Stefan Lofven, che tornano a guidare il Paese dopo otto anni, strappando il governo alla variegata alleanza di centro destra del premier Fredrik Reinfledt e promettendo di chiedere più tasse alle classi più abbienti, pur di abbassarle a quelle che lo sono meno.

Se la vittoria di Lofven era prevista lo era assai meno il successo dei populisti di estrema destra di Jimmie Akesson che, accreditati di un 5,7% dei consensi alla vigilia, diventano la terza formazione politica svedese con un boom di oltre il 10% dei voti.

Un risultato che atterrisce i partiti tradizionali e conduce il Paese simbolo delle grandi socialdemocrazie nordiche verso scenari di ingovernabilità o verso i compromessi dettati dalla necessità di formare grandi coalizioni, non disponendo nessuna delle due alleanze dei numeri necessari. Se infatti l’ex sindacalista metallurgico Lofven, 57 anni, potrà contare su un bottino del 44,9% per la sua coalizione (Socialdemocratici, Verdi e sinistra), l’attuale premier Reinfeldt, 46 anni, non dovrebbe andare, con la sua Alleanza, al di là del 39,3%.

Nessuno quindi dispone di una maggioranza qualificata, costringendo così ad un governo di minoranza la cui vita, secondo molti osservatori, non brillerebbe per longevità.

Gli svedesi hanno certamente deciso di cambiare verso, di licenziare quel Reifeldt che in otto anni non ha, a detta di tutti, malgovernato, ma le cui scelte soprattutto in tema di giustizia sociale, di welfare e di accoglienza degli immigrati hanno spesso cozzato con il comune sentire di chi ha sempre propugnato una democrazia sociale ed egualitaria. A Reinfeldt è stato sovente rimproverato di aver approfondito il solco tra ricchi e poveri, di essere stato rigido sui temi dell’immigrazione, di aver ridotto la scuola pubblica uno dei fanalini di coda dell’istruzione europea, privilegiando quella privata, e dunque il reddito a scapito della formazione.

La Svezia in questi anni ha sentito la crisi, ma in misura certamente minore che nel resto del continente, pagando però prezzi salati come un alto livello di disoccupazione giovanile e l’acuirsi delle tensioni nelle zone meno opulente del Paese, periferie delle grandi città in primis.

A raccogliere l’eredità di Reinfeldt c’è dunque quello che è già stato definito come ‘il futuro premier meno votato della storia svedese’, quel Lofven dalla corporatura robusta e dall’eloquio non proprio trascinante che non è mai stato eletto in Parlamento e non ha mai ricoperto cariche politiche. Quel Lofven che con ogni probabilità non potrà contare nemmeno su un seggio del partito di iniziativa femminista, che avrebbe fallito il tentativo di entrare al Rikstad. Quel Lofven che tuttavia ha convinto, promettendo di colmare i divari, di aumentare le tasse ai più abbienti, diminuendole ai ceti disagiati, di esercitare la politica dell’accoglienza.

Akesson da parte sua entra a gamba tesa nel teatro politico di Stoccolma, eventualità da tutti temuta alla vigilia. I Democratici Svedesi sono infatti un partito populista, anti-europeo e anti-immigrazione che affonda le sue radici nell’estrema destra tanto simile a quella dei ‘confratelli’ di Danimarca, Olanda, Norvegia, Gran Bretagna (con Nigel Farage) e Francia (con Marine Le Pen). Già alle elezioni del 2010 Akesson colse uno straordinario successo: si presentava per la prima volta, e conquistò il 5,75% dei suffragi e 20 deputati. Adesso il raddoppio, che l’elettore svedese medio – secondo gli osservatori – ha voluto offrire ad Akesson, faccia da bravo ragazzo e montatura degli occhiali anni Sessanta, forte accento populista in apparenza vicino alle classi disagiate, ma forte connotazione conservatrice sui diritti civili e l’immigrazione.