Amnistia, indulto: lo svuota-carceri serve solo ai detenuti?

Pubblicato il 28 Settembre 2012 - 13:19 OLTRE 6 MESI FA
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

ROMA – Amnistia e indulto, affollamento carcerario e pene alternative: la determinazione del presidente della Repubblica Napolitano, assistito dall’impegno del ministro della Giustizia Severino, ha riproposto la questione (emergenziale da sempre) nel dibattito politico. Anche se in parte è stata oscurata dal caso Sallusti, cui capo dello Stato e Guardasigilli guardano con particolare attenzione per rivedere la legge sulla diffamazione a mezzo stampa (del ’48, da 3 mesi a tre anni di reclusione) seguendo le indicazioni della Corte Ue contrarie al carcere, considerato un deterrente per l’esercizio della libertà di stampa. Intreccio dettato da una coincidenza nella cronaca politica che non impedisce al quotidiano Libero (di cui all’epoca dei fatti Sallusti era direttore responsabile) di titolare oggi in apertura di giornale “Usano Sallusti per svuotare le carceri”.

L’emergenza carceri è, in ogni caso, esposta al rischio di strumentalizzazione politica anche per la natura impopolare di provvedimenti di indulgenza che da più parti vengono percepiti come lesivi della sicurezza comune. Oltre a sollecitare il Parlamento ad affrontare di petto l’emergenza, Napolitano ha fatto di più, tirando in ballo gli ostacoli posti dalla Costituzione. Per deliberare su amnistia e indulto (la prima estingue il reato, il secondo la pena) serve una maggioranza altissima, due terzi, come stabilisce l’articolo 79. Praticamente impossibile: quindi, suggerisce Napolitano, si impone una riflessione proprio sull’articolo 79, magari per restituire la facoltà di decidere ai parlamentari con la sola maggioranza semplice. E’ un compito non rinviabile per la legislatura al tramonto come per quella che si affaccerà nel prossimo anno.

Per superare l’affollamento nelle carceri, indegno di un paese civile, serve potenziare le misure alternative, continuare con la linea di depenalizzazione dei reati meno gravi, monitorare gli effetti della recidiva. Nelle carceri ci sono 21 mila detenuti, diciamo così, in esubero, a fronte di una capienza regolamentare ferma al massimo a 46 mila posti. Il decreto Severino, che ha introdotto misure alternative, il reato tenue e l’estensione degli arresti domiciliari, ha liberato non più di 3-3500 posti. Ci si domanda, perché non si intensifichi invece l’edilizia carceraria. La risposta purtroppo è semplice, non ci sono soldi. In effetti il piano carceri si è arenato, l’ampliamento delle carceri e l’edificazione di nuovi istituti di pena è stata bloccata.

Resta il sospetto che il destino di migliaia di detenuti sia finito in una partita politica più ampia e complessa, meno attenta a ragioni ideali o ideologiche. A parte la Lega che ha sempre detto no a qualsiasi misura di indulgenza, i grandi partiti assicurano un appoggio finora abbastanza teorico all’impegno profuso da Napolitano. Se per esempio lo slogan diventa “lo vuole l’Europa”, ce lo chiede il Capo dello Stato, i partiti verrebbero sollevati  di un bel po’ di responsabilità. Un po’ come avvenne quando fu il papa polacco a perorare la causa.  Spesso poi la questione entra come merce di scambio in altre vicende legate alla giustizia ma di altra natura, come la legge sulla corruzione. Senza contare il patto fondante che ha prodotto la strana maggioranza al governo di cui Napolitano è allo stesso tempo ispiratore e garante e che, a naso, non può prevedere che uno dei contraenti scompaia perché la minaccia pendente di una sentenza avversa grava su di lui.