Anna Frank, quell’allenatore orgoglioso di non sapere chi è

di Riccardo Galli
Pubblicato il 26 Ottobre 2017 - 12:46 OLTRE 6 MESI FA
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La foto di Anna Frank apparsa sugli adesivi dell’Olimpico (foto Ansa)

ROMA – Anna Frank, quell’allenatore orgoglioso di non sapere chi è, chi era la ragazza ebrea mandata a morire dai nazisti nel campo di sterminio. Indovina chi è quell’allenatore, qui non lo diremo perché in fondo quell’allenatore è la voce genuina di gran parte del mondo del calcio. Lui, almeno, è stato sincero e non ha recitato la recita stucchevole dell’anti razzismo e fascismo e nazismo di maniera e da operetta.

Quell’allenatore è andato l’altra sera in televisione dopo la partita e a domanda se davvero avesse detto di non sapere chi fosse Anna Frank ha risposto subito cupo: “Dovete darmi almeno tre minuti per rispondere, ce li avete tre minuti?”. Glieli hanno dati e all’allenatore ne son bastati meno di tre di minuti per dire: “Ero in conferenza stampa, non avevo letto i giornali, non sapevo niente, parlavamo di Belotti, poi mi chiedono di questa Anna Frank, un bel salto…”.

Insomma l’allenatore non sapeva nulla di quanto accaduto a Roma, nello stadio di Roma. Raccontava di aver vissuto in una bolla impermeabile alle notizie ma soprattutto l’allenatore che non sapeva chi è Anna Frank questa cosa che non saperlo fosse un po’ imbarazzante, beh a questa cosa proprio non ci stava. E infatti con tono puntuto domandava al giornalista in studio: “Lei l’ha letto il diario di Anna Frank?”. “A scuola” era la risposta gentile ma secca del giornalista per una volta non succube dell’interlocutore. E qui l’allenatore coglieva l’occasione per mostrare il suo orgoglio del non sapere che è Anna Frank.

Spiegava quell’allenatore che nella sua patria a scuola si legge di un premio Nobel serbo, non di Anna Frank. Spiegava che ogni paese ha le sue letture e i suoi eroi e spiegava quindi senza rendersene conto neanche un po’ perché non è proprio il caso di chiedere a lui e all’ideal tipo dell’uomo calcio di essere democratici, civicamente impegnati, consapevoli e responsabili. Non è il caso perché orgogliosamente non sanno e non vogliono sapere.

Dicendo che lui non conosceva Anna Frank perché la ragazza non era serba (questo ha detto) e quindi non veniva resa nota nelle scuole da lui frequentate quell’allenatore ha ridotto la seconda guerra mondiale e al prima e il Novecento e la Shoah e il nazismo e la lunga guerra civile europea e il confronto mortale tra democrazie e dittature a pagine non comprese nel programma scolastico seguito. Dicendo che lui a buon titolo di questa Anna Frank non aveva mai sentito e, peggio del peggio, equiparando il razzismo di cui milioni di Anna Frank furono uccise con gli insulti di “zingaro” che la domenica raccoglie sui campi di gioco, quell’allenatore ha detto a tutti noi che per non fare del calcio la palestra del neo fascismo e nazismo, rivolgersi altrove. Lui e quelli come lui non sanno di cosa parlano e quel che fanno quando parlano.

Almeno però quell’allenatore è stato sincero, genuino. E la sua sincerità e schiettezza hanno mostrato per riflesso tutta la precarietà della recita democratica e anti razzista messa in scena dal mondo del calcio. La squadra della Lazio con la maglia di Anna Frank e i nazifascisti al seguito della squadra in quel di Bologna a ritmare “Me ne frego” a braccio teso nel saluto a Mussolini e Hitler.

E in ogni stadio l’incapacità congenita di qualcuno genericamente definito ultras ad ascoltare due righe due del famoso Diario di Anna Frank, ascoltare senza dare segni di insofferenza e agitazione. E redazioni e studio e telecronache a recitare la giaculatoria del “contro ogni razzismo” dove quell’ogni ha il chiaro sapore e significato del non chiedeteci di sapere davvero, di agire davvero.

Quell’allenatore che non sa, orgogliosamente non sa chi è Anna Frank non deve stupire e neanche destare giudizi ingenerosi e fuori luogo verso di lui, quell’allenatore è, con qualche eccezione, l’uomo tipo del mondo del calcio. E il contrasto e perfino la condanna del razzismo, nazismo e fascismo è cosa troppo seria per metterla in mano, sia pure per un momento, una frase, una sera, ad uomini così.