Bersani: “Non vado alla Leopolda. Se fosse stata fatta come Pd io in prima fila”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Ottobre 2014 - 00:59 OLTRE 6 MESI FA
Bersani: "Non vado alla Leopolda. Se fosse stata fatta come Pd io in prima fila"

Bersani: “Non vado alla Leopolda. Se fosse stata fatta come Pd io in prima fila”

ROMA – Non va alla Leopolda (estranea al Pd) nè alla manifestazione della Cgil (ma li capisco) e conferma la sua “lealtà al partito e al governo” (“non tiro il freno”); inoltre, assicura, voterà la fiducia al Jobs Act, ma con l’occasione rivendica l’esistenza di una sinistra, “un’idea di sinistra che forse non è quella che ha Renzi, quella della sinistra delle opportunità, dell’uguaglianza”: Pier Luigi Bersani è e resta legato a doppio filo con il suo partito e non intende fare sconti a Renzi, ad esempio sulla legge elettorale (su questo “non transigo”), sull’allargamento del partito ad esterni, sul nodo del lavoro e sull’articolo 18; e non lesina critiche alla legge di stabilità e ad alcune sortite “demagogiche” del premier sulle regioni e sui “tagli lineari”; con un altolà sul Tfr e i fondi pensione (“attenti a non mangiarsi il futuro”).

L’ex segretario del Pd, ospite di Ballarò ha illustrato il suo contro-piano. “La Leopolda? Non vado: quando Renzi farà una bella cosa come Pd io sarò in prima fila”, ha chiarito Bersani che sente quella iniziativa come estranea al partito. “Il tuo valore aggiunto – ha incalzato – mettilo a casa tua. Se ti inventi altri marchi, qualcuno, sbagliando, può pensare che stia promuovendo altri prodotti”. “Non appoggio” la manifestazione della Cgil “ma la capisco – ha poi spiegato Bersani -: penso che ci siano buone ragioni, soprattutto quando si parla di dare un occhio alle politiche industriali, sul fatto che abbiamo perso 25 punti di produzione industriale, 19 punti di capacità produttiva, c’è crisi aziendale ovunque. Bisogna che ce ne occupiamo un po’ di più”.

E il ruolo che intende svolgere in questa fase è quello del mediatore: “Io devo dare una mano perché ci sia un ponte tra il grande mondo del lavoro con il governo e il partito, darò una mano così”. Bastone e carota sul Jobs Act: “Certo che voto la fiducia, non metto il freno alla riforma, ma era più giusto porre la sfida sul cuore del problema che è la flessibilità in azienda, cioè la partecipazione e il decentramento, non tirare il freno a mano sull’art. 18 che riaccende tutti i fuochi senza portare nessun serio beneficio”.

Sarcasmo sull’allargamento del partito: “Vogliamo fare un partito che va da Romano a Migliore? Va bene basta che non ci siano Berlusconi e Verdini”. Ma “il tema del ‘piglia tutto’ – ha attaccato – per un Paese non è un’idea positiva perché determina un conformismo paludoso con ai margini una radicalizzazione. Due cose inservibili per il cambiamento e per le riforme”. Quanto alla legge elettorale – ha chiarito l’ex segretario Pd – “Io sono disposto a ragionare sul premio di maggioranza al partito piuttosto che alla coalizione, ma il punto è un altro. Così come abbiamo aggiustato il Senato nominato, per favore, i deputati non li nominiamo perché sennò c’è qualcuno che nomina i deputati che nominano il Presidente della Repubblica, i rappresentanti della Corte Costituzionale, del CSM e io non sono d’accordo radicalmente. E comunque se si discute ok, “ma l’ultima parola spetta al Pd non a Berlusconi o a Verdini…”..