La cultura italiana sotto la scure della Manovra. La “frenesia” del taglio sui gioielli nazionali

Pubblicato il 31 Maggio 2010 - 08:25| Aggiornato il 2 Giugno 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il Vittoriale degli italiani

La scure di Tremonti si abbatte sulla cultura e nella frenesia del taglio a tutti i costi sembra non voler risparmiare proprio nessuno. E’ così che la manovra economica – agitando lo spettro greco e la profonda crisi che ora tutta d’un tratto appare più pericolosa e preoccupante – sacrifica sull’altare del risparmio 232 istituti ed enti culturali.

L’articolo 7 è chiaro e spiega che a decreto approvato «lo Stato cessa di concorrere al finanziamento degli enti, istituti, fondazioni e altri organismi», indicati nell’infinito elenco che snocciola uno dopo l’altro i 232 nomi. Un piccolo particolare sfugge però a chi ha in mano la “forbice”: nella lista, infatti, compaiono alcuni enti enti effettivamente inutili o anacronistici ma anche vere e proprie glorie nazionali. Due esempi su tutti: il Vittoriale, la cittadella monumentale costruita sulle rive del lago di Garda dal poeta Gabriele D’Annunzio dal 1921 al 1938 e il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Per non parlare dell’Accademia Filarmonica di Bologna (fra i soci ci fu anche un certo Mozart), ma anche l’istituto nazionale di studi verdiani, le fondazioni intitolate a Einaudi a Torino, a Croce a Napoli, la società dantesca. Non solo.

Decine di fondazioni sorte per ricordare anniversari di italiani illustri come Mario Soldati o il Pinturicchio. Ma anche la Triennale di Milano e la Quadriennale di Roma, l’associazione musicale Giovanile (Agimus) e l’Associazione nazionale combattenti e reduci. La società Geografica italiana e le fondazioni Adriano Olivetti di Roma e quelle milanesi Arnoldo e Alberto Mondadori e Giangiacomo Feltrinelli, nonché il museo Poldi Pezzoli. Ma ci sono anche le fondazione Arena di Verona e festival dei Due mondi di Spoleto, le fondazioni Gioacchino Rossini di Pesaro, Giorgio Cini di Venezia e l’Istituto Gramsci di Roma. Ma anche la fondazione Lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari e il Gabinetto Vieusseux di Firenze.

Nessuno di questi riceverà più i fondi statali e per loro il rischio di chiusura è più che concreto.

Ma quale sarà il vero risparmio? E’ necessario un taglio di questo tipo a enti che non appaiono poi come un lusso per l’Italia ma a ben vedere rappresentano alcuni dei suoi gioielli, fonte di fama e turismo, quindi di quel guadagno di cui c’è così bisogno? E dove mettiamo il prestigio della storia? La tradizione culturale nella quale affondano le radici di questo Paese che potrebbe vivere soltanto del suo patrimonio storico – artistico?

Ma il taglio appare necessario e il barbiere ha fretta di tagliare. La storia e la memoria del cinema italiano sono destinati a sparire, è il grido di allarme di Francesco Alberoni, da otto anni presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia e della Cineteca Nazionale, alla luce delle misure previste dalla manovra. «Nel nostro caso – spiega Alberoni – non si tratta di tagli ma proprio di stop ai finanziamenti: significa smettere di insegnare e produrre cinema e soprattutto di conservarlo, buttando a mare migliaia di titoli che hanno fatto la storia del cinema italiano. Il nostro è il caso di una di quelle istituzioni che sono totalmente finanziate dallo Stato (10 milioni di euro) e senza quel denaro significherebbe sparire. E con noi sparirebbe la Cineteca Nazionale che conserva e restaura tutti i film italiani». Alberoni fa appello al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al capo dello Stato che dovrà firmare il decreto.

La storia del cinema è totalmente finanziata dallo stato che non vuole più elargire i suoi fondi, come se il risparmio bastasse a rimpinguare le sue casse, ma in alcuni casi la fretta di tagliare è stata tale da colpire anche chi quei fondi non li riceveva più. E’ il caso del Vittoriale degli italiani, altro gioiello nazionale già privato del sostegno statale. «L’inserimento nell’elenco dei 232 istituti che non riceveranno più fondi è curiosa e anche un pochino sgradevole» dice allora Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione del Vittoriale degli Italiani, che figura al numero 150 dell’elenco allegato alla manovra finanziaria. «Il Vittoriale ha rinunciato spontaneamente al finanziamento del governo l’anno scorso – spiega Guerri – Il governo ha approvato il decreto di privatizzazione e il 16 dicembre del 2009 è stato varato il nuovo statuto per privatizzazione. Quindi di fatto dal primo gennaio è una fondazione di diritto privato e non più una a fondazione statale. Del resto il contributo dello Stato era di 43 mila euro l’anno e quindi rinunciarci non è stato un grande sacrificio. Considero curioso l’inserimento in questo elenco, e anche un pochino sgradevole. Il Vittoriale è in attivo e si finanzia da solo».

Se il ministro della semplificazione Roberto Calderoli difende il provvedimento criticando molti di questi enti che non hanno fornito allo Stato i dovuti bilanci, gli attacchi alla manovra giungono anche dalla stessa maggioranza: il titolare dei Beni culturali, Sandro Bondi dice no ai “tagli indiscriminati alla cultura” e lancia il suo allarme: «Avrei voluto che la decisione sugli enti a carattere culturale fosse stata presa insieme, il Ministero dei beni culturali non doveva essere esautorato». «Io sono in totale sintonia con Tremonti sulle motivazioni che muovono la manovra, per le difficoltà in cui si muove il paese e la necessità di tagli coraggiosi. Molti degli enti che figurano in quell’elenco – aggiunge Bondi – vanno soppressi, ma alcuni come il Centro sperimentale di cinematografia, la Triennale di Milano, il Vittoriale, non possono in nessun modo essere considerati lussi».

Eccellenze o enti inutili, insomma? Prevarrà la perdita culturale o i vantaggi economici? Alla manovra l’ardua sentenza.