Le case della Polverini: un abuso, una irregolarità, un affare. Lei dice: “E’ l’ascensore sociale”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 21 Marzo 2011 - 16:00 OLTRE 6 MESI FA

Renata Polverini

Giornalisti ficcanaso, aizzati da compagni di partito e avversari politici invidiosi, hanno portato queste vicende agli onori della cronache e la Governatrice si è giustamente sentita in dovere di dire la sua attraverso due interviste concesse a Repubblica e al Corriere lo scorso fine settimana. Si dichiara innocente ovviamente, ma neanche tanto. E’ solo fango, storie vecchie, invasione della privacy e quant’altro ma, leggendo quanto dice la Polverini la verità emerge. Ed emerge soprattutto un sorprendente, o forse molto poco sorprendente, Polverini-pensiero.

“Il canone mensile non è di 130 euro (ma meno di 400, ndr). È un attacco personale, strumentale”. S’indigna la Governatrice con Paolo Foschi del Corriere della Sera. E dice il vero, infatti il canone d’affitto che Massimo Cavicchioli, suo marito, corrisponde all’Ater è di circa 380 euro, e questo perché Cavicchioli, essendo “occupante abusivo”, paga il canone sanzionatorio. Quindi dice il vero la Polverini, suo marito paga ben di più di quanto riportato da alcuni giornali, e lo fa proprio perché è abusivo. Paga comunque una miseria rispetto al mercato ma è bene precisare che lo fa perché abita in una casa a cui non ha diritto. Brava Renata. E infatti Cavicchioli, sapendo di essere abusivo, ha chiesto ben due volte all’Ater di poter comprare l’appartamento in questione, e per due volte gli è stato detto di no. Cosa che dimostra che il marito della Governatrice ha reddito sufficiente per comprare una casa e che non la può comprare dall’Ater perché non ne ha diritto. E poi perché ci abita? Quella casa era stata assegnata ai nonni ed è arrivata al nipote marito della Polverini per via “ereditaria”. “Quella casa fu assegnata legittimamente ai nonni di Massimo Cavicchioli, che poi è diventato mio marito, negli anni Venti. Mio marito, quando aveva 11 anni, nel giro di sei mesi ha perso prima il padre, poi la madre. E rimasto orfano insieme alla sorella di un anno più grande di lui, è sempre rimasto in quella casa”. Tutti sinceramente dispiaciuti nel conoscere la storia della difficile infanzia del marito dell’ex sindacalista, ma quello che il giornalista del Corriere ha dimenticato di domandare è: cosa c’entra questo con l’assegnazione della casa quando poi lo sfortunato Massimo è diventato grande e ha per sua fortuina e merito superato il limite di 18mila euro annui che è la condizione per avere una casa popolare? Niente, non c’entra nulla, è un abuso e infatti Massimo Cavicchioli è “abusivo non sanabile”.

Il pezzo forte dell’intervista però deve ancora arrivare. I cittadini del Lazio hanno scelto come Governatrice della loro regione, grazie al Pdl che l’ha presentata, una ex sindacalista che alla domanda di Mauro Favale di Repubblica: “Sa che uno dei requisiti per mantenere un alloggio Ater è il reddito?” ha risposto candidamente “Ora lo so”. Come “ora lo so”…. A parte che la legge non ammette ignoranza, come è possibile che una persona che ha fatto delle lotte sindacali il suo lavoro e che poi ha deciso di candidarsi all’amministrazione della cosa pubblica, vincendo, non sappia che le case popolari sono assegnate anche in base al reddito? Pensava forse la Polverini che fossero assegnate con una specie di lotteria, un gigantesco gratta e vinci? Ovviamente finge di non sapere, di non aver saputo fino ad “ora”. Il Corriere  le domanda: “Ma quando abitavate insieme in via del Bramante (all’Aventino nella casa Ater ndr), lei e suo marito eravate in possesso dei requisiti reddituali e patrimoniali per usufruire di una casa dell’Ater? I proprietari di altri immobili del valore di oltre 100 mila euro nello stesso Comune per esempio decadono automaticamente. E dall’inchiesta dell’Espresso risulta che lei ha acquistato e rivenduto altri immobili fin dal 2001, quando ancora viveva in via del Bramante…”
Risponde: “ma io di questo non voglio parlare, non voglio entrare nel merito delle questioni dell’Ater e non ho fatto la ricostruzione delle date, non mi interessa”. Non le “interessa”, però offre una lezione di realismo: “se si dovesse applicare il criterio dei requisiti forse la metà delle persone che vivono in case Ater dovrebbero andare via”. Dato verosimile, anzi vero stando ai dati della stessa Ater che stima in circa 7000 gli inquilini “fuori requisiti”, ma non dovrebbe forse la Governatrice in quanto pubblico amministratore dare il buon esempio? La Polverini invoca il così fan tutti e socialmente lo giustifica: “Quello su cui dobbiamo riflettere è altro: invochiamo sempre il funzionamento del cosiddetto “ascensore sociale”. Per mio marito ha funzionato. E non può essere un elemento di disturbo. Non per questo merita di finire sui giornali. Bisognerebbe rivedere i criteri, creare le condizioni per far stare in queste case chi ci vuol stare”.

Tradotto, mio marito non è più povero,  per questo ci vogliamo accanire con lui, togliergli la casa dei poveri? Al massimo aumentiamo un po’ gli affitti così almeno l’Ater ci tira su due lire. E Favale comprensibilmente le domanda: “Ma se chi non ha i requisiti resta in queste case, anche pagando di più, cosa succede a chi, vivendo in situazioni di indigenza, non riesce a farsi assegnare un alloggio popolare?”. Risposta: “Allora dobbiamo decidere se considerare le case popolari depositi temporanei in cui si resta finché non si guadagna qualcosa in più. Uno stipendio che poi magari ti impedisce di trovare affitti altrove. Le persone vivono e crescono in un quartiere. Siamo italiani, sentiamo il radicamento più di altri. Non siamo culturalmente abituati a fare numerosi traslochi. Rendiamo le case Ater in grado di generare reddito, piuttosto”.

“Non siamo culturalmente abituati a fare traslochi”. Una motivazione rispettabile e direi sufficiente a chiudere la questione, se non si ha voglia di fare gli scatoloni, mica ci si può accanire. E se sei povero ci dovevi riflettere prima di diventarlo. La Polverini e le sue case: quella all’Aventino è un abuso “sanato” a suo dire da diritto ereditario. Quella ex Inpdap comprata al Torrino alle condizioni favorevoli riservate agli inquilini anche se lei non ha mai vissuto al Torrino. Come lei stessa rivendica prima di trasferirsi all’Aventino viveva alla Magliana. C’è poi una casa a San Saba comprata dallo Ior nel 2002, nove stanze, due box e tre balconi, pagata appena 272 mila euro. Cifra ridicola per il mercato immobiliare romano. E ancora, nello stesso stabile a San Saba, un altro appartamento comprato nel 2004, quando ancora era residente nella casa Ater, pagato stavolta a 666 mila euro (valore sempre di molto inferiore rispetto ai prezzi di mercato), di proprietà di una società in affari con la Santa sede. Un abuso, una irregolarità e un paio di buoni affari: tutte cose che capitano “nell’ascensore sociale”.