Corradino Mineo: “Renzi subalterno a donna bella e decisa”

di Ermete Trismegisto
Pubblicato il 5 Novembre 2015 - 08:25 OLTRE 6 MESI FA
Corradino Mineo: "Renzi subalterno a donna bella e decisa"

Corradino Mineo: “Renzi subalterno a donna bella e decisa”

ROMA- Matteo Renzi è  “subalterno a una donna bella e decisa”, “fino al punto di rimettere in questione il suo stesso ruolo al governo”. Lettera scritta e firmata da Corradino Mineo, fino a pochi giorni fa nello stesso partito del premier. Parole, quelle scritte da Mineo sulla sua pagina Facebook, che proprio per il loro sconfinare dalla dimensione della critica politica in quella privata, causano ovviamente risposte indignate non solo dai cosiddetti renziani ma da buona parte del Pd.

A scatenare la lettera livorosa di Mineo, al di là dell’opposizione politica alla linea Renzi, è stata un’intervista concessa dal premier a Bruno Vespa per il suo nuovo libro. Intervista in cui Renzi dice, tra le altre cose:

“Corradino Mineo? Un anno fa annunciò le dimissioni da senatore dopo aver offeso in modo squallido i bambini autistici. Disse: ho sbagliato, me ne vado. E’ sempre lì,a spiegare come va il mondo. Al massimo si dimette dal Pd, ma la poltrona non la lascia, per carità”.

Mineo, evidentemente punto sul vivo, non l’ha presa bene. E ha scelto la risposta epistolare. Scrive l’ex direttore di Rainews

“E lui sa che io so. So quanto si senta insicuro quando non si muove sul terreno che meglio conosce, quello della politica contingente, so quanto possa sentirsi subalterno a una donna bella e decisa. Fino al punto di rimettere in questione il suo stesso ruolo al governo. Io so, ma non rivelo i dettagli di conversazioni private. Non mi chiamo Renzi, non frequento Verdini, non sono nato a Rignano”.

E ancora Mineo, a proposito delle sue mancate dimissioni da senatore, accusa Renzi di “non avere stile”

 

“Diciamo che Matteo Renzi non ha stile. Non ho mai manifestato l’intenzione di dimettermi dal Senato, se non in un sms che mandai proprio a lui, disgustato dall’attacco volgare e strumentale che mi aveva mosso davanti all’assemblea del Pd, dopo la vittoria alle Europee. Fu poi Gianni Cuperlo, a riprendermi per i capelli e spiegarmi che la politica, ahimè, è anche questo – scorrettezza cialtrona – e che bisogna saper resistere. Grasso mi ricordò che avevo un mandato da onorare. Ma Renzi non si fa scrupoli, rivela conversazioni private, infanga per paura di essere infangato”.

“Quanto alla “poltrona”, a differenza forse di qualcun altro, io non ne ho bisogno. Ho lavorato per 40 anni, salendo passo dopo passo il cursus honorum, da giornalista fino a direttore. Probabilmente ho ancora “mercato”, potrei tornare a fare quello che ho dimostrato di saper fare. Non ora, perché ho preso un impegno accettando la candidatura che Bersani mi propose nel 2013, e lo manterrò, quell’impegno, in barba a chi vorrebbe “asfaltare” il dissenso”

Ma a far discutere di più è ovviamente il passo sulla presunta subalternità del premier a una donna. Mineo allude e non fa nomi. Il tono è vagamente minaccioso, specie quando l’ex Pd scrive: “E lui sa che io so”. E’ questo passo più di tutti a scandalizzare gli esponenti del Pd. Il renziano Andrea Marcucci parla di “bassezze” a cui replicare “con il silenzio”. Per Giachetti quello di Mineo è un “delirio da croce rossa più che da cosa rossa”. Per Gotor sono “meschinità”. Per Stefano Fassina, che di certo renziano non è, “Mineo ha sbagliato e deve scusarsi con Renzi”.

Solo che a scusarsi Mineo non ci pensa proprio. E il giorno dopo, sempre su Facebook, arriva una seconda lettera in cui Mineo precisa che non aveva intenzione di minacciare:

Ieri ho risposto a una mascalzonata – la riesumazione ad opera di Renzi di un mio vecchio sms privato per poter dire a Vespa che mi sarei dovuto dimettere da senatore e invece resto per amore della poltrona- con quella che è parsa un’altra mascalzonata. “Renzi in mano a una donna”, il Giornale; “Succube di una bella donna”, il Fatto. Stefano Fassina mi ha invitato a scusarmi. Mi scuso per aver dato la stura a interpretazioni siffatte. Non mi interesso di fatti privati, non intendevo fare riferimenti “sessisti”, come dice il Corriere, nè mandare “pizzini”, come scrive Repubblica.

Intendevo reagire all’imbarbarimento della politica di cui, secondo me, il primo responsabile è Matteo Renzi. É il premier che risolve ogni contrasto politico in una battuta sferzante, che supera ogni difficoltà “spianando e asfaltando l’avversario”. É la sua macchina informativa, sui giornali e in rete, che amplifica fino a promuovere veri e propri linciaggi. Questo mi premeva dire nel post “Risposta agli insulti di Renzi”. Nel quale, certo, ho disegnato un profilo del premier. Quello di uno politico straordinariamente abile nel conflitto politico quotidiano, ma senza una visione del futuro, incerto quando si esce dalla partira a scacchi immediata, insicuro, e anche subalterno, davanti ad alleati emotivamente più solidi, come può essere una “donna bella e decisa”.

“Lui sa che io so” non era minaccia, nè voleva esserlo. Era la constatazione desolata di come Renzi prenda il caterpillar ogni volta che si sente in fallo, che qualcuno accenna alle fragilità che si celano dietro la maschera spavalda, talvolta arrogante, che ama indossare. Io so. So che anche Renzi aveva capito che che la legge sulla scuola non era una buona legge -lo aveva persino detto in televisione- ma poi l’hanno convinto ed è passato in forza, imponendo la fiducia. So che sulla legge costituzionale ha spianato il Parlamento tre volte su ipotesi differenti e forse contraddittorie. La prima prevedeva un Senato di Governatori e Sindaci, la seconda di Consiglieri-Senatori nominati dai Consigli egionali, la terza di Consiglieri sì in qualche modo indicati dal voto dei cittadini. Questo so.

Ma non sono collettore nè diffusore di pettegolezzi. Anche giornali mi usano per far affiorare, fin nelle prime pagine, insinuazioni da molto tempo disseminate in articoli maliziosi e titoli ammiccanti. Sono colpevole di quel che scrivono? In parte sì: ancora una volta ho sottovalutato il degrado nel confronto politico mediatico nel nostro paese. E sottovalutando, ho provocato il cortocircuito. Di questo mi scuso, innanzitutto con me stesso.

Ribadisco, però, che tale degrado è conseguenza di una narrazione che spesso non entra nel merito delle scelte e delle riforme, ma divide il mondo tra chi ama l’Italia e chi gufa, tra vincenti e perdenti, rottamatori e rottamati.

Da 19 mesi, da quando il 26 marzo del 2014, insieme ad altri lasciai cadere l’offerta di Renzi -detta in pubblico, davanti a senatori e deputati- di una possibile reiterazione del mandato, alla camera, in cambio della rinuncia al dissenso sulla riforma costituzionale- da quel giorno sono sottoposto a un vero e proprio fuoco di fila. Che usa la mia età, la carriera fatta in Rai -che da titolo di merito diventa colpa-, il mestiere del giornalista -che mi rende “visibile”- la stessa scelta di accettare la candidatura nel Pd, come prove a corredo di una sentenza inappellabile: quest’uomo deve tacere, lasciare la scena, sparire.

Ho la pelle dura. So che l’intolleranza per ora la viviamo come farsa e non come tragedia, che il linciaggio per fortuna è solo mediatico, ma ho voluto dire basta. Spiegando che certe tecniche possono diventare e diventano un boomerang. Non per volontà o colpa di Mineo.