Cossiga: valori, furori e ombre di un democristiano scomodo

Pubblicato il 17 Agosto 2010 - 14:36 OLTRE 6 MESI FA

Francesco Cossiga

L’avversario più temibile di Francesco Cossiga si chiamava Francesco Cossiga. Del resto era stato proprio il presidente emerito della Repubblica morto oggi al Policlinico Gemelli di Roma a spiegare di avere dentro di se’ ”due o tre” verita’, legate a diverse personalita’.”Io non sono matto, faccio il matto. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno”: spiegò il presidente divenuto ‘picconatore’ nel 1990. ”Fotti il potere”, il suo ultimo libro, Cossiga lo vietava rigorosamente ”agli idealisti” perché spiegava che ”la verità è che la menzogna, ben piu’ della verità è all’origine della vita, perche’ se gli uomini si sono evoluti è stato solo grazie alla loro capacita’ di mentire agli altri e a se stessi”.

In questo libro Francesco Cossiga contestava, con brutale realismo, gran parte di quello quello che Cossiga Francesco aveva scritto e detto dal giorno del suo presunto addio alla politica, annunciato nel 2006 ma subito contraddetto. Tra le verita’ scomode dell’ultimo Cossiga: ”La mafia ci appartiene, tanto vale accettarla”, ”Governare e’ far credere”, ”I politici sono marionette nelle mani dei banchieri”.

L’ex capo dello Stato, in questo 2010, a 30 anni da Ustica e dalla strage di Bologna (all’epoca era presidente del Consiglio), aveva scelto di tacere, incerto se dare ragione a ‘Francesco Cossiga’ o a ‘Cossiga Francesco’. Nel 2007, dopo le assoluzioni dai depistaggi per i generali dell’Arma Azzurra, Cossiga disse che a sparare il missile di Ustica era stata la Francia: un errore, maledetto (senza spiegare perché un Mirage se sarebbe andato in giro per il Mediterraneo puntando aerei civili); ma subito dopo affermò di non aver mai detto che ad abbattere il Dc9 era stato un aereo di una ”potenza alleata”.

Insomma, una accusa subito dopo depotenziata e quasi smentita che tuttavia ha avuto l’effetto di far riaprire l’inchiesta a Roma. Stessa storia per la strage di Bologna: dopo aver per primo puntato il dito sull’estrema destra in Parlamento immediatamente dopo la strage, anni dopo chiese scusa al Msi perche’ ”era stato ingannato da una lobby”. Anche qui Cossiga Francesco contro Francesco Cossiga. Fu l’ex capo dello Stato il primo, citando le confidenze avute in Prefettura il 2 agosto 1980, a dire che la strage poteva essere la conseguenza di uno scoppio accidentale di un trasporto di esplosivo da parte dei Palestinesi.

Nel libro scriveva invece che la strage ”fu opera dei Palestinesi. A volte il terrorismo e’ utile”. Eppure nel 2008, Cossiga aveva sottolineato di non aver mai detto che si trattava di un atto volontario dei Palestinesi. ”La strage – disse rispondendo ad un esponente dell’Olp – fu causata fortuitamente e non volontariamente da una o due valigie di esplosivo che attivisti della resistenza o del terrorismo palestinese trasportavano per compiere attentati fuori dall’Italia e non comunque ad obiettivi italiani”. Ma le bombe non esplodono accidentalmente, se non innescate e cosi’ anche le valigie di esplosivo. Insomma, l’inventore del dileggio come arma politica e’ stato il primo a contraddirsi e a darsi torto spesso per la impossibilita’ politica di arrivare, per questa via, a dire quello che si sa o si e’ capito con gli anni.

Il picconatore. Prima di impugnare il piccone era talmente riservato e discreto era stato fino a quell’anno di svolta che molti, a vederlo improvvisamente menare fendenti, si chiesero se dietro le sue irrituali ”esternazioni” non ci fosse il germe della follia. Due Cossiga, dunque, hanno attraversato la storia dell’Italia republicana. Il Cossiga ”uno” si e’ occupato di servizi segreti, ha avuto la supervisione politica di ‘Gladio’ negli anni ’60, ha combattuto il terrorismo negli anni di piombo, e’ stato presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, eletto il 3 luglio del 1985, venticinque anni fa, alla prima votazione. Ma dopo cinque anni di Quirinale vissuti da notaio (lo consideravano talmente grigio e ”istituzionale” che nel 1985 lo votarono anche quelli del Pci); il Cossiga ”due” ha preso il sopravvento negli ultimi due anni al Quirinale e da allora e’ stato un implacabile fustigatore del quieto vivere politico.

Dietro la metamorfosi di questo sassarese cugino di primo grado di Enrico Berlinguer, con un debole per le onorificenze militari (e’ stato nominato prima capitano di fregata grazie a una legge del 1932, e poi anche vicebrigadiere d’onore dei carabinieri e commissario onorario della polizia) c’erano i primi scricchiolii della prima Repubblica. Cossiga pensava che il sistema, per sopravvivere, avesse bisogno di una scossa e decise che sarebbe stata lui a darla. ”Intendo togliermi qualche sassolino dalla scarpa”, fu la frase-manifesto con cui annuncio’ che da quel momento in avanti al Quirinale la musica sarebbe cambiata.

I suoi bersagli furono la Corte Costituzionale, il Csm, i politici democristiani e comunisti, il sistema istituzionale, i magistrati (tra questi anche quel ”giudice ragazzino” Rosario Livatino sbeffeggiato per voler fronteggiare la mafia senza nessuna esperienza e che poi dalla mafia fu ucciso). Cominciata nel 1958 con l’ingresso a Montecitorio, la vita politica di Cossiga si e’ snodata in gran parte lungo la direttrice della sicurezza nazionale. Ministro dell’Interno negli anni ’70 era diventato il lupo nero della sinistra extraparlamentare. I militanti del movimento studentesco scrivevano il suo nome sui muri con il ‘K’ e le due ‘s’ runiche dei nazisti: le scritte si intensificarono dopo che Cossiga mando’ i blindati e i poliziotti in borghese alla manifestazione dove mori’ la militante radicale Giorgiana Masi.

Era al Viminale anche durante i giorni del sequestro Moro: si dimise dopo che il cadavere del presidente della Dc fu ritrovato a via Caetani: si dimise per non aver saputo trovare in tempo i responsabili del sequestro. ”Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle – disse – e’ per questo, perche’ mentre lasciavamo uccidere Moro me ne rendevo conto”. Il punto culminante dell’attivita’ picconatrice al Quirinale si ebbe sulla vicenda Gladio. Cossiga non esito’ a svelare la genesi dell’operazione ”Stay behind”. Anche lui, da ragazzo, aveva aspettato i risultati delle elezioni del 18 aprile 1948 pronto a prendere in mano le armi se i comunisti avessero voluto tentare il colpo di Stato. Gli uomini di Gladio dovevano essere considerati come ”patrioti”. E chi non lo capiva si attirava la sua ira.

Osannato dalla destra ancora missina, per i post-comunisti di Achille Occhetto era un nemico da combattere. Cossiga e’ stato l’unico capo dello Stato della storia repubblicana a dover fronteggiare una richiesta di impeachment. Ma il rapporto tra Cossiga e la sinistra e’ stato piu’ complesso di quanto possa apparire a prima vista: gratta gratta il vecchio ”odi et amo” riemergeva sempre. Da una parte Cossiga sbeffeggiava Occhetto definendolo ”zombie coi baffi”, dall’altra aiutava D’Alema ad andare a Palazzo Chigi dandogli i voti dei suoi ”quattro gatti”. Pochi ricordano che Cossiga ha anche collaborato con L’Unita’ e ha elogiato Stalin per il contributo dato alla vittoria degli alleati. Negli anni, il suo gusto per le sparate e’ rimasto intatto; qualche tempo fa, suggeri’ di affrontare l’onda studentesca scesa in piazza contro il ministro Mariastella Gelmini infiltrando il movimento, provocando ”incidenti e devastazioni” per poi picchiarli e ”mandarli tutti in ospedale”. Paradossi o vere convinzioni? Come per tante altre sue affermazioni, solo l’enigmatico Cossiga conosceva la risposta.

Occhetto lo zombi, Berlusconi Carlo Magno. Tante sono le frasi a effetto e le battute brucianti per cui Francesco Cossiga sara’ ricordato. Eccone alcune: ”Adesso gli scherzi sono finiti”, 23 marzo 1991 – Intervistato alla Fiera di Roma, Cossiga, presidente della Repubblica, minaccia lo scioglimento delle Camere e annuncia la stagione delle ‘picconate’. ”Violante è un piccolo Vishinski”, luglio 1991 – In risposta all’esponente del Pds. ”Io ho dato al sistema picconate tali che non possa essere restaurato, ma debba essere cambiato”, 11 novembre 1991, alla presentazione del libro ”Cossiga, uomo solo” di Paolo Guzzanti.

”Io facevo parte di una formazione di giovani democristiani armati, armati dall’arma dei carabinieri, per difendere le sedi dei partiti e noi stessi nel caso che i comunisti, perdute le elezioni, avessero tentato un colpo di stato”, 11 gennaio 1992, rievocando le elezioni del 1948. Achille Occhetto, segretario del Pds, e’ uno ”zombi con i baffi”, che fa rivivere ”le cose piu’ abbiette e piu’ volgari del paleostalinismo”, 22 gennaio 1992. In risposta al Pds che attacca su Gladio.

”Se Berlusconi e’ il nuovo De Gasperi, io sono il nuovo Carlo Magno”, 18 aprile 1998, in risposta a don Gianni Baget Bozzo che esalta Berlusconi. ”Quando vedo Folena penso sempre a quanto ha perduto la moda e quanto poco ha guadagnato la politica”. ”Con la sua eleganza, la sua finezza e’ chiaramente un mancato indossatore”, 22 giugno 1998, in polemica con il responsabile giustizia dei Ds. ”Io ho concorso ad uccidere o a lasciar uccidere Moro quando scelsi di non trattare con le Br e lo accetto come mia responsabilita’, a differenza di molte anime candide della Dc”, 15 febbraio 2001.

”La giustizia sportiva e’ una buffonata”, 6 luglio 2006, su Calciopoli. ”E’ anche vero che io abbia una origine familiare di grandi tradizioni repubblicane, antifasciste, radicali e massoniche. Ma non sono stato e non potro’ mai essere massone perche’ sono cattolico”, 16 ottobre 2009, sui suoi rapporti con la massoneria.