Direzione Pd, minoranza compatta su art. 18. Renzi: “Parlo coi sindacati” VIDEO

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Settembre 2014 - 18:03| Aggiornato il 30 Settembre 2014 OLTRE 6 MESI FA
Direzione Pd, si tratta sul lavoro. Ma Renzi è netto: "Tabù da superare"

Matteo Renzi (Foto Lapresse)

ROMA – “Dobbiamo superare alcuni tabù di questi anni. Non si fanno mediazioni o compromessi a tutti i costi”: Matteo Renzi è chiaro. Sin dalle prime parole alla Direzione del Pd ribadisce le sue già note tesi sul lavoro e sullo sviluppo in Italia. Sull’abolizione del diritto di reintegro non cede. Non importa che la minoranza del partito, da Stefano Fassina ad Alfredo D’Attorre, financo a Matteo Orfini, freni sull’abolizione dell’articolo 18 e si dica pronta a non votare il Jobs Act, astenendosi al voto finale: Renzi tira dritto sulla sua strada, come aveva ribadito domenica sera da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”.

Se Gianni Cuperlo lancia un ultimo appello al premier per trovare un accordo, Pippo Civati definisce quella del premier una politica “di destra” e Massimo D’Alema sferra un attacco su tutti i fronti.

Ma Renzi nel suo discorso, prima degli altri interventi, va avanti:

“La riforma del mercato sul lavoro è un impegno europeo, ma non lo facciamo per questo. Noi veniamo al tema del lavoro per un fatto di dignità. Il lavoro non è un diritto ma è un dovere”,

dice, e accusa chi non vuole l’abolizione dell’articolo 18 di benaltrismo. Liquida il diritto al reintegro come qualcosa che non è fondamentale, e a favore della sua tesi cita la differenza tra aziende con più o meno di 15 lavoratori (e quindi tra chi gode della tutela e chi no). Ricorda il calo della natalità e dice che con la sua riforma si tutelerà la maternità.

“Questa riforma è di sinistra se la sinistra serve a difendere il futuro e non solo il passato, se serve a difendere tutti e non qualcuno che è già garantito, se la sinistra è il cambiamento e non la conservazione”.

Poi ai sindacati:

“Sfido anche i sindacati italiani. Sono pronto a consultarmi domattina con Cgil, Cisl, Uil, tutte le sigle sindacali che ci sono”.

Renzi ribadisce il rispetto del limite del 3%, che lui vuole garantire e che verrà mantenuto nell’aggiornamento della Legge di Stabilità, che comunque destinerà fondi agli ammortizzatori sociali e alla riduzione del costo del lavoro.

Non manca il riferimento alle dinamiche interne del Pd, con il fiorire di minoranze e correnti sempre più critiche. “Siamo l’unico partito che discute al proprio interno, anche con una certa animosità”. Allo stesso tempo, però, avverte: “Non si fanno mediazioni o compromessi a tutti i costi”. E invoca, forte del suo 41%, il “rispetto per gli elettori”.

Reduce dall’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente del Consiglio parla di “situazione esaltante e drammatica”, sia dal punto di vista geopolitico che economico. Cita il Congo e la Francia, ricorda il successo delle elezioni europee che hanno fatto sì che il Pd frenasse “l’avanzata dell’antipolitica”. Definisce i cosiddetti poteri forti “poteri aristocratici”, cita Chesterton e ribadisce: “Il voto delle europee legittima agli occhi degli elettori questa nostra politica del lavoro”.

Ricorda le vittorie alle elezioni in Sardegna, Abruzzo e Piemonte, e quelle alle comunali. Rivolge un applauso a Stefano Bonaccini, eletto alle primarie in Emilia Romagna. Torna a parlare degli 80 euro netti in busta paga, un fatto “di giustizia sociale, di dignità”, e del concorso per 149mila insegnanti.

“Oggi la scuola è un progetto su cui chiunque può dire la propria”.

Cita la riforma della giustizia come un modo che permetterà all’Italia di avere gli stessi tempi, nei processi civili, di Francia e Germania. Nomina i magistrati che danno una mano al governo, Mario Barbuto e Raffaele Cantone. E poi, sulle tasse, dice:

“Abbiamo abbassato le tasse sul lavoro alzando quelle sulla rendita finanziaria”.

Ricorda “il tetto ai manager, le auto blu, i permessi sindacali, Electrolux salvata grazie al decreto Poletti, il ruolo internazionale dell’Italia”. Prova così a confutare la tesi della “annuncite”.

Poi la stoccata a Massimo D’Alema, critico sul ruolo del Partito socialista nella commissione europea, e ricorda gli italiani con cariche importanti in Europa: Silvia Costa, Federica Mogherini, Gianni Pittella.

Alla fine, l’ultimatum: o decidiamo noi o decide la troika.

“Il futuro è diventato la più grave minaccia che abbiamo di fronte. Il 25 maggio si è aperta una finestra di opportunità straordinaria. Sono certo che il Partito democratico la vorrà cogliere”.