Dopo Grillo gli scappa Renzi. Non esiste piano B…come Bersani

Pubblicato il 7 Marzo 2013 - 09:14| Aggiornato il 8 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La linea di Bersani è tracciata: dice “non inseguirò Grillo”, ma la Direzione approva la sua apertura al MoVimento 5 Stelle e i famosi 8 punti, non prevede piani alternativi come fa invece il resto del mondo non Pd ma intanto immaginare una collaborazione con un Pdl  deberlusconizzato non è più tabù (D’Alema). Ritira la minaccia di ritorno immediato alle urne per compiacere il Capo dello Stato, ma il titolo più succoso (Corriere della Sera) il giorno dopo l’unanimità al piano Bersani, è sul duello, dato per possibile se non scontato, per le prossime inevitabili primarie Pd, tra Renzi e Fabrizio Barca.

Il tentativo di Bersani viene cioè già consegnato, in anticipo sugli stessi eventi, al cestino delle buone intenzioni disperate. “Vorrei ma non posso”, scrive su Blitz Lucio Fero. Non è tanto il “suicidio assistito” di cui parla sprezzante il direttore di Libero Belpietro. Piuttosto, bisogna guardare all’atteggiamento di Matteo Renzi, puntualmente registrato da Federico Geremicca su La Stampa, per orientarsi, quali improvvisati rabdomanti, in questa crisi senza sbocchi apparenti o soluzioni a portata di mano.

Matteo Renzi si è presentato alla Direzione, ha fatto capolino ma è rimasto più che defilato: finito di parlare Franceschini, ha preso guanti e cappello e se ne è andato. Bocca cucita, fino a che il Messaggero di oggi non ha riportato la sua previsione: legislatura breve. Finora aveva sempre sostenuto “sto con Pierluigi, sto con Pierluigi”. Dice Geremicca che bisognerà aspettare per vedere se la mossa di Renzi (mezzo dentro e mezzo fuori il partito) è giusta o sbagliata.

“Ma come – si è sfogato tornando (il sindaco ndr.) a Firenze – sono giorni che insisto a dire che se avessimo cavalcato noi l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti avremmo spuntato qualche unghia a Grillo, e Bersani che fa? Nemmeno ne parla nella relazione introduttiva… Qua si rischia di andare avanti come prima. Ma come prima non va bene affatto”.

Matteo Renzi ha voluto fortemente marcare una differenza con il resto del gruppo dirigente, con cui teme perfino di essere fotografato insieme. Come Grillo, più scappa, più lo cercano: oltre alla reale insofferenza per riti e bizantinismi anacronistici, c’è anche una strategia per prendersi la ribalta. In molti nel partito, dalla direzione ai militanti, lo rimproverano: “Sarebbe utile che parlasse al partito, non a Ballarò”, o al Messaggero, direbbero oggi.

Il fatto, come onestamente ha notato anche qualcuno alla direzione, è che Renzi con la sua sola presenza, pone una questione cruciale sulla forma-partito, prima che sulle sue scelte politiche: un Pd leggero, adatto alla democrazia liquida, svelto a devolvere la sua dote al servizio di un progetto personale, “carismatico” (libero di allearsi già da ora con un Monti), c’è questo dietro Renzi. C’è l’opposto, una forte organizzazione di stampo socialdemocratico, tra i futuri sostenitori di Fabrizio Barca?