Governo e Fiat: la “compra” o la “vende”? In attesa del match Monti-Marchionne

Pubblicato il 19 Settembre 2012 - 12:50 OLTRE 6 MESI FA
Mario Monti a colloquio con Sergio Marchionne

ROMA – Marchionne -Monti, l’auspicato incontro, si svolgerà sabato alle 16 a Palazzo Chigi. Invocato dai partiti, preteso dai sindacati, l’appuntamento rischia di suscitare troppe aspettative. Cosa, ragionevolmente, è lecito aspettarsi? Quali carte ha effettivamente in mano il Governo, in che cosa consiste esattamente “l’impegno dell’Italia” richiesto da Marchionne? I maggiori giornali si sono esercitati sullo scandaglio delle opzioni possibili, lo scarto delle soluzioni improbabili, l’elenco delle incognite. Stante il fatto che di soldi, direttamente, non ne può mettere l’Italia, configurandosi come aiuti di Stato vietati dall’Europa.

Per Massimo Mucchetti del Corriere della Sera, vista l’impossibilità di competere sull’unico segmento che ancora tira i Europa, quello occupato dalla Alfa Romeo, la Fiat dovrebbe decidere di venderla e il Governo dovrebbe incalzare il management proprio su questa proposta a difesa di uno stabilimento e dei posti di lavoro. Uno tra Mirafiori, Pomigliano, Cassino e Melfi è di troppo per il conclamato eccesso di capacità produttiva e anche Marchionne ha fatto capire che, in una logica di soli costi benefici sarebbe stato già chiuso. Al Corriere della Sera risulta già avviato il piano della banca Lazard che lo ha prospettato a Marchionne e Elkann. Volkswagen è alla finestra: interpellato sul tema, Eric Felber, portavoce della casa tedesca, ancora oggi conferma con cautela: “Non è un segreto il fatto che riteniamo Alfa Romeo un marchio interessante. Ma si puo’ star sicuri del fatto che con 12 marchi abbiamo gia’ abbastanza da fare”.

Per Salvatore Tropea di Repubblica la “salvezza” dei 25 mila dipendenti italiani sui 190 mila sparsi nel mondo, potrà avvenire solo grazie alle garanzie americane, dove i modelli si vendono. Il piano che Marchionne illustrerà a Monti, in attesa che la ripresa in Europa si compia, diciamo a partire dal 2014, è questo: fette importanti di produzione Usa verranno dirottate in Italia. Qualcuno dei nuovi modelli pensati per il mercato americano e presentati qualche giorni fa a Los Angeles, verrà realizzato negli stabilimenti italiani. “Salvataggio alla rovescia” lo definisce Tropea, alludendo al salvataggio della Chrysler reso possibile dall’intuito di Marchionne e i ponderosi aiuti statali voluti da Obama a tutela della motor-city di Detroit.

Per Andrea Malan la via è ancora più stretta. Per evitare di chiudere uno stabilimento in Italia, Marchionne si vedrà costretto a chiedere al Governo di contribuire all’impegno. Chiederà, con molta probabilità  una cassa integrazione prolungata. Il presupposto di Marchionne è sempre quello sull’investimento in Pomigliano: “Sulla base di considerazioni puramente economiche, nessuno lo avrebbe fatto”. D’altra parte la penetrazione internazionale della Fiat riguarda gli Usa degli aiuti di Obama, i sussidi a vario titolo in Brasile e in Serbia. Anche se, è proprio Marchionne a ribadirlo, la storia degli incentivi si è rivelata una gigantesco differimento dei problemi strutturali, dei nodi che inevitabilmente sarebbero venuti al pettine.

Ultima opzione, rilanciata dal Messaggero, è una forma indiretta di aiuto alla Fiat attraverso il raddoppio della rete di distributori di metano, un gas sul quale la Fiat ha puntato più dei suoi concorrenti.