Finanziamento pubblico ai partiti: serve, ma non vogliono la Corte dei Conti

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Luglio 2013 - 09:38 OLTRE 6 MESI FA
Finanziamento pubblico ai partiti: sì? No? Basta usare la Corte dei Conti

Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti (foto Lapresse)

ROMA – Finanziamento pubblico ai partiti: Enrico Letta vuole abrogarlo, i partiti vogliono mantenerlo. Ma forse basterebbe soltanto un maggiore controllo.

Il disegno di legge per la cancellazione dei soldi pubblici ai partiti arriverà a breve in Parlamento. Tra i suoi sostenitori più accaniti, l’attuale premier, nonché Matteo Renzi. Il Movimento 5 Stelle (paladino della lotta contro i finanziamenti) non è contento perché il sistema del 2 per mille garantirebbe comunque introiti ai tanto odiati partiti.

La realtà probabilmente è nel mezzo. Punto primo: i soldi pubblici ai partiti sono necessari per evitare che i soldi arrivino sotto banco (vedi Tangentopoli) o grazie a sponsor personali (chi è più ricco ha anche più mezzi a disposizione). Punto secondo: Le spese dei partiti, però, devono essere controllate (spiega Alessandro Trocino sul Corriere della Sera che nel 2012 a fronte di 2 miliardi di euro finiti nelle casse dei partiti, sono state rendicontate le spese per 500 milioni). Punto terzo: la funzione di controllo sui partiti deve essere svolta da un organo terzo, come la Corte dei Conti.

Sergio Rizzo sul Corriere spiega nel dettaglio come il governo vorrebbe regolare il finanziamento:

Ma a regole molto rigide dovrebbe essere sottoposto anche il finanziamento pubblico. Innanzitutto l’ammontare: un tetto massimo di 30 milioni per le elezioni di Camera, Senato, regionali ed europee. Nei cinque anni di un intero ciclo elettorale, dunque, nelle casse dei partiti non potrebbero arrivare dallo Stato più di 120 milioni, contro i 455 previsti dalla legge approvata a luglio del 2012. Quei soldi, «ripartiti in una quota fissa per ciascun partito e una quota variabile sulla base dei voti ottenuti», sarebbero erogati esclusivamente «per le spese effettivamente sostenute e debitamente documentate e rendicontate, una volta certificata e riconosciuta la loro ammissibilità da parte della Corte dei conti».

Quindi:

Ai finanziamenti accederebbero soltanto i partiti muniti di uno statuto che garantisca la democrazia interna, depositato presso la Corte costituzionale incaricata dei controlli di legittimità, e che presentino i candidati in almeno tre quarti delle circoscrizioni elettorali ottenendo più dell’un per cento dei consensi.

Alessandro Trocino, sempre sul Corriere, ha raccolto il punto di vista (ovviamente favorevole al finanziamento pubblico) dei tesorieri dei principali partiti.

Il più agguerrito Maurizio Bianconi del Pdl:

Bianconi parla di ddl ipocrita, perché «se la gente vuole eliminare il finanziamento lo si elimina sul serio e non si usano palliativi come il 2 per mille. E non si introducono cose che fanno morire dal ridere, come i programmi per l’accesso in tv e la sede gratis ai partiti».

attacca la Corte dei Conti, che ha segnalato come gli incassi dei partiti siano stati di 2 miliardi per soli 500 milioni di euro spesi: «I magistrati sono gli unici che si sono dati l’aumento di stipendio: non hanno diritto di parlare».

Sempre agguerriti, con toni più pacati, anche Ugo Sposetti del Pd e Sergio Boccadutri di Sel