Fini, fiocco verde sul secchio della spazzatura di Tulliani: sfida alla Finanza?

di redazione Blitz
Pubblicato il 16 Febbraio 2017 - 11:09 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un fiocco verde sul sacco della spazzatura lasciato in bella vista nella casa romana del cognato di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani, nel frattempo già trasferitosi negli Emirati Arabi dopo gli arresti dei co-indagati di dicembre scorso. E’ quello che la Finanza ha trovato durante le perquisizioni, senza risultato, in merito all’inchiesta per riciclaggio che ha portato al sequestro di beni per 5 milioni di euro alla famiglia Tulliani. Un segnale che gli uomini della Gdf hanno interpretato come uno sberleffo, che rimanda proprio al colore dei baschi verdi da loro indossati. Quel sacco era pieno di carte triturate con l’apposita macchinetta, il resto della casa e la cassaforte erano desolatamente vuote.

Scrive Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera che gli investigatori hanno annotato comunque il segnale di sfida sul loro verbale. Perquisizioni senza successo sono state condotte anche a casa di Fini e della compagna Elisabetta Tulliani. Ma anche in quel caso, annota Bianconi, l’assenza di computer e documenti è risultata comunque sospetta agli occhi degli investigatori. Intanto gli inquirenti continuano a cercare elementi di prova concreti per svelare la vera natura dei rapporti tra Francesco Corallo, il “re delle slot machine” da dicembre in carcere per un’evasione da centinaia di milioni e figlio di Gaetano, ritenuto il cassiere del clan Santapaola, e i Tulliani.

Una “contiguità”, secondo l’accusa, durata almeno fino al 2009 e che ha visto l’imprenditore partecipare anche al compleanno delle figlia di Fini nell’appartamento privato dell’allora presidente della Camera dei Deputati. Sarebbe proprio quel rapporto che ha spinto Corallo, “il titolare di un’ impresa colossale”, a fare operazioni finanziarie e immobiliari assolutamente in perdita, tra cui l’acquisto della ormai famosa casa di Montecarlo, con i Tulliani, “una famiglia della piccolissima borghesia romana”. L’ex vice premier ed ex presidente della Camera finisce così nel registro degli indagati della procura di Roma con l’accusa di concorso in riciclaggio: dagli accertamenti bancari e finanziari, sarebbero emerse infatti nuove condotte illecite compiute dai Tulliani e dallo stesso Fini.

“L’avviso di garanzia è un atto dovuto – ha commentato lui – ho fiducia nell’operato della magistratura, ieri come oggi”. Nei confronti di Sergio, Giancarlo ed Elisabetta Tulliani il Gip ha disposto il sequestro di conti correnti e immobili per un valore di circa 5 milioni. Ma l’obiettivo è ora capire cosa leghi Corallo a Fini. O meglio, come scrive il gip, “quale era l’interesse di Corallo a coltivare così intensamente i Tulliani” e a fare con loro “considerevoli affari?”. Dice infatti il giudice che è “riduttivo credere che la vicenda si sostanzi nell’acquisto della casa di Montecarlo”. La questione, piuttosto, “è molto più ampia” e “stupisce davvero che un imprenditore del calibro e delle dimensioni di Corallo si attivi senza risparmio di risorse, economiche, tecniche, finanziarie, per diventare socio dei Tulliani”.

Una chiave di lettura la offre nell’interrogatorio Amedeo Labocetta, uomo di fiducia di Corallo, arrestato anche lui a dicembre. L’ex An, riporta il Gip, mette infatti a verbale: che Fini aveva conosciuto Corallo nel luglio 2004, quando era vicepremier, in una vacanza di due settimane ai Caraibi a spese dell’imprenditore; che “su sua indicazione Proietti Cosimi (ex braccio destro di Fini, ndr) era intervenuto presso il direttore dei Monopoli per revocare una diffida a Corallo nel 2005”; che due anni dopo “aveva chiesto a Labocetta che Corallo acquisisse un immobile di cui era intermediario Giancarlo Tulliani, che lo stesso Labocetta definisce fatiscente”. Dopo tutte queste “sollecitazioni”, prosegue il Gip, Corallo si sarebbe attivato, pagando la casa di Montecarlo ed eseguendo una serie di bonifici alle società off shore dei Tulliani. Circa due milioni che sarebbero serviti per consentire ai familiari di Fini, secondo la ricostruzione della procura, di acquistare un pacchetto azionario pari al 10% delle società dello stesso Corallo.

La prova di tutto ciò, gli investigatori l’avrebbero trovata nel pc di Giancarlo Tulliani nella perquisizione di dicembre 2016. “Un affare inusitato – scrive il giudice – connotato da sproporzione tra le somme e il valore dell’acquisizione”. Il progetto societario decade, ma nel 2009 Corallo fa un ulteriore bonifico di 2,4 milioni sul conto di Sergio Tulliani, “un impiegato dell’Enel in pensione non molto credibile come lobbysta”. Perché? Il Gip avanza un’ipotesi: il versamento è infatti successivo all’abbandono del progetto di società “ma antecedente al decreto 78/2009 che ha offerto cospicui vantaggi a Corallo, offrendogli la possibilità di offrire in pegno i diritti sulle Vtl ed ottenere un finanziamento per Atlantis/Bplus di 150 milioni”.

Di tutto questo, sostengono gli inquirenti, i Tulliani sarebbero stati “consapevoli”. Tanto che “quando Corallo esce di scena, svaniscono le società off shore e le movimentazioni transcontinentali” e iniziano “operazioni che lasciano tracce grossolane: il padre effettua bonifici alla figlia o al figlio, consente al figlio operazioni di reimpiego titoli, i due fratelli vendono l’alloggio di Montecarlo già provento di riciclaggio, ripartendosi i proventi, appena in tempo per ricadere in pieno regime di incriminazione per autoriciclaggio”.