Il giorno del dito e del letame: Berlusconi resta, Fini sanguina, il governo appeso a tre voti

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 14 Dicembre 2010 - 14:46 OLTRE 6 MESI FA

Il dito indice levato da Gasparri perché gli altri se lo ficchino dove sanno e il letame portato da casa e poi sparso dai manifestanti per le strade del centro di Roma sono purtroppo i segni più veri di questa giornata italiana: è stato il 14 dicembre un giorno…di sterco. Più di quanto si potesse immaginare e temere, più di quanto un paese può reggere. Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl, “infila” il suo dito indice nelle terga di chi non è riuscito a sfiduciare Berlusconi e non si accorge che quel gesto di trionfo non è solo volgare, è soprattutto autolesionista: il “dito” minaccia da vicino anche le terga del governo drammaticamente strette intorno a tre voti di maggioranza, tre voti strappati nella carne sanguinante di Fli, il partito di Fini. Il letame festosamente lanciato contro i palazzi del potere è la misura, il linguaggio e la cifra di una “marcia del letame” che è più rigurgito di massa anti-Stato che mobilitazione sociale contro il governo.

Governo che resta, soprattutto resta Berlusconi. Sarà stato il voto della deputata Polidori? Quello della deputata Siliquini? Quello del deputato Catone? Erano tre deputati di Fli, tre deputati di Fini. Non lo sono più, sono tornati da Berlusconi, con Berlusconi. La Mussolini sventola in aula la bandiera italiana, i deputati del Pdl chiedono le dimissioni di Fini da presidente della Camera gridandogli “Coglionazzo”. Fini ha perso tre dei suoi, Fini ha perso. Non ce l’ha fatta: Berlusconi resta presidente del Consiglio anche e soprattutto perché Fini è andato, ha voluto battaglia l’ha persa in primo luogo in casa sua. Fini oggi è il primo della lista degli sconfitti.

Resta Berlusconi, grazie ai tre ex finiani che sono tornati con lui, che hanno rifiutato la tesi politica esposta in aula da Bocchino capogruppo, quella di un centro destra possibile e migliore senza Berlusconi premier. Ma Berlusconi resta anche grazie al voto di un deputato, Grassano, a suo tempo espulso dalla Lega non per dissenso politico ma per amministrativa infrequentabilità. E grazie al voto di due deputati ex Idv, Razzi e Scilipoti, che hanno motivato il loro cambio di schieramento balbettando a più riprese motivazioni che sono una benevolente fantasia può riconoscere come politiche. Berlusconi ha vinto: 314 a 311, in quei 314 ci sono i due ex dell’Idv, due eletti con il Pd, Calearo e Cesario e i tre ex Fli riconquistati: marmellata parlamentare. Su questa marmellata dovrebbe poggiare un governo che dovrebbe durare ancora due anni e mezzo. Impensabile, ma in fondo non era questo il primo e forse nemmeno il vero obiettivo di Berlusconi: il primo era non doversi mai dimettere, raggiunto. Il secondo era quello di predisporsi ad eventuali elezioni, raggiunto. Governare era “obiettivo collaterale”, mancato. Lo dice con nettezza Bossi: “In aula solo casino, l’unica igiene è il voto”. Berlusconi ha vinto, è il vincitore di giornata, la sua vittoria ha però la consistenza di un  budino tremolante, la solidità della gelatina e la scadenza di uno yogurt. Dietro di lui marcia una maggioranza-zombie anche se per lui è stata Camera di Resurrezione.

Resta Berlusconi e adesso proverà a stritolare Fini e ad arruolare Casini. En passant, di sfuggita e alla bisogna, perfino a governare. La prima cosa sarà una festa dell’odio che erompe, il dito di Gasparri, il grido “coglionazzo”. Fini ferito, sanguinante ma non morto. La seconda sarà cosa lenta e vana. Perchè Casini non andrà a fare atto di contrizione. La grande manovra di “ricomposizione dei moderati” si esaurirà nella distribuzione di undici posti di ministro e sotto segretario rimasti vacanti in  attesa di aspiranti da premiare. Sarà cosa lenta e vana e sarà Bossi a dover decidere se aspettare, se restare a guardare. Ogni legge in commissione e in aula dovrà  stentare e cercare, perfino mendicare una maggioranza che spesso non si troverà. Fino a quando Bossi aspetterà prima di dire basta, prima di dire elezioni?

Ma il 14 dicembre del dito e del letame, quello che per Bossi è “casino e non igiene” a Berlusconi basta. Ancora una volta si mostra invulnerabile, ancora una volta si può narrare il mito dell’invincibile. Ha bastonato Fini, ha lasciato delusi e orfani della “liberazione da Silvio” Bersani e Di Pietro. Ha lasciato Vendola, che in Parlamento non c’è, ad intestarsi una mitica “maggioranza nel paese” che sarebbe quella che in piazza “vota” con il letame. Non ha una vera maggioranza, non ha un futuro di governo che non sia portare il paese alle elezioni. Ma ha avuto il suo trionfo, Palazzo Chigi e il centro destra sono ancora cosa sua. Niente abbatte Berlusconi, non l’opposizione dei finiani e neanche quella dei centristi dell’Udc. Non la sinistra riformista in Parlamento e neanche la protesta di piazza che fingono di essere consanguinei ma non sono neanche parenti. Non Di Pietro e neanche la certezza manifesta dell’arruolamento tra i berluscones dell’ultima ora di una plebea armata Brancaleone parlamentare. E’ festa grande e triviale, volutamente, smaccatamente, orgogliosamente triviale quella del Pdl. Dall’altra parte una mestizia fatta di sofferenza, delusione, soprattutto impotenza. E in piazza soprattutto rabbia, non di rado cieca e sorda. Sì, è stato proprio il 14 dicembre del dito e del letame.