Ignazio Marino, caos poltrone. Vicesindaco a Sel, Flavia Barca alla cultura
Pubblicato il 24 Giugno 2013 - 10:39 OLTRE 6 MESI FA
ROMA – La squadra di Ignazio Marino per Roma è quasi fatta. Ma nel “quasi” c’è tutta una guerra interna tra correnti, l’insoddisfazione di alcune aree del Pd, la recriminazione di chi in sede di campagna elettorale aveva aiutato l’allora candidato sindaco sperando in una poltrona che sembra destinata a non arrivare.
Il primo nome è quello del vice sindaco, un nome sicuro e c’è subito qualcuno che mastica amaro. Perché a fare il vicario di Marino andrà Luigi Nieri, ex assessore comunali e regionale di Sel. Tutto per mantenere fede all’accordo che Marino ha stretto con Nichi Vendola durante la campagna elettorale. E infatti Vendola è soddisfatto. Ma subito spunta un altro problema. Perché Marino, e non una sola volta, durante la campagna elettorale aveva parlato di un vicesindaco donna.
“È una decisione che ci lascia profondamente deluse e amareggiate. Anche perché Marino è un politico che ha sempre fatto del tema dei diritti uno dei suoi cavalli di battaglia. (…) Ci sono molte donne valide tra le file del Pd e dei partiti del centrosinistra, ci sono consigliere appena elette nell’ultima tornata amministrativa che con il lavoro di anni hanno raggiunto un’autorevolezza riconosciuta. Non poteva trovare tra di loro la persona adatta a ricoprire il ruolo di numero due? La parità di genere dovrebbe essere un dato acquisito, almeno nella sinistra. Invece sono costretta a dire una cosa che non avrei mai pensato. Che questa scelta rappresenta un passo indietro perfino rispetto ad Alemanno, che sappiamo tutti come ha amministrato questa città e quale spazio avesse dato nella giunta alle quote rosa.Ma almeno con lui avevamo un vicesindaco donna, oggi non è più così.
I delusi: Enzo Foschi (Zingaretti), Mirko Coratti (popolari) al quale potrebbe andare la presidenza dell’aula Giulio Cesare. Della lista civica, non dovrebbero entrare in Giunta i consiglieri: sarà una personalità scelta dallo stesso Marino. Soprattutto, è Area Dem (Franceschini) a non gradire le scelte di Marino: per Alfredo Ferrari potrebbero aprirsi le porte della commissione Bilancio, e una commissione potrebbe andare anche alla consigliera Michela Di Biase. Per il capogruppo, rimane in pole position Francesco D’Ausilio (vicino a Nicola Zingaretti).
«Allora, il vicesindaco è di Sinistra Ecologia e Libertà, in giunta entrano solo ex Ds. Ditemi voi se questa ipotesi di esecutivo non è sbilanciata a sinistra, se non lascia fuori dalla porta i moderati», ripeteva ieri un esponente cattolico del Pd. «Alla fine Zingaretti fa il pieno e si spartisce le poltrone principali con i renziani», osservava un altro prestigioso esponente del Pd. «Ma quali zingarettiani – corre a precisare un altro – nessuno dei quattro nomi del Pd indicati da Marino è riconducibile a Zingaretti». Sarà, ma nell’ipotesi di giunta non c’è l’equilibrio delle diverse aree e il clima è pesante. E per fortuna che il Partito democratico le ha vinte queste elezioni comunali, pensa quanto sarebbero agitati se le avesse perse. Dopo che Ignazio Marino ha comunicato i nomi a Eugenio Patanè (reggente comunale) ed Enrico Gasbarra (segretario regionale) è iniziata la puntuale ondata di tensione, veleni e nervosismo nel complesso gioco delle correnti.
Ma torniamo a Fabrizio Barca. Qualcuno dice che il nome della sorella sia una compensazione per aver lasciato a Epifani la segreteria precaria, a tempo, del partito. L’ex ministro del governo Monti non sfiderà neppure Renzi in autunno. Non è una resa, ma il segno della sua saggezza. Renzi ha già vinto. I dinosauri del partito si sono tutti convertiti al suo giubbotto in stile Fonzie. Quando perfino Rosy Bindi gli dà ragione non c’è più gara. Renzi come sapete ha cambiato strategia. Ha capito che per arrivare a Palazzo Chigi doveva prima conquistare l’apparato, allearsi con chi voleva rottamare. Adesso non gli resta che preparare il funerale politico di Enrico Letta, come lui «giovane», come lui con il sangue post democristiano, quindi di fatto il suo rivale naturale per la leadership. Letta e Renzi giocano nello stesso ruolo, ma lo interpretano in modo diverso. Non c’è spazio per tutti e due. C’è spazio invece per Barca. Per Renzi la segreteria del partito è un tappa che porta a Palazzo Chigi. Una volta arrivato a destinazione quella poltrona è di troppo. Barca, che ora sta sottocoperta, è il candidato a ereditarla. Ma la sua prima mossa è: fortificarsi a Roma. La sua casa, la sua famiglia.