Ignazio Marino, l’onesto che cadde sugli scontrini

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 8 Ottobre 2015 - 19:01| Aggiornato il 9 Ottobre 2015 OLTRE 6 MESI FA
Ignazio Marino, l'uomo onesto che cadde sugli scontrini

Marino con Obama all’aeroporto di Fiumicino – Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

ROMA – Con l’immagine di “marziano” perché uomo onesto, il marziano a Roma Ignazio Marino era atterrato con la sua navicella sul Campidoglio nell’ormai lontano giugno 2013. Ma l’onesto Marino è andato a sbattere sulla fine della sua esperienza da sindaco scivolando sull’ultima buccia di banana, quella degli scontrini. Una fine ufficializzata dalle dimissioni, arrivate dopo 28 mesi e le estenuanti 19 ore e mezzo della sua ultima giornata alla guida del Comune. Qui il VIDEO della lettera di dimissioni.

Strano contrappasso per uno che è stato eletto (con il 64% dei voti) nell’anno dell’irruzione del Movimento 5 Stelle e quindi degli scontrini sulla scena politica nazionale. Gli scontrini come prova che i politici non sprecano in cene-viaggi e gadget i soldi dei contribuenti-elettori. La trasparenza, lo streaming, le ricevute delle cene in pizzeria a pochi euro come demolizione sistematica del concetto di politica quale “corpo intermedio” fra governanti e governati.

Un qualcosa di grillino c’era nel Marino che si presentò da outsider alle primarie di un Pd in grande difficoltà anche sul piano locale, che a febbraio 2013 si era già giocato il suo nome più popolare su Roma, Nicola Zingaretti, nelle elezioni per il presidente della Regione Lazio. All’epoca dalemiani e franceschiniani sostenevano come candidato sindaco l’ex volto del Tg1 David Sassoli, i renziani l’allora ex ministro Paolo Gentiloni. Vinse quelle primarie, col 50% dei voti, Marino, che in pratica l’unico vero sostegno ce l’aveva da Sel.

Si presentò come uomo lontano da un Pd che, come i bilanci comunali e le inchieste giudiziarie hanno dimostrato, negli ultimi vent’anni si era un po’ troppo sporcato le mani col (mal)governo della città. Marino non era percepito come uno di quel partito che, quando era ancora il Pds-Ds, era stato il pilastro delle amministrazioni di Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Lui su quel punto calcò la mano, presentandosi con lo slogan “Non è politica, è Roma”.

Il chirurgo pioniere dei trapianti, il professionista affermato e disinteressato alla politica come tornaconto personale, l’uomo onesto, ai limiti del tonto: queste le caratteristiche del brand Marino. Quelle che lo hanno fatto salire – anzi atterrare – sul Campidoglio e che lo hanno mantenuto sulla poltrona di sindaco per due anni e quattro mesi.

Quando le sabbie mobili di Mafia Capitale sembravano risucchiare tutta la macchina amministrativa comunale, Marino era rimasto a galla proprio perché i difetti di quell’onesto sindaco, un po’ tontolone e parecchio pasticcione, sembravano qualità paragonati con le Malebolge che emergevano dal “Mondo di Mezzo” di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi.

Poi è arrivato Papa Francesco, che è andato in America e – con una durezza finora senza precedenti – ha detto ai giornalisti: “Ma Marino, a Philadelphia, che ci faceva? È voluto venire, ma io non l’avevo invitato”. Ed è calato il buio sul sindaco marziano.

Può gestire il grande caos del Giubileo (non c’è bisogno di essere così pessimisti per immaginare il 2016 come un annus horribilis per Roma) un sindaco che sta cordialmente sui cosiddetti al Papa? Può gestire la grandinata di appalti che sta per abbattersi sulla Capitale uno che non riesce a spiegare chiaramente cosa ci faceva a Philadelphia, a vedere un capo religioso che di norma risiede a qualche chilometro dal Comune?

Dai dubbi sul viaggio a Philadelphia ai dubbi sulle spese del sindaco; dai dubbi sulle spese alla mossa di pubblicare, stile scontrin-politik, tutte le ricevute delle cene e dei viaggi pagati con la carta di credito del Comune. Dalla pubblicazione all’oste che dice “ma quale cena di lavoro, quella sera era con sua moglie” il passo è breve.

Marino e il suo staff hanno combinato con gli scontrini un pasticciaccio quasi comico (se non fosse che nessuno ha voglia di ridere). Perché dallo gnommero delle carte pubblicate sono saltate fuori troppe incongruenze. L’onesto è caduto sugli scontrini e a nulla è valsa la mossa di rimborsare di tasca propria i 20 mila euro spesi con la carta di credito del Campidoglio.

L’onesto, poi, a dirla tutta, un vizietto ce l’ha, perché sugli scontrini ci era già caduto una volta. Nel 2002 l’Università di Pittsburgh lo costrinse a dimettersi dall’incarico di direttore dell’istituto Mediterraneo per i Trapianti (Ismett) per rimborsi non giustificati:

Il 6 settembre del 2002 il numero uno del centro medico dell’Università di Pittsburgh (Jeffrey A. Romoff) ha scritto a Ignazio Marino i termini del suo allontanamento dalla direzione dell’istituto Mediterraneo per i Trapianti e le Terapie ad Alta Specializzazione, l’Ismett. Contestandogli rimborsi spese non dovuti: «Alla data di oggi, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’UPMC e alla filiale italiana. Fra le altre irregolarità, abbiamo scoperto dozzine di originali duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano. Sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’UPMC Italia. Avendo sinora completato soltanto una revisione parziale dell’ultimo anno fiscale, l’UPMC ha scoperto circa 8 mila dollari in richieste doppie di rimborsi spese. Tutte le richieste di rimborso spese doppie, a parte le più recenti, sono state pagate sia dall’UPMC sia dalla filiale». Marino si difende e dice che non è vero, anzi è lui che ha segnalato all’amministrazione quella «confusione», quelle «imprecisioni» nei rimborsi. Ma l’Università di Pittsburgh chiarisce senza pietà: «Le irregolarità nella gestione finanziaria furono portate alla luce dal servizio di audit di UPMC e non dal Dr. Marino».