Intercettazioni: cosa cambia con le linee guida del Csm? Il Mattino: “Nulla”

di Edoardo Greco
Pubblicato il 1 Agosto 2016 - 10:22 OLTRE 6 MESI FA
Intercettazioni: cosa cambia con le linee guida del Csm? Il Mattino: "Nulla"

Intercettazioni: cosa cambia con le linee guida del Csm? Il Mattino: “Nulla”

ROMA – Sulle intercettazioni, prima che il Parlamento modifichi la legge in vigore, il Consiglio superiore della magistratura ha approvato delle “linee guida” che le Procure italiane dovrebbero rispettare per tutelare la privacy degli indagati, senza però far venir meno il “diritto di cronaca”, la possibilità cioè che giornali e tv siano in grado di informare adeguatamente l’opinione pubblica sulle indagini in corso. Secondo Alessandro Barbano, direttore del Mattino di Napoli, le “linee guida” del Csm lasceranno tutto così com’è:

Facciamo pure la prova del budino, aspettiamo di vedere quale attuazione troveranno, ma diciamolo francamente: così come sono state approvate, le linee guida licenziate dal Consiglio superiore della Magistratura in materia di intercettazioni non servono praticamente a nulla, non costituiranno affatto un argine al loro utilizzo e alla loro diffusione, e insomma lasceranno tutto com’è adesso. Vediamo perché. Anzitutto, si tratta di un insieme di raccomandazioni, che il Csm ha deciso di adottare per evitare che il Parlamento provveda con una legge.

Si interviene per evitare altri interventi, insomma. Non si vuole la legge, e si vuol far credere che la diffusione di intercettazioni per nulla rilevanti ai fini delle indagini e del processo possa essere scoraggiata dal blando invito alla «sobrietà contenutistica» formulato dall’organo di autogoverno. Ma siamo appunto all’invito, all’auspicio, all’esortazione.

Può darsi che si immagini in futuro di adottare provvedimenti disciplinari, nei casi in cui siano violate le «regole di gestione» suggerite dal Csm, ma c’è una sproporzione evidente fra la dimensione macroscopica del problema, i diritti violati, le paginate di intercettazioni a strascico che finiscono sistematicamente in pasto alla pubblica opinione, da una parte, e il modesto argine che dovrebbe essere frapposto esclusivamente dall’ethos professionale del magistrato dall’altro.

Da questo punto di vista, nulla è cambiato. Come non ci si è accorti nei mesi scorsi del lenitivo spalmato tramite circolare da alcuni capi delle procure, per limitare la diffusione di conversazioni private irrilevanti, così siamo sin troppo facili profeti se diciamo oggi che non serviranno nemmeno queste linee guida. Velleitarie nel migliore dei casi, ipocrite nel peggiore.

Vogliamo anticipare il legislatore? No. Vogliamo condizionarlo? Nemmeno. Il legislatore faccia ciò che crede, ma ritengo sarebbe cosa saggia se attingesse dai principi delineati”. È stato chiaro il messaggio che il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, ha lanciato al plenum e poi in conferenza stampa, sulle linee guida sulle intercettazioni.

“Nessuna invasione di campo”, ma una disamina delle buone pratiche già messe nero su bianco e attuate da 19 procure – tra cui uffici del calibro di Roma, Napoli, Torino – per evitare un uso distorto di conversazioni irrilevanti e contenenti dati sensibili. Lo scopo è quello di offrire uno strumento agli uffici giudiziari, che autonomamente e senza obbligo, possono allinearsi, su input dei capi delle procure, a questo “codice”‘, così da uniformare le procedure a livello nazionale. Con una consapevolezza, che lo stesso Legnini manifesta: “A legge vigente, applicandola con rigore, ci sono gli strumenti per contemperare obbligatorietà dell’azione penale e diritto alla riservatezza”.

Parallelamente procede al Senato la delega sull’utilizzo delle intercettazioni. Non è un mistero che il Csm abbia espresso, da tempo, preoccupazione per la “genericità” di quel testo. Per questo le linee guida, che il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, definisce “un buon punto di partenza”, vogliono offrire un contributo. Superando quell’impasse, dice Legnini, che “per troppo tempo ha diviso politica e magistratura”.

I contenuti del documento sono stati votati praticamente all’unanimità (si è astenuto solo Aldo Morgigni, togato di Autonomia e Indipendenza, corrente che fa capo al presidente dell’Anm, Davigo). I relatori – Paola Balducci, laica di Sel, Antonello Ardituro e Francesco Cananzi, togati di Area e di Unicost – ne hanno illustrato i contenuti, da cui emerge la raccomandazione ai magistrati a una “sobrietà contenutistica”.

Due i punti fermi: il diritto di cronaca non deve subire limitazioni e le intercettazioni come strumento investigativo non vanno indebolite. Centrale il ruolo del pm, che in raccordo con la polizia giudiziaria, ma senza “deleghe in bianco”, valuta e seleziona le intercettazioni che entrano nel brogliaccio. Quelle che non vengono trascritte, potranno essere oggetto, su impulso del pm, di un vaglio ulteriore di fronte al gip e nel contraddittorio con la difesa.

È la cosiddetta udienza stralcio, per decidere, su una selezione limitata di materiale, cosa debba andare distrutto o perché la privacy prevale o perché il materiale è irrilevante non solo per l’accusa, ma anche per la difesa, che può giudicare importante ciò che per l’accusa non lo è. L’udienza stralcio, avverte il Csm, non è una “panacea” e l’indicazione è di farne un uso mirato e non massivo, anche per non compromettere l’operatività degli uffici.