Monti che parla: il lessico poco tecnico del governo tecnico

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 3 Aprile 2012 - 07:40 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Piace ai banchieri, un po’ meno ai bancari; non dispiace ai grandi imprenditori, ma fa disperare i piccoli imprenditori; fa arrabbiare pensionati e lavoratori dipendenti. Nessuno, però, pensava che il governo di Mario Monti avrebbe fatto divertire i linguisti. Prima che il professore della Bocconi diventasse presidente del Consiglio, il dizionario della crisi aveva fatto da cordone sanitario fra il lessico comico dell’era Berlusconi e l’avvento dei tecnici. Parole come swap, default, bond, il temuto rating e sopratutto l’ossessionante spread, il divario fra il rendimento dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi, avevano sostituito la titolistica da b-movie che nei mesi precedenti ci aveva tempestato di puttanopoli, mignottocrazia, bunga bunga, olgettine, utilizzatore finale, cricca, P3, P4 e via neologando.

Il solo nome di Berlusconi Silvio aveva dato a 30 neologismi, puntualmente censiti dalla Treccani: berluschese, berluschista, beluscofobo, berlusconardo, berlusconata, berlusconeide, berlusconiano, Berlusconi boy, berlusconifobico, Berlusconi-pensiero, berlusconismo, berlusconista, berlusconite, berlusconizzante, berlusconizzare, berlusconizzarsi, berlusconizzato, berlusconizzazione, Berlusconomics, Berlustroni, ma anche antiberlusconiano, antiberlusconismo, anti-Cavaliere, Cavaliere, controberlusconizzare, deberlusconizzato, Esse Bì, imberlusconirsipostberlusconiano e Silvio-pensiero.

Sobrietà. Poi, una notte di novembre, è arrivato Mario Monti. Fu accolto da una salve di sobrietà (che aveva sostituito la vecchia austerità e la più recente austerity), rigore, credibilità, responsabilità, fiducia. La sobrietà in particolare: un concetto impersonato da Monti, che con il suo loden aveva subito archiviato il doppiopetto berlusconiano, e con il suo cenone di capodanno a lenticchie, cotechino e scontrino della spesa mostrato in pubblico aveva dato un’idea di cambiamento rispetto alle “cene eleganti”. Low profile è stato un inglesismo molto utilizzato per commentare il nuovo presidente del Consiglio.

Elsa Fornero in lacrime e Mario Monti (Lapresse)

Le lacrime di Elsa. Poi venne il momento del decreto “Salva Italia”. Domenica 4 dicembre, mentre stava presentando alla stampa la sua draconiana riforma delle pensioni, inserita nel decretone-manovra da 30 miliardi, Elsa Fornero si mise a piangere, proprio nel pronunciare la parola “sacrificio”. Usiamo il passato remoto perché da allora nulla è stato come prima. “Correggimi, commuoviti ma correggimi”, le venne subito in soccorso un seccato Monti. E mentre a casa molti pensionati piangevano a dirotto e non per l’emozione della “prima”, i tecnici della comunicazione politica si fregavano le mani: anche questo governo ci darà da lavorare…

Un tabù, “salvo intese”. Era già finito il low profile? Forse. Fatto sta che la Fornero, una volta guadagnatasi le prime pagine dei giornali, ci è rimasta affezionata. Il ministro del Welfare si è imposta con l’uso frequente di un termine: tabù, quasi sempre legato all’articolo 18. Era ancora dicembre, ma tabù ci ha accompagnato fino a questi primi giorni di primavera, anche quando l’articolo 18 era già stato non solo “affrontato”, ma anche riscritto dalla riforma del lavoro presentata al Parlamento “Salvo intese”, altra espressione che Monti ha voluto regalare ai filologi della politica.

Cotechino e lenticchie. Ma riavvolgiamo il nastro ai primi giorni del 2012, quando il leghista Roberto Calderoli ha chiesto conto al premier dei suoi “festeggiamenti di Capodanno a Palazzo Chigi”. Un assist perfetto per Monti, che gigioneggiando più del solito diede un dettagliato resoconto del “festino”: 10 invitati, tutti familiari; menù tortellini-cotechino-lenticchie, con spesa fatta personalmente dalla signora Elsa Monti; forse “oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente”. L’hashtag #cotechinoelenticchie in quei giorni andava fortissimo su Twitter.

“Salvata” l’Italia, c’era da raddrizzare il “legno storto” dell’Italia: gli italiani. Andava in questa direzione il secondo decreto del governo Monti: “Cresci Italia”, quello sulle liberalizzazioni. Talmente imploso nell’iter parlamentare da essere rimasto poco più che un’esortazione “Cresci, Italia”. In linea con l’esortazione a crescere vanno inseriti una serie di aggettivi ed espressioni poco benevole dei governanti “salvatori” verso i loro “salvandi” governati.

Michel Martone con Brunetta (foto Lapresse)

Sfigati e secchioni. Ha iniziato il 24 gennaio Michel Martone, viceministro al Welfare: vice della Fornero. “Dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto professionale sei bravo e che essere secchioni è bello”. I secchioni, ma sopratutto gli sfigati: aggettivi che hanno scatenato polemiche che hanno travolto e cancellato dalla scena pubblica Martone, che subito aveva provato a fare marcia indietro: “Non ho avuto la sobrietà necessaria”. Martone è stato il culmine di una tradizione, quella del ministro rimproverante, nata con il bamboccioni del buonanima Tommaso Padoa Schioppa e proseguita con i fannulloni di Renato Brunetta, di cui peraltro Martone è stato collaboratore.

Posto fisso e monotonia. Passano pochi giorni e il primo febbraio anche Monti dà il suo primo contributo ai vocabolari della politica. Se l’articolo 18 è un tabù, il posto fisso è un mito, un’idea da dimenticare, per abituarsi a un’altra idea: quella che non lo avranno, il posto fisso. “Che monotonia il posto fisso, è bello cambiare”. Le brioche di Maria Antonietta incontrano Fantozzi. Il popolo ha fame? Non dategli la monotonia, dategli da divertirsi con la flessibilità.

Mammoni. A completare il ciclo dell’invettiva, arriva Anna Maria Cancellieri. Segnalata fino al 6 febbraio come una sobria, paciosa ministro dell’Interno. Poi ha deciso di dare man forte a Monti: “Gli italiani sono fermi mentalmente al posto fisso, nella stessa città, magari accanto a mamma e papà“. Sfigati, monotoni e mammoni. Poveri illusi, va aggiunto. Perché nelle stesse ore la Fornero aggiunge una nuova definizione al posto fisso: è un’illusione. “Uno degli scopi di questo governo è non dare l’illusione del posto fisso a vita che non si può promettere”.

Schifo. È l’unico caso in cui un componente del governo Monti insulti i politici e non i semplici cittadini. Al ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, non piace che il segretario del Pdl Angelino Alfano faccia saltare il vertice di maggioranza, perché si sarebbe parlato di un disegno di legge sulla corruzione. Chiacchiera con il ministro della Giustizia Paola Severino alla presentazione di una mostra e non si cura della presenza dei giornalisti: “Alfano voleva solo creare il caso. Vogliono solo strumentalizzare: è la cosa che mi fa più schifo della politica, ma quei tempi sono finiti”. Schifo! Il Pdl finge di indignarsi, minaccia sfiducia individuale al ministro, poi la cosa finisce nel dimenticatoio. Anche perché presto si finisce di parlare di giustizia e si ritorna ad affrontare il tema lavoro.

La paccata e le caramelle. Elsa Fornero, nei giorni degli incontri tra governo e parti sociali sulla riforma del lavoro, ritorna protagonista assoluta. Anche perché regala perle con generosità. E parlando dei miliardi per gli ammortizzatori sociali, da mettere sul piatto per convincere la Cgil a “mollare” sul tabù dell’articolo 18, chiosa: “È chiaro che se uno comincia a dire no, perché dovremmo mettere una paccata di miliardi e dire ‘poi voi ci dite di sì’? Non si fa così”. I miliardi in questione sono al massimo due e mezzo. Ma la paccata ha infranto definitivamente (con 30 anni di ritardo) il vetro divisorio fra il linguaggio burocratico e il gergo dei paninari. Così il blog satirico Spinoza: “La Fornero ai sindacati: “Senza sì, niente paccata di miliardi”. Ci stai troppo dentro, zia”.

Passa qualche giorno e la trasmissione Report dedica la prima puntata della stagione 2012 al tema degli esodati. Quelli che la riforma Fornero ha fatto rimanere senza lavoro e senza pensione, nella “Terra di mezzo” dello zero reddito. Al giornalista Bernardo Iovene che la incalza sul tema chiedendole se si occuperà del problema degli esodati, il ministro risponde sprezzante: “Non siamo mica qui per distribuire caramelle“. Se la pensione può dirsi caramella, è una caramella che gli esodati accetterebbero ben volentieri da uno sconosciuto.

Mario Monti e lo spread (Lapresse)

Impreparato. Poi arriva il 26 marzo la pagella finale, quella del professor Monti. Che in Cina prima cita Andreotti (non si sa se per segnare una discontinuità o una continuità): “Un illustrissimo uomo politico diceva: ‘Meglio tirare a campare che tirare le cuoia’. Per noi nessuna delle due espressioni vale perché l’obiettivo è molto più ambizioso della durata ed è fare un buon lavoro“. Quindi dà un brutto voto al Paese. Impreparato: “Se il Paese, attraverso le sue forze sociali, parlamentari e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro, non chiederemmo certo di continuare per arrivare a una certa data”. Caro Paese, se non si sente pronto, può ripassare a settembre… Ezio Mauro, direttore di Repubblica, non apprezza: “Non siamo a scuola e non tocca ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l’opposto”. Qualche giorno più tardi, quando Monti vorrà smussare gli spigoli delle sue dichiarazioni cinesi, sceglierà il Corriere della Sera come interlocutore.