Morosini, giudice militante: “Renzi va fermato”. Bufera Csm

di redazione Blitz
Pubblicato il 5 Maggio 2016 - 14:59 OLTRE 6 MESI FA
Morosini, giudice militante: "Renzi va fermato". Bufera Csm

Morosini, giudice militante: “Renzi va fermato”. Bufera Csm

ROMA – E’ bufera al Consiglio Superiore della Magistratura per le parole del giudice di Magistratura Democratica e membro del Csm, Piergiorgio Morosini. In un’intervista al Foglio, poi ritrattata dallo stesso giudice, Morosini avrebbe affermato senza mezzi termini che “Renzi va fermato” ed esprimeva la sua posizione in merito al referendum costituzionale, invitando a votare no per il “rischio di una deriva autoritaria”. Parole che, neanche a dirlo, hanno scatenato reazioni su tutti i fronti. In primis da parte del vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini che afferma: “Inaccettabili attacchi al governo”. Mentre il ministro della Giustizia Andrea Orlando chiede “immediati chiarimenti da parte del Csm” sulle parole del giudice militante.

Morosini, ex gip di Palermo e oggi consigliere del Csm eletto tra le fila di Md, cioè la corrente di sinistra, è in campagna elettorale per i comitati per il no. Oltre alla controversa intervista al Foglio ha già detto che parteciperà attivamente alla campagna: girerà per le città e ha già organizzato un tour.

Queste le parole attribuitegli dal Foglio: “Bisogna guardarsi bene dal rischio di una democrazia autoritaria. Un rapporto equilibrato tra Parlamento e organi di garanzia va preservato. Per questo occorre votare No ad ottobre”. Dunque fermare Renzi, salvo poi precisare: “Non vedo l’ora di tornare in trincea”, cioè al suo lavoro di magistrato. “Al Csm è tutto politica. Correnti, membri laici…”.

Nel corso del plenum del Consiglio Superiore, Morosini si è difeso: “Mi sento ferito. Le mie parole sono state travisate”. Per il presidente Legnini però la stessa partecipazione del magistrato alla campagna referendaria è quantomeno inopportuno così come “inaccettabili” sono gli appellativi affibbiati nella stessa intervista ai colleghi Gratteri e Cantone, definiti “uomini Mondadori”. Di qui la decisione di portare il caso al Presidente della Repubblica, che è anche il capo supremo del Csm.

Sul caso è intervenuto anche il primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio: “Delegittimare i poteri dello Stato – ha detto – denigrare i magistrati anch’essi servitori dello Stato lede l’immagine del Csm e l’indipendenza della magistratura”.