Natalie racconta: “Quel mattino del 3 luglio Piero uscì dalla mia vita. Dopo nove anni…”

di Roberta Rizzo
Pubblicato il 15 Maggio 2010 - 11:57| Aggiornato il 17 Maggio 2010 OLTRE 6 MESI FA

Natalie racconta

Sono le 10 del mattino in via Gradoli, a Roma. Natalie è sveglia da un po’. Doccia, colazione. C’è da fare la spesa. Magari qualche compera. È già pronta per uscire. Ma esita. E qualcosa accade. Squilla il telefono: “Sono io. Tra poco sono da te. Vengo a portarti quel “regalo” che ti avevo promesso”. Una chiamata inaspettata per Natalie, “lui” non le faceva mai visita di giorno e poi a quell’ora: “Non si faceva mai vedere prima di mezzanotte”, racconta. Ma quella mattina del 3 luglio 2009 non è una giornata come tante altre. “Vado di fretta” le dice quando arriva “resterò poco”. C’è qualcos’altro che preme il governatore o forse qualcuno che lo aspetta fuori. Sembra un po’ agitato. Non ha dormito quella notte. Prima di lei era stato da un’altra. Era in via due Ponti.

Ma cosa accadeva in quelle notti concitate? Natalie ha smesso di parlarne da sei mesi. “La verità è che non mi fido più di nessuno” dice. E parla solo se interrogata dai magistrati. Lo ha fatto lunedì ai magistrati che la hanno indagata per cessione di droga. Ma ora non ne può più. È stanca di sentirsi aggredita dai media. Si è scritto tutto su di lei. Diciamo “lei” ma stando all’anagrafe dovremmo invece dire “lui”,ma,come spesso succede nel caso dei transessuali, il “transgender” tende a inclinarsi vero il genere di destinszione, non quello di provenienza e così, per Natalie, abbiamo anche noi optato per il femminile.

Nessuno ha mai messo nero su bianco che lei ha “sempre detto la verità”. Dopo tanto tempo, rompe gli indugi. A Blitz Quotidiano racconta la sua verità, anche quella che non è emersa. «Lo sapete tutti che io non avevo alcun motivo per fare del male a Piero, anzi ero per lui una specie di sicurezza, un rifugio. Mi ha raccontato che una volta era andato, quasi disperato, da un’altra. Questa l’aveva riconosciuto e chiuso a chiave in una stanza, con la minaccia di chiamare la tv. Lui aveva pagato con i cinquemila euro che aveva in tasca, pagato per uscire. Me lo raccontava tremando e io lo consolavo, ci conoscevamo da molto tempo, circa nove anni. Per lui ero una sicurezza, non un pericolo, questa è la verità. Ma lui non sapeva tenersi lontano dal pericolo, non poteva, era la droga a spingerlo a rischiare».

Alcune settimane fa la Procura ha chiesto al gip l’incidente probatorio per congelare, nella fase delle indagini preliminari, le testimonianze dei transessuali, testimoni chiave dell’inchiesta sulle «mele marce», (Carlo Tagliente, Luciano Simeoni, Nicola Testini, i carabinieri della Compagnia Trionfale arrestati per il «grande ricatto» contro l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo). Si teme che siate soggette a vendette e ritorsioni…è la verità?

«Io stessa sono rimasta sorpresa quando l’ho saputo. Non mi sono mai sentita minacciata in nessun momento. Io non c’entro con quelle altre. Non ho alcun rapporto di amicizia con gli altri trans. Quella mattina (il 3 luglio di un anno fa) mi hanno teso una trappola per invidia: volevano rovinare Marrazzo e metterlo in carcere. Quando i carabinieri sono venuti a casa mia volevano incastrare me e Piero per ricattarlo. E mi hanno teso una trappola perché lo conosco da tanti anni. I carabinieri sapevano che ci frequentavamo da tanto».

Come facevano a saperlo?

«Ci sono ancora tante cose che devono uscire allo scoperto. La verità è che ci sono dei transessuali che lavoravano con quei carabinieri, per dare loro le informazioni giuste. Li avvisavano, per farli andare lì apposta. Alcuni trans avevano perfino una relazione con loro. Nel caso di Piero, lo seguivano da tempo. Anche se lui era comunque uno dei tanti. Chi capitava capitava, tanti euro, pochi euro, tutto andava bene. Da un po’ di tempo, c’era anche la caccia a Piero,  ma non erano mai riusciti a beccarlo. Fino a quel giorno».

Come funzionava?

«Quando arrivava un “cliente” di un certo tipo qualcuno avvisava i carabinieri. Quelli si precipitavano. Bussavano alla porta, si facevano aprire e cominciavano a minacciare quel cliente. Gli sfilavano 50, 100, 200 euro. Tutto quello che aveva nel portafogli. Per loro era lo stesso. Non trovavano Piero ma almeno si facevano un gruzzolo. Proprio come hanno fatto a casa mia».

E il trans poi prendeva anche una parte dei soldi prelevati dai carabinieri?

«Beh io questo non lo so. So solo che tutti quanti nel nostro ambiente sapevano chi erano i due carabinieri e che il maresciallo aveva una relazione con una di loro. Era da tempo che ci provavano a incastrare Marrazzo. Una volta hanno beccato una mia amica con un cliente. Pensavano stesse con Piero, invece non era lui. Gli hanno portato via 1.600 euro e un computer di lei».

Vi vedevate regolarmente con Piero?

«Lui veniva da me. Mi chiamava quando stavo a casa mia e stavamo pochissimo tempo al telefono perché aveva paura di essere seguito. Poi mi veniva a prendere e mi portava a casa sua. La seconda casa vicino alla Camilluccia, in piazza di Torrevecchia. Nel giro di quindici giorni veniva a trovarmi almeno 3 o 4 volte. Poi spariva per un po’ e ricompariva un’altra volta…».

Se lo stavano cercando da incastrare da 1 anno e mezzo hanno avuto 60-70 occasioni…

«Sì ma non l’hanno mai trovato. Una volta, qualche anno fa, credo fosse il 2005 perché era prima che Piero diventasse presidente, ci hanno seguito. Eravamo insieme in macchina sulla via Cassia e stavamo andando a casa di lui. Non appena ho visto il fotografo mi sono scaraventata fuori dall’auto. Volevano scattare delle foto di me e Piero per screditarlo, diceva lui, durante la campagna elettorale» [che Marrazzo vinse contro l’ex-governatore Francesco Storace].

È possibile che questa “industria comune” di transessuali “informatori”, clienti “vittime”, pusher che fornivano la droga e carabinieri “mele marce” continui ancora oggi, magari con altre “mele marce” e altri trans?

«Non saprei dirlo. Allora avveniva. Era come fosse una “quadriglia”: i carabinieri facevano irruzioni negli appartamenti dei trans e li coglievano in flagrante con i clienti. Poi li terrorizzavano. Ma qualcuno doveva per forza avvisarli…gli spacciatori sapevano ma anche i transessuali. E giravano voci…Tutti nell’ambiente sapevano che c’erano delle “spie” ma nessun  aveva il coraggio di denunciare il fatto. Né i clienti, chiaramente per non venire scoperti, né i trans che avevano paura oppure perché complici».

Cosa te lo fa pensare?

«Piero aveva detto a una delle trans (Paloma) che mi preferiva alle altre, mi era affezionato perché lo facevo ridere e gli piacevo di più. Quella mattina del 3 luglio, prima di incontrarci a casa mia, aveva passato la notte da un’altra trans…Poi mi aveva chiamato intorno alle 10 dicendomi che sarebbe passato subito a trovarmi ma che andava di fretta. Voleva portarmi una cosa che mi aveva promesso: quei famosi 5 mila euro che si vedono sul tavolino [nel video girato dai due carabinieri, Tagliente e Simeoni]. Aveva deciso di regalarmi quei soldi perché sapeva che avevo un debito in Brasile che dovevo pagare entro lunedì. E lui, che è sempre stato molto generoso con me, voleva portarmeli subito. Non era la prima volta che mi regalava dei soldi. Mi ha sempre aiutato, Piero. Tutto quello che ho in Brasile, per la metà lo devo a lui».

Come mai i carabinieri quella mattina sono venuti solo da Natalie? Se lo pedinavano dovevano sapere che era stato da un’altra.

«Penso che qualcuno li abbia chiamati quella mattina solo “dopo”, mentre stava venendo a casa mia».

Perché se già era stato pedinato in passato Marrazzo non si cautelava?

«Non lo so. L’avevo avvisato che qualcuno in quell’ambiente voleva fargli una cattiveria…tutti volevano sapere con chi usciva Marrazzo, ma la verità è che lui non usciva con tutti questi trans. Usciva solo con me, con Paloma e con Rachele (cui aveva pagato anche l’operazione). È stato anche con Brenda ma solo una volta o due».

Con Piero vi conoscete più o meno da 9 anni. Quando vi siete conosciuti, erano le sue prime esperienze con i trans?

«Quando l’ho conosciuto la prima volta abitava a via Courmayer e io in una traversa di Via Cortina d’Ampezzo. L’avevo incontrato a via del Corso in un negozio di scarpe. Pensava che fossi donna. Quando gli ho detto che ero un transessuale, l’unica cosa che mi ha chiesto era se mi drogavo, se ero pulito. Gli ho mostrato le mie analisi. Piero all’epoca non facevo uso di droga. Dal 2001 al 2007 non ne ha mai fatto uso. Ha ricominciato a drogarsi dal 2007 in poi. Ma a me non piaceva che usasse quelle sostanze. E lui lo sapeva».

Da quando è scoppiato questo “scandalo” com’è cambiata la vita di Natalie? Ha avuto delle difficoltà? Come è stato il “lavoro”, dopo…?

«Va a momenti. Ci sono tante persone che mi cercano di più dopo lo scandalo. Forse proprio per questo…».

Ci sono tanti clienti tranquilli che si affezionano? Di Marrazzo ce ne sono tanti?

«Sì. Tutti pensano che gli uomini vanno con i trans solo per fare sesso, per fare trasgressione. Ma non è così. O almeno io non sono così. Molti uomini vanno coi trans perché si sentono più liberi anche di confidarsi, di parlare. In tutti questi anni, quando veniva a trovarmi, passavamo ore a parlare e lui mi confidava tutto. Mi parlava della sua vita. Ma sono cose private e non voglio raccontare i suoi fatti personali».

Ritorniamo a quel giorno, il 3 di luglio…Lui arriva con cinquemila euro in contanti. Tanti. Tanti anche per il personale bilancio di Marrazzo: 17 mila euro netti al mese di reddito secondo i suoi avvocati e un trend di spese, tra ordinarie e occulte, sproporzionato perfino rispetto a quel reddito. Per Natalie un regalo da spedire il prima possibile in Brasile, dove vivono i tuoi genitori, per “lui” forse il prezzo da pagare per il silenzio di Natalie, per vivere una vita parallela, al riparo dagli sguardi indiscreti e dalla sua famiglia. Cos’è successo quella mattina? Sono le 10.30 del mattino Marrazzo telefona e dice sto arrivando. Poi cos’è successo?

«Piero arriva. Lo faccio entrare e lui mi dà un bacio sul viso. Mi dice: “Ti ho portato i soldi che ti avevo promesso. Non posso stare molto tempo però”. Provo a dirgli di lasciare l’auto in garage e lui mi risponde: “No, c’è qualcuno che mi aspetta fuori” ma non ha voluto dirmi chi era. Può darsi che quel giorno volesse dirmi qualcosa, prima che ci interrompessero. Ma non ne ha avuto il tempo. A un certo punto sentiamo bussare alla porta e una voce che urla: “Aprite! Carabinieri! Sappiamo che qui dentro c’è una festa con transessuali e droga”. Non volevo aprire. È stato Piero a convincermi: “Natalie, apri, non fare casino che qui non ci stanno né droga né festini”. Mi sono fatta coraggio e ho aperto. In quel momento Piero si stava sistemando i pantaloni ma i carabinieri l’hanno subito fermato: “Abbassati i pantaloni” e lui rimase in mutande, con solo la camicia bianca. Hanno cominciato a ricattarlo. Subito dopo uno di loro, si vede molto bene sul video, mi ha buttato sul divano. Mi ha preso per le mani e mi ha chiuso sul balcone. Quando mi hanno fatto rientrare, uno dei due carabinieri ha detto a Piero “O mi dai 50 mila euro per me e 50 mila euro per lui o andiamo a finire tutti in questura e chiamiamo la tv”. Lui ha detto “non ho tutti questi contanti adesso”. Poi un carabiniere ha ordinato all’altro: “Va fuori e chiama Nicola”. E mi hanno rispedito in balcone. Marrazzo era sempre presente. Quando se ne sono andati mi ha detto: “Stai zitto (ha usato una parolaccia) altrimenti ti mando in Brasile, faccio un guaio».

Il riferimento è al video girato con il telefonino, quello con cui  l’hanno ricattato?

«Sì. Non immaginavo nemmeno che i due carabinieri stessero girando un video con il telefonino. Avevano un cellulare in mano, è vero. Ma non ci trovavo nulla di strano. Non avevo la minima idea di cosa stesse succedendo in casa: mi avevano chiuso in balcone e avevano tirato le tende. Quindi non potevo vedere. È stato Piero, in seguito, a raccontarmi com’è andata, ma del video non mi ha mai parlato. L’ho saputo dopo».

Quindi la droga arriva con i carabinieri?

«Sì. In quel video si vede perfettamente che hanno fatto un primo giro e che non c’era nessuna droga in casa mia. A un certo punto, verso la fine, c’è un taglio nel filmato e si vede un piattino con la droga. È un montaggio. L’hanno filmata mettendola accanto al suo tesserino che gli avevano sequestrato. Poi hanno preso i soldi che mi aveva regalato Piero».

Prima dell’irruzione dei carabinieri avevi provato a chiamare Rino Cafasso, il pusher?

«Ora lo posso dire. È vero. Ho provato a chiamare Cafasso tantissime volte quel giorno. Almeno una quindicina di volte. Ma lui non mi ha mai risposto. C’era la segreteria. Ho lasciato anche un messaggio. Ma Cafasso quella mattina a casa mia non c’è mai stato. Non è vero quello che dicono i carabinieri: non poteva essere a casa mia perché io l’avevo cercato tutto il tempo prima che arrivasse Piero».

Perché chiamavi Cafasso? Per la droga?

«Sì è la verità. Non lo chiamavo per me, io non mi drogo, ma per Piero. Era lui che mi aveva chiesto di comprare 3 o 4 bustine, non di più. Non ne poteva fare a meno. Ma era per uso personale. La cocaina che c’era a casa mia e che si vede nel filmato non era sua. Avevo chiamato Cafasso tantissime volte per fargliela portare ma lui non mi ha mai risposto».

Cos’è successo subito dopo che i carabinieri si sono dileguati?

«Se n’è andato anche Piero e sono rimasta sola. Due ore dopo è squillato il telefono. Era Cafasso. Gli ho detto: “Lascia perdere che il mio cliente è andato via”. Cafasso non poteva sapere che c’era Marrazzo da me».

Piero l’ha mai cercato in questi mesi? Ha mai provato a chiarirsi?

«No non mi ha mai cercato in questi lunghi mesi. Perché parlare con lui? Anche io non l’ho mai chiamato. E sulla vicenda sono sempre rimasta in silenzio come mi aveva chiesto lui. Ho detto la verità solo al pubblico ministero, parlo solo col dottor Capaldo».

Ma dopo quello che è successo, Natalie non si è sentita un po’ sola, abbandonata da lui?

«Mi sono sentita abbandonata. Ho affrontato tutto questo da sola. Gli avvocati, i giornali e le tv. Ma soprattutto la comunità di trans. Per mesi tutti quanti mi hanno accusata di aver teso una trappola a Piero. Non è vero. Ho sempre detto la verità. Adesso mi sono chiusa con tutti, non mi fido più di nessuno. Non parlo più».

Dalla famosa mattina del 3 luglio, fino a che non esplode il caso, passano due, tre mesi. Marrazzo sa che è stato girato un video…cerca di rintracciarlo…

«Dopo che i carabinieri sono andati via se né andato anche lui. Sono rimasta sola in casa. Un quarto d’ora dopo mi telefona Piero. Mi chiede di andare a casa sua: “non ho il coraggio di parlare con nessuno” mi ha detto. Quando sono arrivata mi ha implorato: “Natalie per cortesia non dare mai il mio numero di cellulare a nessuno e non dire mai a nessuno quello che è successo a casa tua”. Lui credeva che fosse tutto finito quella mattina. E anche io».

Quindi lui chiede di non fare parola con nessuno di quello che è successo. E in seguito non ha mai consultato Natalie su come recuperare il video?

«No mai. L’ultima volta che ho sentito Piero è stato per telefono. Era l’inizio di agosto, mi ha chiamato prima di andare in vacanza. Dopo quella telefonata solo un messaggio. C’era scritto: “Tutto a posto, ci vediamo presto”. Dopo l’8 o il 10 di agosto non l’ho più sentito».

C’era anche un altro video, di cui parlò Brenda, che riguarderebbe proprio Brenda, Marrazzo e un altro trans, Michelle…

«A maggio dell’anno scorso (2009) ero appena tornata dal Brasile, Piero mi cercò: “Natalie devo dirti una cosa, quando tu non c’eri sono uscito con un altro transessuale. Siamo andati a casa mia. C’era anche un altro trans”. Erano Brenda e Michelle, ma lui non si ricordava i nomi. Piero aveva preso della coca quel giorno. E mentre era sotto effetto della droga, loro hanno cominciato a riprenderlo, a fotografarlo in “pose compromettenti”. Piero se ne era reso conto ma non era lucido. Quando si drogava non era mai lucido. Era un’altra persona. Per questo, all’inizio della nostra relazione, lo mandavo via e gli dicevo: basta con la droga. Ma poi andava a cercarla da qualcun altro…che gli portava via anche i soldi. Finché un giorno mi ha detto: “È meglio che mi drogo da te piuttosto che andare con le altre”. Ma io insistevo: perché lo fai? Lui mi rispondeva: “Natalie, la droga è più forte di me”. “Lo faccio per fuggire dai miei problemi”. Michelle e Brenda se ne sono approfittate».

Questo video viene girato nel Marzo 2009. Dove può essere ora?

«Piero mi ha raccontato che aveva cancellato il video e le foto dal telefonino di Brenda. Ma aveva paura che in qualche modo quel filmato girasse ancora e si era confidato con me. Ho fatto qualche domanda in giro, finché una mia amica non mi ha confermato che aveva visto il video nel telefonino di Brenda. C’era Marrazzo con le due trans e alcune foto particolari. Ed era proprio come lui mi aveva descritto, le stesse pose. Michelle, che sapeva di questa cosa, è scappata a Parigi. Forse è sul computer di Brenda. Ma nessuno ha più parlato di quel computer» [che ora è sotto perizia].

Oggi Natalie ha 38 anni e la vita in Brasile è solo un ricordo. Oggi è un perno delll’impianto accusatorio, la sua ricostruzione dei fatti, a parte qualche aggiustamento, è quella più coerente fin dall’inizio. Ora Marrazzo rivendica il ruolo di grande tetsimone d’accusa, anche se il poverino più che accusatore appare vittima. Natalie ha visto tutto, con occhi non annebbiati, in quell’ambiente ha vissuto e continua a vivere. Sa e non ha paura di dire.

Natalie, nome d’arte di José Alejandro Vidal Silva, in Europa è arrivata 15 anni fa. Poco più che ventenne. Scelse l’Italia per rifarsi una vita: una casa carina, 45 mq ristrutturata da poco in un palazzina di Via Gradoli. C’è pure il portiere. Le giornate che scorrono sempre uguali da sette anni. Da quando abita lì. Di giorno le faccende domestiche, le spese, le uscite con le “altre”. Il telefonino che squilla. Gli appuntamenti da annotare. Tutti di notte. La sera comincia la “movida”. Quella dei clienti che entrano e escono. Uno dopo l’altro. Un lavoro come tanti. Basta avere il gruzzoletto e forse qualcosa in più, per andare avanti. Per riuscire a campare e magari costruirsi un futuro sereno. Poi all’improvviso arriva quel maledetto 3 luglio e tutto cambia. Sarà per sempre “Natalie”, il trans di Via Gradoli. Il trans di Marrazzo.

Lui, Marrazzo. Alle spalle almeno 10 anni di frequentazioni con trans, 3 anni, probabilmente di più, di uso di cocaina. Candidato a presidente della Regione Lazio nel 2005, intendeva presentarsi ancora, nel 2010, nonostante fosse consapevole del temporale che poteva scoppiare in ogni momento.  C’è da chiedersi: i suoi collaboratori, i vertici del partito che lui rappresentava, gli altri esponenti della coalizione,  non hanno mai saputo nulla di quel che sapevano decine di trans, una pattuglia di carabinieri, una compagnia di spacciatori? E se qualcosa sapevano, perchè sono fuggiti dalla responsabilità di proteggere, salvare, sottrarre al ricatto l’uomo e soprattutto l’istituzione da lui rappresentata?