No a Pdl “Alba dorata”: “diversamente berlusconiani” vs “pitonessa” Santanché

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Settembre 2013 - 10:45 OLTRE 6 MESI FA

No a Pdl "Alba dorata": "diversamente berlusconiani" vs "pitonessa" Santanché ROMA – La battaglia a viso scoperto dei “diversamente berlusconiani” è un inedito tra i vertici del partito personale: l’annuncia (ma sarà vero?) con discrezione Angelino Alfano, capo delegazione Pdl al Governo, si iscrivono al club tutte le vittime della “pitonessa” Daniela Santanché, abile in questi mesi a far breccia nei pensieri del capo, a infilarsi insieme a Dennis Verdini nell’unico pertugio del “cerchio magico” (la famiglia, le aziende con Confalonieri, Doris e Ermolli) e in definitiva a dettare la linea, tra dimissioni di massa in bianco dei parlamentari Pdl e dimissioni dei ministri.

Alfano e i colleghi di governo, i Cicchitto, in generale le “colombe” a voler proseguire con il bestiario Pdl, mentre ribadiscono la fedeltà personale al capo, la solidarietà al perseguitato politico, contestano la piega da muoia Sansone con tutti i filistei. Il ministro della Salute dimissionario Beatrice Lorenzin lo fa con accenti fermi e inusitati: obbedisce e si dimette ma non vuole una Forza Italia stile Alba Dorata, “le persone che in questo momento stanno tenendo in mano il partito non sono attrezzate culturalmente per guidarlo”. Leggi i Verdini, i Capezzone e soprattutto la “pitonessa”, quella che da subito, senza cerimonie o elucubranti scenari di comodo, soffiava all’orecchio di Berlusconi, “non ti fidare”. Dei giudici, di Napolitano, dei Democratici, financo dei tuoi.

Chi l’ha vista arrivare da Forte dei Marmi tutti i giorni – non ne ha mancato uno, ad agosto, a volte con due turni di autisti – non riusciva immaginare che la sua frequentazione e predicazione quotidiana sarebbero riusciti a scuotere il leader dall’abulia con cui rispondeva al telefono a tutti quelli che dal partito lo chiamavano, per cercare di tirarlo su. Ma la Pitonessa spiegava a tutti che non c’era alcun bisogno di convincerlo perché lui era già convinto di suo, e stufo semmai di chi insisteva a raccomandargli prudenza. Il 24 agosto, quando Berlusconi, dopo aver convocato un vertice ad Arcore aveva lanciato un nuovo ultimatum, s’era già capito che aveva ragione lei. (Marcello Sorgi, la Stampa)

L’imbarazzo degli aspiranti “diversamente berlusconiani” non sta solo nell’insofferenza per una piega politica vissuta come auto-distruttiva. Basta dire la totale ignoranza del precipitare degli eventi cui sono stati tenuti per esempio i capigruppo, esclusi dal pranzo cruciale dei falchi e tenuti all’oscuro delle repentine conversioni a U del capo.

Renato Brunetta cadeva dalle nuvole (un’ora prima aveva dichiarato di star tranquilli, non c’era fretta). Renato Schifani idem. Si diceva che pure Alfano (il segretario) non sapesse nulla di nulla, e non si scovava un ministro in grado di commentare la propria sorte, perché nessuno gliel’aveva comunicata. Poi il partito si è messo sull’attenti, com’è abituato a fare, ma in coda alle telefonate rimanevano dichiarazioni furenti, naturalmente contro quei «mascalzoni» dei falchi, ma anche contro un leader del quale si capisce poco da tempo, e che adesso è cupo, lunatico, rancoroso, particolarmente dittatoriale. (Mattia Feltri, La Stampa)