Referendum autonomia: Veneto ha il quorum, affluenza 58,9%. Lombardia 30%. Urne chiuse

di redazione Blitz
Pubblicato il 22 Ottobre 2017 - 23:20| Aggiornato il 23 Ottobre 2017 OLTRE 6 MESI FA

MILANO – Oggi 22 ottobre i cittadini di Lombardia e Veneto si sono recati alle urne per il referendum sull’autonomia. Alle 23 in punto i seggi hanno chiuso. Al voto sono stati chiamati complessivamente quasi 12 milioni di persone: 7,9 milioni di elettori lombardi e poco più di 4 milioni di veneti. I risultati si dovrebbero conoscere un paio di ore dopo il voto. 

A poche ore dalla chiusura dei seggi, i numeri dell’affluenza hanno già certificato un primo inconfutabile dato: lombardi disinteressati, con uno scarso 30%, molto meglio in Veneto dove alle 23 aveva votato il 58,9%. La soglia del quorum è stata superata. Tra le province, Vicenza vanta la percentuale più alta. Spetta a San Pietro Mussolino,  comune vicentino di 1600 abitanti, il record (parziale) di affluenza, 70,1%, stando ai dati rilevati alle 19. E sempre il vicentino si dimostra la roccaforte del voto chiesto dal presiedente Luca Zaia: gli altri comuni con percentuali ben oltre il quorum sono Zermeghedo, 67,6%, Zanè, 66,4%, Nogarole Vicentino, 66,9% e Crespadoro, 66,8%.

Leggermente sopra la media regionale il comune di residenza del governatore Zaia, San Vendemiano (Treviso), con il 56%. Chi la consultazione l’ha snobbata sono stati gli elettori del comune di Soverzene (Belluno) 19,2% il dato parziale, e di Ficarolo (Rovigo), con il 25,2%.

In Lombardia alle 19, l’affluenza ha superato il 30%. Il dato esatto è del 31,81%, ari a 2.503.704 lombardi votanti. E’ quanto ha comunicato la Regione. E’ Bergamo la provincia con l’affluenza maggiore con il 39,75%, mentre la città metropolitana di Milano chiude la classifica dell’affluenza delle province lombarde con il 25,78%. Dopo Bergamo, seguono Lecco (37,50%), Brescia (36,93%), Como (34,69%), Sondrio (34,41%), Cremona (33,35%), Varese (33,03%), Monza (32,73%), Lodi (32,53%), Mantova (29,64%), Pavia (27,71%) e appunto Milano (25,78%).

A mezzogiorno l’affluenza era solo all’11%, dato diffuso solo a metà pomeriggio dalla Regione Lombardia dopo un balletto di cifre lievemente inferiori, comunque appena un residente su 10 degli aventi diritto.

Per votare bisognava recarsi nel seggio indicato sulla tessera elettorale, dove bastava presentare un valido documento di identità. In entrambe le regioni i cittadini sono stati chiamati a esprimersi sul cosiddetto “regionalismo differenziato”, ossia la possibilità, per le Regioni a statuto ordinario di vedersi attribuite “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” (come recita l’Articolo 116 della Costituzione) in alcune materie indicate nel successivo Articolo 117.

Chi vota Sì, è d’accordo sulla possibilità che le Regioni chiedano di intraprendere il percorso istituzionale per ottenere maggiori competenze dal Governo; chi vota No è contrario all’iniziativa.

In Lombardia non è previsto un quorum, ossia un numero minimo di votanti (Maroni ha detto di accontentarsi del 4% dei votanti, lo stesso che è andato a votare lo scorso referendum del 4 dicembre), mentre in Veneto sì: affinché la consultazione fosse valida, nella regione governata da Luca Zaia doveva votare la metà più uno dei 4.068.558 aventi diritto, 2.034.280 elettori. E così è stato.

In Lombardia il quesito era: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.

Più stringata la domanda in Veneto: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”.

Un’altra differenza tra le due Regioni ha riguardato il sistema di voto: elettronico in Lombardia (è la prima volta in Italia), tradizionale con scheda di carta e matita in Veneto. Gli elettori lombardi hanno trovato nella cabina una “voting machine”, un dispositivo simile a un tablet che sullo schermo touch screen riporterà il testo integrale del quesito referendario. Tre le possibilità di voto: sì, no o scheda bianca. In caso di errore, l’elettore aveva la possibilità di modificare la scelta, ma solo una volta.

In tutto sono 24.700 le voting machine distribuite nelle 9.224 sezioni della Lombardia. A vigilare sul loro funzionamento c’erano 6.700 “assistenti digitali” incaricati dalla Smartmatic, la società olandese che ha vinto il bando regionale per l’e-voting. Per evitare il rischio di attacchi informatici o blackout, i tablet non saranno collegati a Internet né alla corrente elettrica.

Il segretario milanese del Pd Pietro Bussolati, ha tuttavia twittato che ci sono problemi per votare: “Tablet inceppati, batterie esterne che non caricano, ciabatte non funzionanti. La prova del voto non è andata benissimo”. 

Cosa accadrà se vince il sì.

I referendum non sono vincolanti. Se vince il Sì, le Regioni potrebbero chiedere al governo centrale di avviare una trattativa per ottenere maggiori competenze nelle venti materie concorrenti e in tre esclusive dello Stato: giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente e dei beni culturali. L’intesa tra lo Stato e la Regione interessata dovrà poi concretizzarsi in una proposta di legge che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta da entrambe le Camere.

In ballo ci sono oltre 40 miliardi di residuo fiscale, la differenza tra le tasse pagate dai cittadini di una regione all’amministrazione centrale e quanto lo stato restituisce loro sul territorio. Quello del Veneto è calcolato in 15 miliardi, Maroni spera almeno in 27. In ballo ci sono anche le competenze su 23 materie che, in base all’articolo 117 della costituzione, potranno eventualmente essere affidate alle regioni: istruzione, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica, salute e ambiente, commercio estero e rapporti con l’Ue.

Entrambi i presidenti leghisti vogliono però anche sicurezza, immigrazione e ordine pubblico a fronte di maggiori trasferimenti da parte dello Stato, anche se si tratta di competenze esclusive dello Stato (foto Ansa).