Salva Sallusti. Wikipedia al mondo: bavaglio, vergogna in Italia

Pubblicato il 5 Novembre 2012 - 08:38 OLTRE 6 MESI FA

Salva Sallusti, la legge che col pretesto di non fare andare in carcere il direttore del Giornale deve diventare, nella mente dei politici italiani, l’occasione di un regolamento di conti con i giornali e i giornalisti, sta diventando motivo di vergogna internazionale. Basta leggere Wikipedia, la grande e insostituibile enciclopedia on line che ormai copre il mondo: l’Italia, grazie alla Salva Sallusti, sta per entrare nel ristretto club dei liberticidi, con Cina e Corea del Nord.

La legge è in gestazione al Senato, tra alti e bassi. Martedì 6 novembre riprenderà in Commissione Giustizia l’esame del suo primo articolo, quello che esclude il carcere, ma sotto il tavolo ferma appare l’intenzione di tutti i senatori, tranne esattamente 6: mettere il bavaglio ai giornalisti. Anche se le informazioni che circolano nei corridoi del Senato fanno sperare in un insabbiamento della legge, il veleno di cui è ormai intriso il rapporto tra classe politica e giornali fa temere, ai pochi che hanno a cuore il problema, rischi di colpi di mano.

Sullo sfondo, a aumentare pressione e tensione, c’è l’avvicinarsi della scadenza del carcere per Alessandro Sallusti e l’impegno politico di quel che resta del Pdl di tenere chiuse per lui le porte della prigione.

Lo scambio, che in prospettiva riguarda tutti i giornalisti, è in apparenza equo: niente più galera per il reato, anzi delitto, di diffamazione, compensate da multe più severe e dalla sospensione dall’albo professionale per i reprobi. In realtà questa è la norma più insidiosa, perché sostituisce alla galera per una opinione sgradita o una frase malscritta la morte civile, l’impossibilità per il giornalista di fare il suo mestiere. Infatti è prevista la sospensione dalla professione per chi è condannato per diffamazione, per periodi crescenti in caso di recidiva, cioè di ripetizione del crimine.

Per una eredità del fascismo che è l’Ordine dei giornalisti, in Italia in teoria può scrivere sui giornali solo chi fa parte dell’Ordine. Le maglie si sono allargate con l’inclusione di una categoria ibrida, quella dei pubblicisti, che in teoria per essere tali dovrebbero fare un altro mestiere ma che invece comprendono un po’ tutto.

La tv ha poi scardinato le classiche qualifiche: inviate e opinioniste sono spesso definite ragazze di bella presenza che meglio starebbero con la qualifica di veline, ma a quanto pare nessuno ha trovato da obiettare.

Ma anche in radio, alla tv, nei new media, nei posti chiave ci sono professionisti. La legge ha sollevato molti dubbi sul suo fondamento costituzionale, fin dalla sua entrata in vigore, negli anni ’60, ma la Corte costituzionale ha sempre trovato argomenti, discutibili ma inappellabili, per sostenerne la legittimità.

La Salva Sallusti ora vorrebbe riportare l’Ordine alle origini, a quelle funzioni di manganello professionale cui lo aveva destinato Mussolini, ribaltando l’evoluzione democratica che l’Ordine aveva avuto in questi oltre 40 anni. Nell’Italia repubblicana, l’Ordine aveva svolto una importante funzione di tutela della autonomia dei giornalisti, senza rinunciare, in molti casi, a quella funzione di controllore  etico che è propria di ogni ordine professionale.

A quanto pare questo non piace ai politici che vogliono invece trasformare l’Ordine nel braccio secolare, rendendo automatica la sospensione, senza nessun filtro o mediazione dei rappresentanti della professione. L’effetto rischia di essere una devastante autocensura.

Altra norma al confine del normale è quella che prevede la rimozione di notizie e foto dai siti internet a prescindere da qualsiasi pronuncia del Tribunale e del Garante della privacy, su semplice richiesta di chi si senta leso.

Sono le premesse di un Paese senza memoria.

Nel panico provocato da queste norme si trova ora Wikipedia, l’enciclopedia on line che, a livello mondiale, fornisce gratuitamente informazioni su praticamente qualsiasi voce del presente e soprattutto del passato.

La reazione di Wikipedia sta ora proiettando un’ombra sinistra sull’Italia in 10 lingue.

Su Wikipedia si leggono in queste ore queste parole:

“Ancora una volta l’indipendenza di Wikipedia è sotto minaccia.

In queste ore il Senato italiano sta discutendo un disegno di legge in materia di diffamazione (DDL n. 3491) che, se approvato, potrebbe imporre a ogni sito web (ivi compresa Wikipedia) la rettifica o la cancellazione dei propri contenuti dietro semplice richiesta di chi li ritenesse lesivi della propria immagine o anche della propria privacy, e prevede la condanna penale e sanzioni pecuniarie fino a 100 000 euro in caso di mancata rimozione. Simili iniziative non sono nuove, ma stavolta la loro approvazione sembra imminente.

Wikipedia riconosce il diritto alla tutela della reputazione di ognuno e i volontari che vi contribuiscono gratuitamente già si adoperano quotidianamente per garantirla. L’approvazione di questa norma, tuttavia, obbligherebbe ad alterare i contenuti indipendentemente dalla loro veridicità. Un simile obbligo snaturerebbe i principi fondamentali di Wikipedia, costituirebbe una limitazione inaccettabile alla sua autonomia e una pesante minaccia all’attività dei suoi 15 milioni di volontari sparsi in tutto il mondo, che sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per “non avere problemi”.

Wikipedia è la più grande opera collettiva della storia del genere umano: in 12 anni è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. L’edizione in lingua italiana ha quasi un milione di voci, che ricevono 16 milioni di visite ogni giorno, ma questa norma potrebbe oscurarle per sempre.

L’Enciclopedia è patrimonio di tutti. Non lasciamo che scompaia”.