Caso Siri, la Lega fa quadrato: “Non si dimette, nessuno lo molla”. Di Maio: “In Cdm M5s ha maggioranza”

di Daniela Lauria
Pubblicato il 3 Maggio 2019 - 20:31 OLTRE 6 MESI FA
Caso Siri, la Lega fa quadrato: "Non si dimette, nessuno lo molla". Di Maio: "In Cdm M5s ha maggioranza"

Caso Siri, la Lega fa quadrato: “Non si dimette, nessuno lo molla”. Di Maio: “In Cdm M5s ha maggioranza”

ROMA – Armando Siri non si dimette e nella Lega “nessuno lo molla”. E’ quanto affermano fonti leghiste, il giorno dopo la decisione inappellabile del premier Giuseppe Conte che ha annunciato di voler portare la questione al prossimo Consiglio dei ministri.

Cdm che dovrebbe tenersi mercoledì 8 maggio alle 10, secondo quando comunicato ai ministri anche se una convocazione ufficiale ancora non c’è. In quella sede il premier dovrebbe proporre la revoca delle deleghe al sottosegretario dei Trasporti, indagato per corruzione. Ma il partito di Matteo Salvini fa quadrato intorno al suo uomo: Siri, viene spiegato, non farà un passo indietro. Di certo non prima che il premier Giuseppe Conte ne proponga la revoca. E c’è chi ipotizza: “È il presidente del Consiglio che, ponendo la questione come l’ha posta, mette in conto la crisi”.

Il leader del Carroccio cerca di non tradire pubblicamente la sua rabbia: “Conte mi sfidi sulle tasse, su qualcosa che interessa gli italiani, non sulla fantasia”, ha detto. E alla domanda se avesse sentito il premier risponde: “No, io lavoro, mi occupo di tasse, sicurezza, droga, immigrazione e lavoro. Non ho tempo per beghe e polemiche”. Ma il suo alleato e omologo, il vicepremier Luigi Di Maio, avverte: “In Cdm il M5S ha la maggioranza assoluta: i numeri sono dalla nostra parte, ma spero non si arrivi a questo”.

Il decreto di revoca del sottosegretario Siri dovrebbe arrivare alla presidenza della Repubblica alla fine di un percorso tutto interno a palazzo Chigi e solo per un passaggio formale. Ci sono alcuni precedenti che confermano la procedura. La nomina e l’eventuale revoca di un sottosegretario sono atti di indirizzo politico che spettano unicamente al governo. La revoca avviene infatti su proposta del premier, di concerto con il Ministro competente sulla base della legge 400 della presidenza del consiglio e sentito il Consiglio dei Ministri.

Se davvero, come sembra, il governo fino alle europee reggerà agli strappi del caso Siri e di una campagna elettorale virulenta, è chiaro che dal giorno dopo, il 27 maggio, si inizierà a ragionare di voto autunnale. 

A settembre, o più tardi ad ottobre. Con il rischio di un governo e un Parlamento “intrappolati” fino a luglio. Se anche crollasse subito tutto – e non è scontato – lo scioglimento delle Camere potrebbe seguire due percorsi ad oggi del tutto teorici: crisi e consultazioni lampo, scioglimento immediato e voto a fine luglio. Soluzione possibile ma improbabile; se occorresse più tempo per far decantare la situazione si entrerebbe nell’estate con tutte le sue problematiche meteorologiche. Sciogliere a giugno comporterebbe una campagna elettorale agostana. Per questa ragione più d’uno fissa la deadline del governo a luglio.

Data che permetterebbe nuove elezioni a settembre, mese per il quale nessuna domenica può essere esclusa. Anche se non è mai avvenuto in passato, un voto agli inizi di settembre potrebbe dare maggiori chance al nuovo esecutivo di approvare la legge di Bilancio 2020 ed evitare così il temutissimo esercizio provvisorio. Al di là della volontà politica, il sentiero verso le elezioni anticipate è comunque molto stretto e viene studiato con molta preoccupazione dal Quirinale. Uno scenario che non può di certo piacere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da sempre garante della tenuta dei conti pubblici.

Non va infatti considerata soltanto la data del voto. Se anche si votasse domenica 15 o domenica 22 settembre, l’iter per la formazione del governo sarebbe abbastanza lungo da impedire l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri della legge di bilancio entro la scadenza del 15 ottobre, quando la manovra deve arrivare all’Ue. Se poi per trovare una maggioranza, un premier e un ministro dell’Economia ci volessero tre mesi – quanti ne hanno impiegati i giallo-verdi – si arriverebbe a fine anno senza una manovra e il 2020 si aprirebbe con l’aumento dell’Iva lasciato in eredità dalla legge di bilancio 2019.

Il sentiero stretto di una crisi di governo in piena estate è una delle ragioni per cui qualcuno nella Lega consigliava a Matteo Salvini di rompere con il Movimento 5 Stelle già prima delle europee. Ma il leader leghista non ne ha voluto sapere e, fatte salve novità inattese, a 23 giorni dal 26 maggio non sembra aver cambiato idea. I rapporti tra alleati sono logori, in molti scommettono che se andrà oltre il 30% alle europee (con il M5s magari vicino al 20%) Salvini passerà all’incasso. Ma nulla è scontato. (Fonte: Ansa)