Tasse: in 10 anni +50% alle Regioni, +31,6% allo Stato, +100% ai Fiorito & co.

Pubblicato il 27 Settembre 2012 - 10:24 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – In un decennio di federalismo fiscale le tasse proprie delle Regioni sono salite del 38% e considerando gli aumenti programmati nel 2012 l’incremento è stato del 50%. Nello stesso periodo le imposte pagate allo Stato da cittadini e imprese sono aumentate del 31,6%. In compenso, si fa per dire, riceviamo servizi peggiori e abbiamo visto salire del 100% i costi della politica.

Questo paradosso spiega il fallimento del decentramento amministrativo all’italiana che avrebbe dovuto portare più efficienza con la razionalizzazione della spesa pubblica ma ha visto solo proliferare le strutture amministrative e i centri di spesa. Il ragionamento doveva essere, fidandosi almeno delle buone intenzioni, che se fossero aumentate le tasse delle strutture territoriali più vicine alle persone, più attente alle esigenze e alle peculiarità locali, si sarebbe risparmiato sul prelievo del distante e inefficiente governo centrale.

E’ andata all’opposto. Come ha sintetizzato con una battuta il ministro Piero Giarda, “è facile e divertente spendere soldi che non si guadagnano…” Battuta fino a un certo punto: dal 2002 a oggi le competenze delle Regioni non sono cambiate ma la sua spesa è cresciuta del 23%: ciò significa che è cresciuta solo per finanziare la moltiplicazione degli apparati, l’incremento indiscriminato del personale, l’espandersi a macchia d’olio dei centri di costo. Una enorme agenzia di collocamento, quindi, perché i cittadini, i sacrifici fiscali subiti non li hanno mai visti trasformarsi in una migliore offerta di servizi.

L’Irpef (l’addizionale regionale) è aumentata dal 2008 da 5,8 miliardi di euro di gettito a 9,7 miliardi. In base alla legge regionale questa addizionale può raddoppiare (e abbiamo visto come le aliquote in questo momento di spending review siano cresciute per tamponare le falle nei bilanci dissestati di alcune regioni. Quand’è che è cominciata questa splendida avventura nel segno del decentramento? Una data capitale è il 2000, governo D’Alema e ansia da prestazione “federalista”. Prima con l’assegnazione, attraverso il decreto legislativo del 18 febbraio 2000, del 25,7% dell’intero gettito Iva alle Regioni. Il 7 ottobre 2001 gli italiani hanno entusiasticamente approvato la riforma del Titolo V della Costituzione con il voto nel referendum  confermativo.

L’attuale Governo sta cercando di correre ai ripari, sulla scorta di un disegno non rinviabile di razionalizzazione della spesa pubblica e sull’onda degli scandali dei consigli regionali, delle giunte che da nord a sud, da Fiorito a Lombardo, dalla Campania alla Lombardia hanno scoperchiato il vaso di Pandora della corruzione, del clientelismo, della mala gestione. L’esecutivo sta studiando una revisione del federalismo orientata a un maggior controllo della spesa e alla diminuzione dei costi della politica. Alla conferenza Stato Regioni i governatori hanno proposto l’eliminazione di un terzo dei consiglieri regionali, circa 300 addetti e, come abbiamo visto, tutta la corte che ogni consigliere si porta appresso tra assistenti, portaborse, creativi ecc..

C’era anche la Polverini dimissionaria (sulla carta) a perorare la causa del risparmio. Prima porto a casa la riduzione dei consiglieri, poi me ne posso andare. A parte che nel frattempo ha provveduto a qualche nomina, la giunta da lei presieduta ha deciso anche di impugnare le leggi sulla spending review, in particolare il riordino delle Province e la privatizzazione delle società pubbliche. Come dire, tu governo razionalizza quanto ti pare, ma non ti avvicinare ai nostri terreni di caccia preferiti, tipo Province, municipalizzate, società di servizi partecipate ecc.. Tanto a finanziarli ci pensano i cittadini, c’è sempre un’addizionale di riserva.