Fischia Tremonti a Palazzo Chigi l’Italia che non ci sta e non ci sente: magistrati, medici, funzionari…

di Lucio Fero
Pubblicato il 25 Maggio 2010 - 15:32| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Berlusconi nel cortile di Palazzo Chigi

Cortile di Palazzo Chigi, sede del governo, mezzogiorno o giù di lì della giornata della manovra economica per impedire che l’Italia faccia bancarotta. Sì, quella che il capo dello Stato ha pregato tutti gli italiani di farsene carico, quella che Letta, il braccio destro di Berlusconi ha spiegato essere senza alternative, quella che più o meno tutti i governi stanno facendo negli stessi giorni, nelle stesse ore. D’un tratto il cortile si agita, si riempie di mezze grida: sono i dipendenti di Palazzo Chigi, non proprio i minatori del Sulcis o i disoccupati o i precari, che fanno il verso a Tremonti. Gli gridano con rabbia e incontenibile ostilità: “Bravo, Bravo”. Gli fanno i “complimenti”, salutano il ministro dell’economia come un traditore, un traditore dei loro stipendi. Sono lavoratori certo, anzi tra i lavoratori più garantiti e non certo i peggio pagati. Sarebbero anche funzionari di una istituzione, avrebbero anche l’obbligo di una sensibilità di uno spessore un po’ più ampia di una banconota da cinquanta euro. E invece guidano, incarnano, prendono la testa dell’Italia che non ci sta alla manovra, che chiede di allontanare il calice dalle loro labbra, l’Italia dei “sacrifici sì, ma non nella mia tasca”. E’ un’Italia di massa e di rivoli, un fiume che ingrossa da mille affluenti, è l’Italia che non ci sta e non ci sente.

Dicono no i medici con tutte le loro sigle, è una processione di sindacati di categoria. Dicono no i funzionari di polizia. Dicono no gli ex parlamentari. Dice no la Cgil. Dicono no i magistrati che addirittura impugnano la Costituzione a difesa della loro busta paga, inaugurando originale uso improprio della Carta costituzionale e perdendo una buona occasione per non scadere nel pessimo gusto degli argomenti e degli atteggiamenti. Dicono no Regioni e Province. L’eroe della giornata è quel Pompeo Severino segretario generale del Comune di Anzio che proclama ai giornali: i miei 128mila euro non si toccano e, se li toccano, faccio ricorso. Nella giornata della manovra “società civile” e società politica finalmente si toccano e si fondono sotto la bandiera dove c’è scritto: paghi qualcun altro, qualcuno che non sia io. L’intera nazione delle professioni e categorie, sindacati e mestieri racconta e grida, soprattutto a se stessa, la bugia di “aver già dato” ed è pronta a inseguire con il forcone la realtà, quella che elenca e dimostra come tutti più o meno abbiano “già preso”.

Nelle stesse ore, negli stessi minuti ascoltatori-risparmiatori telefonano angosciati alla radio del Sole 240re per chiedere come mai, nel giorno in cui dalla Gran Bretagna alla Spagna, dalla Germania all’Italia, tutti i governi tagliano la spesa per rassicurare di essere in grado di pagare i loro debiti, crollano ancora le Borse e i valori del titoli di Stato e cala ancora il valore della moneta unica. Si tentano risposte: la speculazione, la paura, il panico, la Merkel lenta e poi frettolosa, il divieto di vendite allo scoperto, la Cina…Da dove verrà mai questa mancanza di fiducia, questa quasi “disperazione” che i governi e gli Stati possano farcela? La risposta non è poi così ardua e complessa, in fondo è già tutta scritta in quel cortile di Palazzo Chigi. Mettereste voi soldi, investireste, puntereste, avreste “speranza” in aziende chiamate “Stato” e “Società” le cui maestranze tutte si rifiutano di fermare la macchina che produce debito? Non c’è bisogno di essere speculatori per non fidarsi, basta essere risparmiatori che non buttano i soldi.

Ha una sola grande attenuante l’Italia che non ci sta e non ci sente: da trenta anni è stata allevata così, abituata, rassicurata e incoraggiata a fregarsene di tutto ciò che le fa da ostacolo, anzi a negare la stessa realtà quando questa non le piace. E’ un conto economico e anche culturale lungo trenta anni quello che arriva a scadenza. Ce la faranno a pagarlo solo le economie forti o meno deboli e i popoli compatti e consapevoli. Gli altri si sentiranno fieri del marciare in serrato e colorato corteo verso ovunque che non sia “sacrificio”, anche verso il disastro, alla sola gioiosa e rivendicata condizione che il disastro sia quello degli altri.