Karl Marx (re)born in Usa, resuscitato dal turbo capitalismo

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 11 Ottobre 2011 - 15:33| Aggiornato il 24 Gennaio 2013 OLTRE 6 MESI FA
Gli indignados di Wall Street (Ap-Lapresse)

NEW YORK – Uno spettro si aggira a Wall Street, quello di Karl Marx. Non è più un tabù per gli americani leggere, analizzare e comprendere la propria crisi in chiave marxista. E le tesi del filosofo tedesco tornano di moda in talk show, giornali, case editrici ed università proprio mentre la protesta “Occupy Wall Street” (foto) degli indignados a stelle e strisce fa sentire fisicamente al potere finanziario il malumore degli americani contro ricchi, banche ed eccessi del mercato.

“Tax the rich”, recita un cartello dei manifestanti di Wall Street e che riassume un sentimento diffuso e che va contro quello che trent’anni di neoliberismo Usa hanno propagandato: che i ricchi non si devono odiare, ma si devono amare e ammirare, perché un giorno quel ricco potresti essere tu, americano medio. Erano i tempi d’oro della “scuola di Chicago” dell’economista Milton Friedman, autore di bibbie yuppie come “Capitalismo e Libertà”, uno che rigettava la responsabilità sociale delle imprese e propugnava uno Stato leggero e un totale laissez-faire nell’economia. Uno che ispirò le politiche dei governi (decennali) di Margaret Thatcher in Inghilterra e di Ronald Reagan negli Stati Uniti. Reagan che così sintetizzava le idee neoliberiste, facendosi apologo della ricchezza come valore assoluto: “Noi aumentiamo la ricchezza nazionale perché tutti abbiano di più, loro (i democratici, la sinistra, ndr) redistribuiscono quello che abbiamo già, cioè spartiscono la povertà”.

Qualcuno, grazie alle politiche economiche di Reagan e di quelle più o meno simili dei suoi successori, si è arricchito veramente, e tanto. Troppi però si sono impoveriti, sono rimasti senza lavoro, senza casa e senza prospettive. Qualche eco della disperazione che dagli Stati centrali si sta espandendo verso le coste è arrivata anche alle élite newyorchesi. Scrive Paul Krugman, economista “di sinistra”, già premio Nobel nel 2008, sul New York Times (tradotto da Repubblica):

Ma che sta succedendo? La risposta, di sicuro, è che i Masters of the Universe di Wall Street capiscono, nel profondo del loro cuore, quanto sia moralmente indifendibile la loro posizione. Non sono John Galt; non sono nemmeno Steve Jobs. Sono gente che è diventata ricca trafficando con complessi schemi finanziari che, lungi dal portare evidenti benefici economici agli americani, hanno contribuito a gettarci in una crisi i cui contraccolpi continuano a devastare la vita di decine di milioni di loro concittadini.

Non hanno ancora pagato nulla. Le loro istituzioni sono state salvate dalla bancarotta dai contribuenti, con poche conseguenze per loro. Continuano a beneficiare di garanzie federali esplicite ed implicite – fondamentalmente, siamo ancora in una partita in cui loro fanno testa e vincono, mentre i contribuenti fanno croce e perdono. E beneficiano anche di scappatoie fiscali grazie alle quali, spesso, gente che ha redditi multimilionari paga meno tasse delle famiglie della classe media.

Allora monta l’odio per chi ha provocato questa crisi e resta placido a osservarne gli effetti dall’alto del proprio superattico o al riparo nelle proprie ville. È un odio di classe e questo spiega il ricorso Marx per rivestire di una patina teorico-filosofica la voglia di farla pagare ai ricchi.

Febbraio 2009: copertina di Time dedicata a Marx

“Carletto” del resto, non è un più un tabù, dicevamo. Non lo è da quando è crollato il Muro di Berlino: con la fine del mondo diviso in due blocchi, gli americani che rivalutano Marx non sono più accusati di “intelligenza con il nemico” (sovietico). Così le cicliche crisi del capitalismo mondiale possono essere rilette con le parole di colui che le crisi del capitalismo le aveva tutte ampiamente previste 150 anni prima. Dove si è sempre mostrato carente è stato nel prevedere le reazioni e le conseguenze di queste crisi.

Ma, per tutto il resto, “Marx was right” e molti negli ultimi 20 anni in America lo hanno scritto. Già nel 1997 il “New Yorker” scrisse: “Più tempo si passa a Wall Street, più si capisce quanto Marx avesse ragione”. Undici anni dopo, nel 2008, crollavano le borse e il “Times” di Londra (e di Murdoch) titolò: “Karl è tornato!”. Poi in un altro editoriale: “Karl Marx: did he get it all right?”, cioè: ci aveva preso su tutta la linea?. Famosa anche la copertina che nel febbraio 2009 il Time Magazine dedicò al filosofo tedesco: “Cosa avrebbe pensato Marx?” riferito alla crisi in corso.

Questa è l’America di oggi, quella dove Candy Crowley, la più autorevole anchorwoman politica di Cnn, nel suo Tg fa un elogio del nuovo capo-economista della Casa Bianca, Austan Goolsbee, “perché finalmente cita Marx e Trotsky nei suoi discorsi”. Dove il Wall Street Journal, parlando del libro di Eric Hobsbawm Come cambiare il mondo. Perché scoprire l’eredità del marxismo lo definiva “poco meno di un capolavoro di accuratezza, profondità e rigore”. Un testo “in grado di diradare le nebbie del Ventesimo secolo”.

Dove anche Nouriel Roubini, l’economista meglio conosciuto come “Dr. Doom” (Dottor Catastrofe), intervistato sempre dal Wall Street Journal (ormai diventato un “Quaderno rosso”) afferma:

Karl Marx aveva ragione. Ad un certo punto, il capitalismo può auto-distruggersi. Non si può continuare a trasferire reddito dal lavoro al capitale senza causare eccesso di capacità produttiva e calo della domanda aggregata. Questo è ciò che è accaduto. Pensavamo che i mercati funzionassero. No, non stanno funzionando. Il singolo può essere razionale. L’azienda, per sopravvivere e crescere può abbattere sempre più il costo del lavoro, ma i costi del lavoro sono il reddito e quindi il consumo di qualcun altro. È un processo auto-distruttivo.