Siria, base bombardata preavvertita da Usa. One-off in scena taglia Assad

di Lucio Fero
Pubblicato il 7 Aprile 2017 - 14:36 OLTRE 6 MESI FA
Siria, base bombardata preavvertita da Usa. One-off in scena taglia Assad

Siria, base bombardata preavvertita da Usa. One-off in scena taglia Assad (foto Ansa)

ROMA – Siria, la base dell’aeronautica siriana bombardata dagli Usa era stata preavvertita dei missili in arrivo. Dagli stessi americani. Non direttamente ma di fatto. I militari americani avevano infatti avvertito i militari russi che operano nella base siriana e che hanno a loro volta installazioni e alloggiamenti nei pressi del bersaglio dei missili. Arrivano i missili era il messaggio partito dagli Usa e infatti la base colpita era stata sostanzialmente sgombrata: non un ferito russo, solo sei morti siriani. Ben diverso sarebbe stato il numero delle vittime se il bombardamento non fosse stato annunciato prima da chi bombardava.

Ma perché gli americani hanno avvisato russi e quindi siriani? Che senso ha bombardare avvisando prima che si bombarda? Ha senso eccome se ce l’ha. Perché Trump non ha scelto di intervenire militarmente in Siria, ha scelto invece di far fuori, tagliar fuori Assad e di schierarsi con la parte sunnita nella guerra civile e religiosa che si combatte in Siria stessa e in tutto il Medio Oriente.

Avvisare prima del bombardamento per evitare vittime russe, un soldato russo morto Trump non lo voleva e gli Usa non possono permetterselo. Putin in Siria secondo Trump va in qualche misura declassato dal ruolo di protagonista e vincitore a quello di partner di un accordo che si decide a Washington, Ankara, Riad e anche Mosca. Anche, non soprattutto Mosca. Però Putin non va provocato e messo all’angolo. Quindi qui Pentagono a voi Mosca: bombardiamo lì, levatevi.

Avvisare prima i russi significava avvisare anche i siriani, il Pentagono lo sapeva certo. Ma anche questo era meglio così: pochi morti siriani e che fossero pochi era anche questo un obiettivo. Perché l’attacco americano non aveva in realtà obiettivi primari di natura militare. Non serviva a preparare sbarco di truppe Usa o invasioni di truppe di alleanze anti Assad. Un risultato militare per così dire collaterale lo ha ottenuto, ma non era quello che si voleva. Togliere all’aviazione di Assad nove caccia bombardieri e depositi di carburante e una pista significa dare respiro militare alla jiahd armata in Siria, significa favorire non poco sul campo i ribelli islamisti. Però significherà anche chiamare i caccia bombardieri russi che sono già in Siria a fare il lavoro che l’aeronautica siriana non può più fare. Non un affare, non un vantaggio dal punto di vista militare a guardar bene.

Ma l’obiettivo, il target appunto dell’attacco e di Trump non era militare, era politico. Tutto e assai politico. L’obiettivo era ed è Assad. Il dittatore siriano stava perdendo la guerra fino a che non è intervenuto Putin a suo sostegno. Adesso Assad la guerra la stava vincendo e i primi accordi di tregua e poi forse domani di pace contemplavano un Assad ancora protagonista. E Assad che resta, in qualunque modo resti, significa sconfitta per i sunniti. Per l’Arabia Saudita sunnita che vuole sparisca l’alawita Assad alleato degli sciiti iraniani che sono il nemico principale di Riad. Per i sunniti cui fa riferimento e di cui si fa bandiera Erdogan e la sua Turchia. Per i sunniti iracheni che sono maggioranza e mal tollerano gli sciiti in Iraq.

In tutta l’area c’è una guerra civile e religiosa: lo Yemen, la Siria, l’Irak ne sono i fronti aperti ma la linea del combattimento è più ampia. Putin a suo tempo ha scelto di stare di fatto con l’Iran e Assad appunto non sunniti. Trump ha scelto l’altra sera lo schieramento opposto.

Perché? Per far fuori un dittatore? Sì, anche. Ma far fuori Assad dittatore sarebbe un vantaggio per così dire collaterale, l’importante è far fuori Assad, rovesciare il tavolo dove le carte erano state date in maniera che Assad giocasse ancora. Carte date sul campo di battaglia e nelle trattative condotte ad Astana sotto il beneplacito e controllo di Putin.

Per rovesciare il tavolo occorreva un colpo. E un colpo solo: one-off lo chiamano in America. Noi diremmo una tantum. One-off che andava messo in scena alla prima possibile occasione. One-off in scena, sì proprio in scena. Quasi un classico nella storia recente americana: l’incidente nel golfo del Tonchino che diede agli Usa la legittimità per combattere in Vietnam, ma quelle navi nordvietnamite che aprirono il fuoco contro navi Usa nella realtà non c’erano. Come non c’erano le armi di distruzione di massa di Saddam in Iraq. Non c’erano nonostante le foto esposte nell’Assemblea dell’Onu dai rappresentanti americani.

E ora le prove, indubitabili prove, che gli Usa portano dimostrano senza ombra di dubbio che da quella base sono partiti aerei siriani a bombardare le zone dove poi c’è stata la contaminazione chimica e le relative vittime. Ma questo è provare l’ovvio e l’indiscutibile, altra era ed è la questione: quegli aerei sicuramente decollati per bombardare zone tenute dai ribelli avevano a bordo armi chimiche e l’ordine di colpire con queste la popolazione?

Gli Usa, Israele e in generale l’Occidente dà per scontato e coincidente l’una e l’altra cosa. La Russia non senza qualche plausibilità parla di Usa che non attendevano altro che un pretesto, un’occasione. La Cina fa il pesce in barile. L’occasione per one-off e via, il pretesto per rovesciare il tavolo qualcuno li ha forniti.

Se lo stesso Assad in un moto suicida e incomprensibile nelle sue motivazioni, non si attira infatti la rappresaglia americana mentre stai vincendo. Ma vai a sapere cosa c’è davvero nella testa di un dittatore e nelle pratiche di un regime che ha massacrato con metodicità cittadini e civili.

Se invece sono stati i nemici di Assad a fabbricare l’occasione la cosa avrebbe più senso, ma contro questa ipotesi milita il fatto tecnico che una bomba su un depositi di armi chimiche non le innesca anche se ci esplode sopra, sono infatti armi binarie. Allora occorrerebbe supporre milizie islamiste che volontariamente spargono gas tra la loro gente. Un po’ troppo, anche se non impossibile.

Di vere prove di cosa davvero è accaduto in quella cittadina del nord ovest della Siria nessuno ne fornisce davvero. E forse per paradosso importa poco. Quel che è successo è che Trump ha scelto definitivamente e totalmente il campo sunnita. La stessa scelta che gli Usa fecero quando finanziarono e allevarono i talebani in Afghanistan. E fu Bin Laden. E che fecero quando invasero l’Iraq. E fu l’Isis. Speriamo la terza volta non produca una terza catastrofica minaccia.