Turchia, Erdogan vieta l’espatrio ai prof. Epurati in 60 mila. “Vi impiccheremo tutti”

di Edoardo Greco
Pubblicato il 20 Luglio 2016 - 12:24 OLTRE 6 MESI FA
Turchia, Erdogan vieta l'espatrio ai prof. Epurati in 60 mila. "Vi impiccheremo tutti"

”Feto (Gulen, ndr), cane del diavolo, impiccheremo te e i tuoi cani al vostro stesso guinzaglio”: piazza Taksim a Istanbul, 20 luglio 2016. ANSA/ CRISTOFORO SPINELLA

ISTANBUL – Dopo il golpe fallito del 15 luglio il presidente della Turchia Erdogan: 1) ha epurato 60 mila persone (fra arresti, licenziamenti e sospensioni di militari, poliziotti, dipendenti pubblici, insegnanti ed imam); 2) ha vietato l’espatrio ai professori universitari (dopo aver vietato l’espatrio e sospeso le ferie a 3 milioni di statali); 3) ha chiuso 24 fra stazioni radio e canali tv perché “vicini a Gülen; 4) ha autorizzato un raid contro il Pkk nel Kurdistan iracheno, nel quale sono stati uccisi 20 curdi, “terroristi” per il governo turco.

Nel frattempo: 1) i 103 generali colonnelli e ammiragli golpisti confessano dopo essere stati pestati, umiliati e interrogati; 2) in piazza Taksim, cuore delle manifestazioni di piazza ad Istanbul, è comparso uno striscione “Vi impiccheremo tutti”; 3) Wikileaks ha pubblicato 295 mila email del partito di Erdogan, l’Akp, ottenendo in risposta un attacco hacker.

La confessione del colonnello. Il consigliere del capo di Stato maggiore turco, il luogotenente colonnello Levent Turkkan, ha confessato di far parte della rete di Fethullah Gulen, accusata di aver organizzato il fallito golpe in Turchia. Lo riporta la Cnn Turk, mostrando parti della sua testimonianza resa agli inquirenti.

“Il 15 luglio sono andato nella stanza del maggiore generale Mehmet Disli (fratello del vice-capo dell’Akp di Erdogan, ndr), anche lui è un gulenista. Ci ha detto che avrebbe chiesto al capo di Stato maggiore Akar se gli sarebbe piaciuto essere Kenan Evren (il capo della giunta golpista del 1980, poi diventato presidente turco, ndr) o no”, dice Turkkan nella testimonianza riportata. Disli gli avrebbe detto di aspettarsi una risposta positiva dal capo di Stato maggiore, che invece ha declinato l’offerta dicendo ai golpisti: “State facendo un errore”. Stando alle parole di Turkkan, anche altri comandanti hanno rifiutato di prendere parte al tentativo di putsch. Dopo che il capo di Stato maggiore era stato preso in custodia dalle forze speciali, lo stesso Turkkan sarebbe stato incaricato di avvisarne la moglie, che “è scoppiata in lacrime”. Infine, secondo il resoconto della testimonianza, Turkkan ha detto di essersi pentito della partecipazione al golpe dopo aver appreso dei bombardamenti sul Parlamento di Ankara e dell’uccisione di civili.

Professori universitari bloccati in patria. Il Consiglio per l’alta educazione (Yok) ha imposto un divieto di espatrio a tutti i professori universitari turchi. Lo riferisce la tv di stato Trt. Ieri, lo stesso Yok aveva chiesto le dimissioni dei 1.577 decani delle università della Turchia. Il provvedimento include anche la richiesta ai professori universitari attualmente all’estero di rientrare in Turchia il più presto possibile.

Chiusi 24 fra stazioni radio e canali tv. Sono almeno 24 le radio e televisioni turche chiuse a seguito del provvedimento emanato dal Consiglio supremo per la radio e la televisione (Rtuk), che ha revocato le licenze ai media ritenuti vicini a Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere dietro il fallito golpe. Per le stesse ragioni, la Direzione generale per l’informazione (Byegm), che dipende dalla Presidenza del Consiglio, ha revocato gli accrediti stampa a 34 giornalisti turchi.

Il raid aereo anti-Pkk. Primo raid turco anti-Pkk dopo il fallito golpe in Turchia di cinque giorni fa: jet hanno colpito obiettivi dell’organizzazione indipendentista curda “nel nord dell’Iraq” uccidendo “20 “terroristi” secondo quanto riferisce il sito turco Daily Sabah citando “fonti della sicurezza”. Le incursioni sono state compiute da aerei F-16 e “continueranno”, aggiunge il sito.

Wikileaks ha denunciato di aver subìto due giorni fa un “pesante” attacco hacker e di essere tutt’ora sotto tali attacchi, presumibilmente da parte di “fazioni del potere statale turco o suoi alleati”. “Non siamo sicuri della reale origine dell’attacco – afferma l’organizzazione di whistleblowing fondata da Julian Assange -, ma “la tempistica suggerisce” questo. I denunciati attacchi hacker sono arrivati subito dopo l’annuncio dell’imminente pubblicazione, avvenuta poi effettivamente ieri sera, di 295 mila mail provenienti dal dominio del partito Akp del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

Le email sono state pubblicate “in risposta alle epurazioni post colpo di Stato attuate dal governo”. “Il materiale – spiega l’organizzazione internazionale fondata da Julian Assange – è stato ottenuto una settimana prima del tentato golpe. Tuttavia, Wikileaks ha posticipato la sua pubblicazione in risposta alle epurazioni del governo”. “Abbiamo verificato il materiale e la fonte – aggiunge Wikileaks -, che non è collegata in alcun modo agli elementi dietro al tentato golpe o a un partito politico o Stato rivali”.

L’organizzazione fondata da Julian Assange spiega – all’indirizzo web wikileaks.org/akp-emails – di aver messo online, alle 23 di del 19 luglio 2016 ora di Ankara (le 22 in Italia), una “prima parte dei messaggi di posta elettronica dell’Akp”. Questo primo scaglione contiene 294.548 mail e migliaia di file allegati, provenienti da 762 caselle di posta elettronica con iniziali dalla lettera ‘A’ alla lettera ‘I’. Le e-mail provengono da akparti.org.tr, dominio primario del partito di Erdogan. La mail più recente è stata inviata il 6 luglio 2016, la più datata risale al 2010. Wikileaks fa notare come “le mail associate a tale dominio dovrebbero essere quelle utilizzate per trattare con il mondo”.

Sessantamila epurazioni. Le purghe di Erdogan hanno colpito 60 mila persone tra arresti, sospensioni di dipendenti pubblici e licenze lavorative tolte ai privati. Una deriva che spaventa il mondo e spinge Barack Obama a parlare direttamente con il presidente turco, per la prima volta dopo il putsch, invitandolo al rispetto dei valori democratici. Ankara insiste però nel braccio di ferro con gli Stati Uniti, continuando a chiedere con forza l’estradizione di Fethullah Gulen, che accusa di essere la mente del tentato golpe. Non si ferma neppure il riavvicinamento alla pena di morte, costantemente invocata dalle folle islamiche nazionaliste che ogni sera invadono le strade della Turchia.

Le epurazioni-monstre, che in queste ore si aggiornano di continuo, hanno visto oggi nel mirino il settore dell’istruzione, considerato una delle roccaforti della rete di Gulen. Il ministero ha sospeso 15.200 insegnanti pubblici e tolto la licenza a 21 mila docenti privati, molti dei quali impiegati nelle dershane, le scuole vicine a Gulen, che più volte Erdogan aveva già provato a chiudere.

Nel mirino anche l’università, con tutti i 1.577 decani degli atenei turchi a cui sono state chieste le dimissioni, a questo punto inevitabili. Molti, le hanno già rassegnate. Le purghe non risparmiano neppure gli imam e i professori di religione. La Diyanet, massima autorità islamica che dipende dallo Stato, ha annunciato di averne allontanati 492.

E poi, ancora: un centinaio di sospesi dai servizi segreti e 393 dal ministero della Famiglia, oltre ai 13 mila già cacciati dal ministero dell’Interno (per lo più poliziotti), da quello delle Finanze e dalla magistratura. Numeri spaventosi che fanno gridare da più parti a una sospensione totale dello Stato di diritto.

Continuano a crescere anche gli arresti. Le persone finite in manette con l’accusa di aver complottato con gli insorti sono salite a 9.322. Eppure, le responsabilità sul golpe si fanno sempre più oscure. In un comunicato ufficiale, le Forze armate hanno ammesso di aver saputo dai servizi segreti della preparazione di un colpo di stato già alle 4 di venerdì pomeriggio, con diverse ore di anticipo. Ma perché i golpisti non siano stati bloccati, resta al momento un mistero. In questo clima, Erdogan insiste per la pena di morte.

Dopo aver promesso di ratificarne un’eventuale reintroduzione da parte del Parlamento, ha incassato l’appoggio dell’opposizione nazionalista. Ma su questo, l’Ue si mostra intransigente: in caso di ritorno alla pena capitale, i negoziati di adesione – in corso da più di dieci anni – possono considerarsi interrotti.

Resta serrato anche il braccio di ferro con gli Stati Uniti sull’estradizione di Gulen. Ankara ha fatto sapere di aver inviato 4 dossier con la documentazione relativa alle presunte attività terroristiche ed eversive dell’imam e magnate, che dal 1999 vive in auto-esilio in Pennsylvania. Erdogan l’ha paragonato a Bin Laden, mentre il portavoce del governo turco lo ha definito portatore di un’ideologia “non diversa dall’Isis”. Washington assicura però che sulle procedure di estradizione non farà sconti e continua a chiedere le prove del coinvolgimento di Gulen. Nonostante le purghe di massa, in Turchia la resa dei conti sembra appena cominciata. A farlo capire, è stato lo stesso Erdogan, avvisando che dopo il Consiglio di Sicurezza Nazionale di domani verrà annunciata “un’importante decisione”.