Il 44% dei musulmani dei licei francesi “è pronto a combattere”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 22 Marzo 2017 - 12:44 OLTRE 6 MESI FA
Il 44% dei musulmani dei licei francesi "è pronto a combattere"

Il 44% dei musulmani dei licei francesi “è pronto a combattere”

ROMA – Il fondamentalismo religioso, Allah Akbar, può essere – scrive Giuseppe Corsentino di Italia Oggi – il terreno di coltura della violenza giovanile, uno stimolo poderoso a quei comportamenti devianti o border line che caratterizzano l’adolescenza, anche se non si vive in contesti sociali e familiari degradati ma si frequenta un buon liceo in una grande città francese?

Se uno legge la ricerca su “Liceali e radicalità” di due sociologi della gioventù (Olivier Galland e Anne Muxel, entrambi con un buon curriculum di lavori scientifici e di pubblicazioni) appena pubblicato dall’autorevolissimo Cnrs, Centre national de la recherche scientifique, il Cnr francese, ma con 32 mila dipendenti e 3,3 miliardi di euro di budget (ecco la piccola differenza con l’Italia) e scopre che il 32% dei liceali musulmani è convinta che l’Islam è la sola unica e vera religione; che il 44% (quasi la metà del campione) è pronta a “combattre les armes à la main pour sa religion”, a prendere le armi e combattere nel nome del proprio Dio; che il 70% non si sente di condannare i terroristi che, nel novembre del 2015, fecero una carneficina nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e nel supermercato ebraico Hyper Cacher alla periferia di Parigi; ecco, se uno legge queste cose e si ferma a questi indicatori, la risposta non può che essere positiva: sì, il fondamentalismo religioso può avere effetti devastanti nelle teste di tanti ragazzi e ragazze francesi, figli di immigrati, tutti di terza se non di quarta generazione, che si preparano alla maturità.

Per fortuna le cose sono un po’ più complesse e la devianza giovanil-religiosa, a leggere con più attenzione le cifre della ricerca del Cnrs e a interpretarle, alla fine riguarda (ancora, ma per quanto ancora?) una minoranza.

I due sociologi, Galland e Muxel, che sono stati pure accusati in questi giorni di aver divulgato una ricerca che potrebbe portare farina al sacco di Marine Le Pen, preferiscono parlare di “une minorité inquiétante dans une majorité rassurante”, di una minoranza che fa paura dentro un contesto generale che, invece, rassicura, non fa dubitare su certi valori chiave della società moderna, la tolleranza, il rispetto degli altri, la comprensione.

Anche se, storicamente, è sempre “la minorité inquiétante” a creare problemi, come sappiamo.

Intanto partiamo dai numeri e chiediamoci quanto minoritaria sia questa minorité nel campione degli oltre 7 mila liceali intervistati per un anno, esattamente dal novembre del 2015, all’indomani della strage al Charlie Hebdo, dai ricercatori del Cnrs in 21 licei pubblici nelle principali città francesi, da Lille a Parigi, da Digione a Marsiglia e con una attenzione quasi maniacale a quella che, qui in Francia, si chiama la mixité sociale.

Nel campione della ricerca ci sono, infatti: il 41% di studenti che arrivano dalle classi popolari, il 38% di figli di immigrati, il 25% di religione musulmana. Un mix raisonné et diversifié, ragionevole e diversificato, come spiega Anne Muxel.

In questo universo statistico di 7 mila studenti, quelli che si dichiarano fondamentalisti sono solo l’11% (poco più 700 su 7 mila), è vero, ma la brutta notizia è che tra i musulmani (il 25% del campione) questa percentuale sale di colpo al 32% mentre tra gli studenti di religione cristiana è di appena il 6% e, addirittura, dello 0,6% tra i ragazzi non credenti. Come a dire che si rischia di fare meno danni a non credere, a essere completamente e assolutamente laici, che a credere.

Insomma, è l’absolutisme religeux, così i due sociologi hanno ribattezzato il fondamentalismo nello sforzo di essere politicamente corretti, il propellente dell’estremismo ideologico che, a sua volta, può innescare la violenza dei giovani liceali. A una sola cosa tutti questi giovani, musulmani e non musulmani, interrogati dai ricercatori del Cnrs non credono: l’informazione giornalistica. E anche questa non è una bella notizia. E non solo per noi, addetti ai lavori.