Accelerare o accellerare? Scempio della lingua ma “La situazione è grammatica”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Maggio 2015 - 07:54 OLTRE 6 MESI FA
Accelerare o accellerare? Scempio della lingua ma "La situazione è grammatica"

Accelerare o accellerare? Scempio della lingua ma “La situazione è grammatica”

ROMA – “Più che allarmante, tragico” è, secondo Silvia Truzzi che ne ha scritto sul Fatto, il libro intitolato “La situazione è grammatica“, di Andrea De Benedetti, giornalista, linguista, professore e scrittore torinese, un “delizioso pamphlet [che] sfata il mito della nostra bellissima lingua svilita, aggredita e deturpata da strafalcioni di varia natura perfino da giornali e tv. La situazione è grammatica, non è grave e nemmeno acuta. La nostra reputazione linguistica è meno compromessa di quanto non si pensi”.

Non aspettatevi, avverte Silvia Truzzi,

“una noiosa sequenza di regole ed eccezioni (a questa parola è dedicato un esilarante capitolo, Lascia o raddoppia).

C’è il sadismo della ricerca dell’errore e il compiacimento del trovarlo: asino! Ma – spiega l’autore – peggio di una lingua sciatta e scorretta c’è solo la lingua inodore e geneticamente modificata proposta da certi insegnanti schizzinosi, ossessionati dalla grammatica come lo sono certe mamme dalla pulizia, che quando entri in casa con le scarpe danno una passata con lo straccio anche se non hai lasciato la minima impronta sul pavimento.

Nel capitolo sugli accenti, l’autore approfitta dell’occasione per chiedere a tutti i suoi cari, quando morirà, di controllare bene lapide e necrologi: “Perché ci terrei a non fare brutte figure al mio funerale. E perché se sapessi che sulla mia lapide c’è scritto un perché passerei l’eternità a cercare di correggerlo”.

“Quand’ero piccolo, ero convinto che il commissario Basettoni, il poliziotto amico di Topolino, si chiamasse con due esse. Non avevo capito che il nome gli derivava dall’avere due grosse basette, che peraltro all’epoca nemmeno sapevo cosa fossero. Fatto sta che per anni, tra me e me, l’ho chiamato Bassettoni fino a quando una volta un amico dei miei genitori mi lesse una storia di Topolino pronunciandomi per la prima volta il suo vero nome.

“Non si chiama Basettoni, si chiama Bassettoni”, osservai indignato. “No, si chiama Basettoni – replicò – perché ha le basette”. Ed è stato a Topolinia che l’autore, per la prima volta, ha capito uno dei motivi per cui scriviamo male alcune parole: “Perché troppe volte non le leggiamo, ma ci limitiamo a guardarle”. Errare è umano, perseverare diabolico?
Bisogna anche dire che i linguisti distinguono tra errore e sbaglio: “Se ad esempio scrivi ortogrtafia anziché ortografia si tratterà di una svista, di un lapsus calami, una disattenzione occasionale imputabile al fatto che il tasto della r e quello della t sono confinanti e che può capitare, nella fretta, di digitarli all’unisono. Se invece scrivi eccezzione invece di eccezione stai contravvenendo alla regola in maniera prevedibile e codificata: stai commettendo un errore”.

O più poeticamente, con Cesare Pavese, “fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna e quelli che odorano di bucato”. Comunque sbagliare è facilissimo: non poche regole ortografiche sono macchinose e controintuitive. Ma soprattutto il percorso tra il pensiero, la lingua e il foglio di carta è tutt’altro che un rettilineo, è una strada in salita piena di tornanti. In curva bisogna accelerare o no? Certamente non accellerare: il verbo deriva dal latino celere, che si scrive con una sola l.

Ma a un certo punto abbiamo cominciato a pronunciare la l come se fosse lunga. A furia di allungarla è capitato che qualcuno abbia cominciato a scrivere accellerare. E l’epidemia si è così tanto estesa che facendo una ricerca su Internet si trovano quasi 400mila occorrenze di accelleratore a fronte del milione risicato di acceleratore.

[Una verifica fatta dal vostro redattore ha dato un risultato diverso sono 2.840.000 risultati proposti con orgoglio in 0,28 secondi da Google per accelerare e sono 180.000, in 0,50 secondi, per accellerare, dato seguito da una
sorta di nota di biasimo: “Forse cercavi: accelerare per accellerare”]
Ma in queste pagine di errori – che ci parlano perché li facciamo tutti, tutti i giorni – ne incontriamo moltissimi: dall’eccessiva generosità con cui raddoppiamo le consonanti, all’entusiasmo con cui abusiamo della d eufonica. La d eufonica ci euforizza, praticamente è un antidepressivo: scriviamo “ed ancora”, al posto di “e ancora”. La d serve solo per evitare lo scontro con la vocale iniziale della parola seguente, “ed ecco””.