Amedeo Matacena: “Mai pensato di andare in Libano. Nessuna latitanza dorata…”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Maggio 2014 - 14:59 OLTRE 6 MESI FA
Amedeo Matacena

Amedeo Matacena

ROMA – Per la prima volta, intervistato da Repubblica, ha parlato Amedeo Matacena, l’uomo la cui fuga all’estero ha provocato l’ultimo terremoto giudiziario italiano.

“Mai pensato di andare a Beirut, mi trovo in un Paese in cui non esiste l’estradizione, perché avrei dovuto andare in Libano dove invece ci sono accordi bilaterali con l’Italia? Mettetevi nei panni di mia moglie, era disperata e ha cercato aiuto. Fra l’altro lei non ha mai accettato il fatto che io me ne fossi andato dopo la sentenza e se è venuta qui è solo per sbrigare le pratiche della separazione”.

L’intervista a Repubblica:

Il volto asciutto, i lineamenti tirati, il suo solito colorito chiaro, più da scandinavo che da meridionale. Eccolo Amedeo Matacena, lo vediamo sullo schermo del computer di uno studio legale di Reggio Calabria. Lui risponde attraverso Skype dal suo telefonino. È ormai l’unico strumento che da Dubai, a 3.979 chilometri di distanza, lo unisce alla Calabria. Una terra che ha fatto la fortuna di suo padre, l’armatore Amedeo senior, e che è stata la disgrazia della sua carriera politica e imprenditoriale.
Per la prima volta parla con i giornalisti e dice «Vivo lavorando, altro che latitanza dorata». Da quando è arrivata la condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa è sparito dalla circolazione. È scappato prima che i carabinieri gli potessero notificare l’ordine di arresto. A giugno scorso è volato via facendo tappa alle Seychelles per alcuni mesi e poi negli Emirati Arabi, dove è stato fermato alla fine di agosto scorso. Da allora è fermo a Dubai dove vive in una casa affittata con l’aiuto di alcuni amici italiani. Risponde da un bar, forse un ristorante, «non mi chieda dove sono, non glielo direi, lei capisce che non posso…», e decide di parlare «perché dopo quello che è accaduto è tempo di chiarire alcune cose, a partire dal fatto che nell’ordinanza di custodia cautelare ci sono un sacco di sciocchezze ».
Quali sciocchezze?
«Non avevo nessuna intenzione di andare a Beirut, un’idea del genere non mi ha neppure sfiorato. Sarebbe stata una follia. Scusi, io mi trovo in un Paese in cui non esiste l’estradizione, perché avrei dovuto andare in Libano dove invece esistono accordi bilaterali con l’Italia? Tra l’altro anche volendo mi è stato ritirato il passaporto e non posso muovermi da Dubai. Anche volendo, per me è impossibile spostarmi da qua».
E tuttavia dalle intercettazioni emerge che sua moglie Chiara Rizzo e Claudio Scajola avevano un piano per farla trasferire in quello che definiscono un «posto sicuro».
«Guardi, io non so di quale piano lei parli, e comunque da qua non mi sarei mosso. È semplicemente illogico anche solo
ipotizzarlo».
Come spiega allora le intercettazioni con l’ex ministro?
«Provi a mettersi nei panni di mia moglie. Io sono andato via dopo la sentenza. Lei era da sola a Montecarlo con i due figli, di cui uno di appena 14 anni. Secondo me è andata nel panico ed ha cercato di trovare una soluzione rivolgendosi a chiunque potesse aiutarla sia in Italia che all’estero. È stata nient’altro che una legittima richiesta d’aiuto. Claudio Scajola è un amico di famiglia e non si dimentichi che oltre ad essere un politico è anche un avvocato. Credo che Chiara si sia rivolta a lui per chiedere il parere di una persona qualificata, di un professionista del diritto con esperienze importanti».
Da quanto tempo conosce Scajola?
«Da quando sono diventato parlamentare di Forza Italia nel ‘93, poi i rapporti politici si sono trasformati in amicizia. Mi creda, sono amareggiato per quanto gli sta accadendo per colpa di questa storia, spero ne esca presto. E spero che altrettanto presto venga restituita la libertà anche a tutti gli altri. Hanno arrestato gente perbene. Prenda Martino Politi, il mio collaboratore, le assicuro che è una delle persone più oneste che io abbia mai conosciuto. È un santo quell’uomo, una persona cristallina, sono davvero dispiaciuto per lui».
Magari potrebbe rientrare in Italia ed andare a chiarire lei stesso questa vicenda.
«Lei crede che non ci abbia mai pensato? Ogni giorno trascorso da quando sono lontano rifletto sull’opportunità di rientrare e consegnarmi. Ogni santo giorno. Crede che mi faccia piacere stare lontano dalla mia famiglia? Sono stato condannato ingiustamente, il mio è stato un processo politico e anche le accuse sono basate sul nulla, sono stati lesi tutti i diritti della difesa. Abbiamo già prodotto due ricorsi da cui ci aspettiamo tanto. Un ricorso straordinario alla Corte di Cassazione ed uno alla Corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani e dei diritti della difesa. Attenderò le decisioni dei giudici e poi deciderò cosa fare».
Certo una condanna per le sue amicizie mafiose con Giuseppe Aquila, affiliato del clan dei Rosmini non è cosa da poco.
«Intanto diciamo che Peppe Aquila lavorava a bordo delle navi di mio padre da quando aveva 14 anni. Suo padre era un poliziotto e per come lo conoscevo io era una persona perbene. La sua candidatura l’ha voluta mio padre, non io. Ed anche quando fu nominato vice presidente della Provincia di Reggio Calabria, avvenne con voto unanime di tutti i gruppi della maggioranza consiliare. Significa che era amico di tutti e nessuno aveva dubbi. Tra l’altro non c’è un suo atto da amministratore o da assessore a vantaggio di ‘ndranghetisti. E anche la storia dei voti che mi avrebbe portato è falsa. Eravamo candidati in due diversi collegi elettorali. A me questa storia pare una forzatura enorme. Una sentenza politica, appunto. Tra l’altro se avessero applicato lo stesso metro usato per Andreotti il reato sarebbe stato ampiamente prescritto. Sono l’unico ad essere stato condannato in continuità, assurdo».
Tra le accuse c’è anche quella secondo cui lei avrebbe tentato di nascondere i suoi patrimoni, e francamente non sono spiccioli.
«Intanto chiariamo che il patrimonio che ho gestito in questi anni è quello che ho ereditato da mio padre. Guadagni leciti di una vita da imprenditore. Le società che sono state sequestrate sono inattive e infruttuose da un decennio. Se proprio lo vuol sapere da quando sono fuori non ho ricevuto un centesimo da nessuno. Quando mi hanno fermato a Dubai mi hanno levato 21mila euro di soldi miei, che erano gli unici che avevo, e ora non ho più alcuna entrata».
E come si mantiene?
«Mi mantengo con il mio lavoro ».
Lavora?
«Sì, faccio il maître in un locale: di quello vivo, altro che latitanza dorata. Lavoro a Dubai come ho sempre fatto nella mia vita. Non mi chieda dove lavoro perché non glielo posso dire, ma è così. Le assicuro che l’impegno politico in Forza Italia mi è costato molto. Ho perso praticamente tutto, compreso la mia famiglia».
Da quanto non vede i suoi familiari?
«Mia madre è venuta a trovarmi alcune settimane addietro e mia moglie la scorsa settimana. Chiara mi ha portato mio figlio piccolo un paio di volte. E di recente è venuta per sbrigare le pratiche della separazione. Non ha mai accettato il fatto che io me ne fossi andato dopo la sentenza. Quella mia scelta ha compromesso anche la nostra vicenda personale. Penso che peggio di così non si possa fare, ma penso anche che per quanto sia lunga la notte dopo viene sempre il giorno. Come vede, nonostante tutto, sono un ottimista».