Andrea Scanzi intervista Elio: “Renzi? Stessa scuola di Berlusconi. Meglio Prodi”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Settembre 2013 - 12:15 OLTRE 6 MESI FA
Andrea Scanzi intervista Elio: "Renzi? stessa scuola di Berlusconi. Meglio Prodi "

Andrea Scanzi intervista Elio: “Renzi? stessa scuola di Berlusconi. Meglio Prodi “

ROMA – Stefano “Elio” Belisari, leader e voce degli “Elio e le storie tese”, è stato intervistato da Andrea Scanzi per il Fatto Quotidiano, a pochi giorni dal concerto della Versiliana domenica (8 settembre) alle 21.30.

“Vi seguo dal primo numero, sono un montanelliano vero. Leggevo anche La Voce e tutta la band si è ormai trasformata in vostri lettori”.

Suonate da decenni. Prima o poi il concerto diventa routine. O no?

Il rischio è sempre dietro l’angolo. Se salire sul palco equivale a timbrare il cartellino, qualcosa si è rotto. Se non ti diverti più, non si diverte neanche il pubblico. Per ora la voglia è la stessa. E alla festa del Fatto saremo al posto giusto.

Siete tecnicamente strepitosi, ma privilegiate testi “leggeri”. È come se vi abbassaste di proposito. C’è il rischio che molti vi sottovalutino, catalogandovi come rock demenziale.

Quando ho deciso di fondare il gruppo, volevo fare qualcosa di interessante, bello e originale. Grossa sfida, in Italia. Abbiamo pensato che la strada fosse abbinare testi “strani” – neanch’io so come chiamarli – e una musica molto complessa. Suonata al meglio delle nostre possibilità. Mi pare abbia funzionato. Non piacete a tutti. Per tanti eravamo meglio prima, per molti non saremo mai un granché. Mi diverte leggere i commenti su Youtube. Dopo l’ultimo Sanremo c’è chi ha scritto, indignato, com’era stato possibile che dei buffoni come noi avessero tolto premi a quelli bravi davvero. In Italia sono tutti fenomeni a parlare: li vorrei vedere, poi, sul palco. Sembra contrariato. No. Dico solo che molti dei critici neanche conoscono la differenza tra accordi e melodia. Gli unici che capiscono quanto siano complesse le nostre musiche sono i musicisti professionisti. Non siamo intellettuali, ma il mio obiettivo è sempre stato quello di provocare. Positivamente.

Come?

Costringendo a una reazione: in Italia c’è una pigrizia mentale preoccupante. E poi non sopporto l’idea di annoiare. Da ragazzo, quando uscivo per sentir suonare nei club, mi annoiavo da morire. E quasi tutti intorno a me. Forse sbagliava concerti e andava ad ascoltare i cantautori classici. Quelli che lei non pare amare. A Guccini e De André parete preferire Gaetano e Graziani. Mi piacciono gli originali, quelli che non stanno nello stesso fiume con gli altri. Quelli che rischiano. Battiato, che ha sempre avuto testi assurdi. Frank Zappa, ovviamente. E poi quelli come Ivan Graziani e Rino Gaetano. Artisti che costringevano a pensare. Anche De André e Guccini lo fanno. Sì, ma non ho mai capito perché in Italia si debba far pensare solo con i testi. La musica è molto più importante. Io stesso mi considero musicista. Canto solo perché non c’è nessun altro disposto a farlo.

Nel 1991 vi beccaste la censura Rai con il tormentone “Ti amo Ciarrapico” sul palco del Primo Maggio. Oggi, tra spot e ospitate, siete ormai televisivi. Vi hanno disinnescato?

Prima di quel Primo Maggio ci dicemmo: visto che siamo in un palco “impegnato”, facciamo qualcosa che gli artisti teoricamente impegnati non fanno e noi ritenuti “disimpegnati” sì. Così anticipammo Tangentopoli. E la Rai ci oscurò. Non mi sento sgonfio e disinnescato rispetto agli esordi. Anche La canzone mononota è una provocazione. Com’è nata? Avevo letto un articolo secondo cui, da uno studio approfondito, si evinceva che col passare dei decenni si usavano sempre meno note. Di nuovo: pigrizia mentale. Così abbiamo portato il processo all’ultimo stadio: la canzone mononota. Alla presentazione di X Factor, non sembrava entusiasta. L’ultima edizione è stata la più faticosa, anche per motivi personali. Molto dura. Perché continuo a farlo? Di sicuro perché mi pagano bene, inutile negarlo. Poi perché sono diventato un volto televisivo e grazie a questo, quasi sicuramente, potremo fare un programma tutto nostro: una conquista impensabile, senza X Factor.

E i talenti da scoprire?

Dopo i Settanta, l’Italia ha vissuto un medioevo musicale tremendo. Prima c’era più fermento culturale, certo, ma negli ultimi 20-30 anni non è emerso quasi nessuno di realmente valido. X Factor come può sollevare le sorti? Marco Mengoni e Giusy Ferreri incarnano lo stereotipo del cantante iper-tecnico e super-intonato che lei detesta. Nei Settanta c’era la RCA, una casa discografica che ti allevava: chi firmava i testi, chi ti proteggeva. Persino gli Ennio Morricone che scrivevano gli arrangiamenti per Nico Fidenco e Edoardo Vianello. Oggi non esiste più nulla. Cosa potevo fare per interrompere il medioevo? Mettermi in gioco. E aiutare a crescere qualche giovane. Alle ultime elezioni ha votato Bersani.

Deluso?

Non particolarmente. Bersani non ha tutte le colpe che gli accreditano e io sono sempre dentro la poesia “If” di Kipling: non mi esalto e non mi deprimo. Esistono due categorie di politici: chi sa vincere e chi sa governare. Bersani non sa vincere, Berlusconi sì. Però governa in maniera vergognosa.

E Renzi?

Appartiene alla stessa scuola di Berlusconi: proprio la stessa. Meglio Prodi, che lo ha battuto due volte. Non sopravvaluto però né la crisi né il ruolo del leader. Da ragazzo l’inflazione era molto peggio di adesso. Eppure gli italiani ce l’hanno fatta. E sono anni, ormai, che a sinistra siamo senza leader. Eppure sopravviviamo. Ha presente la data del nostro concerto da voi? Otto settembre. Data particolare. Appunto. Il Re scappò e gli italiani si trovarono abbandonati. Senza leader. Ma ce la fecero. Ce la facciamo sempre. L’arte di arrangiarci la conosciamo come nessuno.