Articolo 18, mistero salvo intese: nuova versione svuota la riforma

Pubblicato il 15 Aprile 2012 - 11:38 OLTRE 6 MESI FA

Tamburi di guerra sull’art. 18, Confindustria all’attacco per il reintegro quasi garantito, Fornero fuori dei gangheri, Grillo sale nei sondaggi, la Lega crolla, Passera promette sviluppo, la mamma di Bossi difende il suo bambino, il calcio si ferma per un Piermario Morosini. morto in campo all’età di 26 anni.

Quest’ultima notizia domina le prime pagine dei giornali (sulla Gazzetta dello Sport occupa quasi tutta la prima: “Morte in campo”) e i titoli di apertura e anche i siti internet e ha generato negli itakiani grande impressione, curiosità e solidarietà. La conseguente sospensione di tutte le partite di calcio di questa giornata dà anche una misura della della sensibilità e anche un po’ emotività della burocrazia calcistica in un periodo di fibrillazione per il marciume che a scadenze quasi fisse affiora da quel mondo.

La notizia più carica di conseguenze per i prossimi tempi in Italia è però quella che porta in prima pagina il Sole 24 Ore: “Articolo 18, si allarga il reintegro. Nella versione finale del ddl trasmessa al Senato si ampliano i poteri di discrezionalità del giudice””. A leggere bene l’articolo di Nicoletta Picchio a pagina 3 si capisce che cosa significasse il salvo intese buttato lì prima di correre a un convegno sui laghi del Nord e poi in Estremo Oriente da Mario Monti. Autentica tigre di carta, Monti aveva garantito che nessuno avrebbe potuto cambiare il testo partorito dal Ministero del Lavoro.

Il Sole 24 Ore oggi rivela che nella versione dell’articolo 18 trasmessa dal Ministero del lavoro al Senato perché inizi l’esame del disegno di legge c’è “più spazio al reintegro”: per i “licenziamenti disciplinari salta la ‘tipizzazione’ dei contratti” cioè la definizione delle circostanze in cui, prima del licenziamento, l’azienda deve comminare altre sanzioni, escludendo il licenziamento: e a questi casi specifici, nella versione originale, il giudice che doveva decidere sul licenziamento e eventuale reintegro, si sarebbe dovuto attenere. Ora invece questo confine salta e ne deriva “maggiore discrezionalità al giudice”.

Nella tabellina che accompagna l’articolo, c’è poi quello che costituisce il vero oggetto del contendere, l’estensione del reintegro ai licenziamenti economici per “manifesta insussistenza”, mentre nella versione originale si parlava solo di indennità, non di reintegro.

Libero, con Fausto Caroti, va giù piatto: “Un cavillo del Governo salva il posto ai lazzaroni”.

Vien da chiedersi perché su questi punti i nervi siano così scoperti. Forse bisogna avere il coraggio di dire che qualcosa non torna nella energia estrema da sempre posta dal sindacato a difesa di questa norma: difende dalle ingiustizie, è vero, ma chi vive nelle aziende sa che essa tutela in modo assoluto i peggiori fannulloni, la cui presenza in azienda è peraltro una delle cause dello scarso funzionamento italiano: solo il senso d’onore della maggior parte dei lavoratori dipendenti frena la corsa a imitare quei super protetti. Che la modifica dell’articolo 18 miri almeno in parte a quei fannulloni lo sembra confermare il fatto che il licenziamento per ragioni economiche della riforma si applica ad un massimo di 5 lavoratori: da sei in su si applicano le norme vigenti dei licenziamenti collettivi che, è bene ricordarlo, sono (e anche giustamente) contro i giovani e gli scapoli e i senza figli.

Quando una azienda licenzia fino a 5 dipendenti per ragioni economiche? Non può essere certo perché è in crisi, perché la crisi di una grande azienda fa salire i numeri a centinaia e migliaia e scatta la legge sui licenziamenti collettivi. La causa sarebbe o sarebbe stata quella della “eliminazione della posizione”, formula già oggi adottata per mandar via, senza ulteriori ostacoli, i dirigenti (guai a dir loro: sei un incapace, il rischio di annullamento è elevato, meglio giocare un po’ con gli organigrammi e andare sul sicuro). Questo consentirà o avrebbe consentito di allontanare al prezzo di varie mensilità di retribuzione persone che si siano rivelate non idonee per incapacità o comportamenti che peraltro tutti i colleghi stigmatizzano in privato.

A questo punto viene da chiedersi, ma perché il sindacato è così serrato attorno alla bandiera dell’articolo 18? Il sindacato, vien da osservare, è una organizzazione che deve tutelare gli interessi dei propri iscritti e in genere, di conseguenza, tutela anche quelli più generali dei lavoratori. Ma è comunque una organizzazione fatta di uomini e donne, che ci vivono non solo con motivazioni ideali ma anche ne ricevono una retribuzione. Quella retribuzione la pagano gli iscritti, sotto forma di tesseramento. I sindacalisti sono i più precari dei lavoratori, come confermano casi anche recenti di tagli appunto per ragioni economiche e come ricordano i molti sindacalisti pensionati alla fine degli anni ’90 a seguito della grande crisi delle tessere, a sua volta seguita alla grande retromarcia imposta al sindacato dai governi di sinistra (Ciampi e Amato) che salvarono l’Italia dalla bancarotta nel 1993 e successivi.

Così è sempre stato, anche su problemi meno cosmici di quello dell’azzeramento della scala mobile. Ogni volta che il sindacato si attesta su posizioni di ragionevolezza perde tessere.

Imparata la lezione, è naturale che i sindacati, e in particolare la Cgil che ha sempre pagato i prezzi più alti perché alla fine è sempre stata la sigla più responsabile, assumano atteggiamenti di rigidità, come nel caso dell’articolo 18., appunto.

Naturale quindi che Susanna Camusso e la sua Cgil assumano posizioni estreme, fino allo sciopero generale. Meno naturale appare invece l’atteggiamento di un Governo “tecnico” che dipende sì dal voto dei principali partiti ma i cui componenti sono estremamente più liberi dai partiti stessi perché non ne fanno parte e la loro vita professionale non è nella politica, ma altrove: professori di università, banche, burocrazia statale. Il peggio che gli può capitare è di perdere le luci della ribalta e tornare al lavoro di prima e il fatto che Mario Monti e Elsa Fornero si siano piegati alla pressione sindacale può essere indice di mancanza di “quid”, vanità che genera attaccamento alle luci della ribalta, altri disegni, come quello di Monti di diventare presidente della Repubblica.

C’è da mettere nel conto anche un presunto senso di responsabilità: se non si cede su qualcosa, il Governo perde il sostegno del Pd e cade e se cade l’Italia paga un duro prezzo sui mercati (spread e interessi). Ma se il ragionamento è più nobile di quello che induceva Berlusconi a non cedere né sulle pensioni né sul lavoro per non cadere (ricatto di Bossi) e rischiare la galera, il risultato alla fine sarà lo stesso. Inutile dare la colpa, come fa Monti, ai giornali o alla Confindustria, i giovani che gestiscono i fondi che comprano i titoli di Stato italiani sanno capire anche senza i giornali e infatti lo spread sale, non per colpa della Spagna o della Cina, ma per colpa dei cedimenti del Governo.

Questo spiega le reazioni al limite della crisi di nervi e della decenza del ministro Fornero e l’attacco, moderato e ai limiti del sospiro, della Confindustria, che riempie il vuoto non solo del Pdl di Angelino Alfano (giustamente a Berlusconi scappò detto che non ha il “quid” ma anche di Udc e Terzo polo e della parte moderata del Pd.

I giornali di oggi sembrano scivolare, per carità di Patria,  sulla esagerazione della Fornero, puntando invece sulla minaccia di crisi di cui sopra: “Se non passa la riforma del lavoro, tutti a casa” (La Stampa), “Governo a casa” (Repubblica, Corriere della Sera, Sole 24 Ore). Il Secolo XIX aggiunge: “Riforma così”, ma a questo punto si scopre che la Fornero sposta un po’ le carte, perché tutto dipende da cosa si intenda con il “così”.

Sulle parole in libertà della Fornero solo il Mattino di Napoli è esplicito nel suo titolo di prima pagina: “Esodati, Fornero accusa”. Di cosa accusi, però, nessuno lo mette nei titoli. Solo Repubblica lo scrive nella riga supra il titolo della spada di Brenno: “Gli esodati li creano le imprese”, dimenticando la Fornero tre anni di recessione e l’aggravamento di essa recessione provocato dalle improvvide misure bassamente demagogiche di questo Governo Monti. Repubblica riporta la reazione della Confindustria: “Sorpresi e sgomenti”.

Il Sole 24 Ore, che è il giornale della Confindustria, sembra minimizzare: “Sugli esodati botta e risposta con le imprese”.  Sotto però c’è un articolo di Giampaolo Galli, direttore generale della Confindustria su “la riforma del lavoro e la crescita. Presidnte Monti, serve un passo avanti”.

Il Corriere della Sera sembra fare finta di niente e preferisce “Catasto e Fisco cambiano”, naturalmente in peggio per i cittadini, ma il Corriere non sembra accorgersene; “Crescita, il piano in dieci punti”; schiera l’ex ambasciatore Sergio Romano a fare il difensore d’ufficio di Monti, anche lui ad accusare Emma Marcegaglia, per una volta che ha fatto bene, di “dichiarazione fuori tono” e di “polemica risposta” alla Fornero.

Sullo sviluppo oggi c’è l’intervista del ministro addetto Corrado Passera al Messaggero di Roma: “Avanti per la crescita”. Senso della mission: “È il momento più difficile, ma l’Italia partirà con le riforme”. Il vizietto di vendere sogni: “Poi giù le tasse“.

Il Fatto quotidiano apre con una nuova dei misteri d’Italia: “Strage di Brescia, condannate le vittime. A 38 anni dalla bomba di Piazza della Loggia, le famiglie degli 8 morti e dei 100 feriti subiscono lo schiaffo più vergognoso: pagheranno le spese processuali. Tutti assolti i fascisti imputati”.

Sempre sul Fatto, Stefano Caselli informa che da un sondaggio Swg il Movimento a 5 stelle di Beppe Grillo raccoglie il 7% delle intenzioni di voto.

Sul Giornale tocca alla Lega, ma all’ingiù: “Crollo nei sondaggi”, perde 3 punti in una settimana, è a quota 6,5%, mentre, dice sempre il Giornale, si affilano i coltelli con “vecchi fascisoli” su Roberto Maroni.

Sempre in tema di Lega, il Giornale apre con l’intervista in tv che La 7 ha fatto alla mamma di Bossi, Ida Mauri: “A Umberto non ho fatto le mani per rubare”.

Libero ha una prima pagina che fa impressione: “23 suidici in tre mesi. Strage di Stato. Gli imprenditori si uccidono per mancati pagamenti, fidi negati, cartelle fiscali che non possono saldare non perché evasori ma perché non hanno i soldi”. Seguono un appello facilmente demagogico, “Diamo a loro quelli destinati ai partiti”, e 9 fotografie di suicidi. L’elenco delle malefatte del Governo Monti si aerricchisce, secondo Libero: “L’Imu stanga i disabiuli e risparmia i palazzinari”.

Le rassegne dei giorni e mesi scorsi.