Bavaglio salva Sallusti. Valentini guarda a Napolitano

Pubblicato il 28 Ottobre 2012 - 12:40 OLTRE 6 MESI FA

La legge bavaglio salva Sallusti contro i cittadini è il titolo dell’articolo che Giovanni Valentini dedica al controverso tema nella sua rubrica settimanale “Il sabato del villaggio” su Repubblica.

Valentini è stato tra i primi a sostenere la pericolosità di Silvio Berlusconi per la libertà di stampa e per i giornali italiani quando ancora, a metà degli anni 80, i più, a sinistra, consideravano Berlusconi un interlocutore credibile e affidabile.

Valentini ha quindi titolo più di molti per sottolineare la pericolosità del nuovo tentativo di bavaglio alla libera informazione in Italia, messo in atto dalla maggioranza dei senatori italiani con il pretesto di evitare che si aprano le porte del carcere per Alessandro Sallusti, direttore del Giornale dei Berlusconi e tenacemente alla ricerca di un modo per entrare in cella, respingendo qualsiasi altro modo, previsto dalla legge, per evitare il carcere.

Lunedì 29 ottobre i senatori proseguiranno l’esame della legge con tutte le intenzioni, almeno da parte di molti, a sinistra come a destra, di stringere la morsa sui giornalisti.

La posta in gioco è molto importante per i partiti, tutti, sostiene Valentini:

“Non è soltanto un bavaglio la legge-bavaglio che il Senato della Repubblica vuole imporre alla stampa con la riforma della diffamazione. È una censura preventiva. Un’intimidazione collettiva. Una persecuzione annunciata. Più che un bavaglio, insomma, si potrebbe definire una museruola per impedire ai watch-dog, i cani da guardia dell’informazione, di mordere o anche solo di abbaiare. Né questa legge è soltanto una vendetta contro i giornalisti. Una rivalsa contro la libertà di stampa. Un regolamento dei conti, in coincidenza con la “nuova Tangentopoli” che sta travolgendo la casta”.

Avverte Valentini che

“c’è anche, dietro le quinte, la patologia del rapporto fra magistratura e informazione: in particolare fra i magistrati parlamentari e i giornalisti. Un rapporto di odio e amore, a volte di complicità, altre volte di rivalità o di antagonismo”.

anche se

“molti parlamentari, nei loro “curriculum” ufficiali, si fregiano ancora della qualifica di giornalisti, spesso in mancanza di titoli di studio o comunque di meglio. Magari senza aver mai fatto veramente questo mestiere, se non in qualche giornale di partito e quindi in condizioni anomale, del tutto diverse da quelle prettamente professionali”.

Ancora:

“abolito il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione, sull’onda del clamore suscitato dal “caso Sallusti”, adesso l’assemblea di palazzo Madama vorrebbe imporre, al riparo del voto segreto, un giro di vite: in pratica per abolire, ridurre o mortificare la libertà d’informazione”.

Ecco gli strumenti della repressione:

“Censure, sospensioni professionali, sanzioni pecuniarie e via discorrendo”.

Se si volesse davvero tutelare l’onore dei cittadini diffamati e non si trattasse invece di un pretesto,

“basterebbe ripristinare e garantire il diritto a una rettifica immediata ed efficace, come condizione di non procedibilità”.

Spiega Valentini che

“l’articolo di un giornale, soprattutto se si tratta di un quotidiano, come pure il servizio di un giornale-radio o di un telegiornale, viene realizzato normalmente nell’arco di poche ore. Non viene redatto nei tempi biblici di una sentenza della magistratura o di un disegno di legge. Si può anche sbagliare, perciò, in perfetta buona fede. E quando non c’è dolo, un’adeguata rettifica è sufficiente a conciliare il diritto individuale alla difesa della reputazione e quello collettivo dell’opinione pubblica a essere informata tempestivamente”.

Appare legittimo dubitare, però, che una simile soluzione possa

“appagare l’ansia vendicativa di un potere politico in agonia, una partitocrazia allo sbando, una “forza senza legittimità”.

A questo punto Valentini guarda in alto, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al quale

“toccherà eventualmente, in forza della Costituzione, valutare o meno l’opportunità di respingere la legge alle Camere, come già fece Carlo Azeglio Ciampi ai tempi della legge Gasparri in difesa del pluralismo e della libera concorrenza”.

“Oppure, extrema ratio, sarà necessario ricorrere a un referendum popolare per abrogare questa proditoria minaccia alla libertà d’informazione”.