Belen e Lapo in “Rom romantica” di Laura Halilovic. Nomi preferiti dalle zingare

di Redazione Blitz
Pubblicato il 25 Luglio 2014 - 11:13 OLTRE 6 MESI FA
Belen e Lapo in "Rom romantica" di Laura Halilovic. Nomi preferiti dalle zingare

Belen e Lapo in “Rom romantica” di Laura Halilovic. Nomi preferiti dalle zingare

ROMA – Belen e Lapo sono i nomi che le zingare preferiscono o meglio che due giovani aspiranti nonne di una famiglia rom sognano per i loro sperati nipotini. Un pizzico di humor che intreccia lacrime, rabbia di adolescenti, voglia identitaria, vivisezione della società italiana nel bel film di Laura Halilovic, “Io rom romantica”, uscito in sala a Rom e Torino. Notare l’età della regista: 25 anni.

A Torino si svolge la parte predominante, nel quartiere della Falchera, rione periferico di approdo di generazioni di immigrati, dai meridionali ieri agli zingari di oggi.

Torino è un caposaldo del razzismo sempre e la Falchera è stata negli anni ’70 il simbolo dei figli di papà di sinistra che vivevano nelle eleganti case del centro sabaudo e guardavano con disprezzo quel quartiere dormitorio senza identità alla periferia della allora quasi metropoli.

Poi la Falchera è cresciuta, si è arricchita di quei servizi che i frettolosi costruttori avevano trascurato, ha assunto una sua identità al punto che Gioia (Claudia Ruza Djordevic), la zingarella protagonista del film il cui padre ha rinunciato a campo e roulotte per un appartamento in mezzo ai “gagi”, come i rom chiamano gli altri, risponde Falchera, non Torino, quando le chiedono da dove vieni.

Divertente l’intreccio degli accenti che si intercettano nel film: quasi senza inflessione quello della mamma di Gioia, pesante quello del papà, tipico dei meridionali nati a Torino quello dell’amica, popolar torinese quello del regista dilettante, torinese d’alta gamma quello del produttore. Lo scontro di razza e di classe si manifesta fin nelle piccole cose, anche nella lite fra Gioia e l’amichetta di quartiere italiana.

Il film è bello, a tratti commovente, il finale però delude ed è incoerente. Non è pensabile che una ragazza piena di volontà caparbia come Gioia, che arriva fino a fare l’assistente di un vice regista in una scena in piazza Vittorio a Torino e a intercettare dietro il vetro di una limousine Woody Allen a Roma dove è arrivata con l’autostop sorbendosi per 700 chilometri una tiritera razzista, alla fine si rassegni a fare un filmetto in casa, col padre attore e il fumo di una pentola come nebbia di Londra che non c’è manco più.

Per un’dea più precisa del film, utile leggere la sintesi della trama offerta dal sito Coming soon:

A Falchera, Torino, Gioia è una diciottenne rom che rifiuta il destino programmato per le donne della sua cultura: matrimonio e figli al più presto possibile. L’amicizia con il meccanico Alessandro e la sua passione per il cinema di Woody Allen finiscono per aumentare il suo processo di emancipazione e per farla scontrare, senza drammi retorici ma con fiera passione, con il resto della famiglia e specialmente con suo padre.

“Io rom romantica” è l’opera prima di Laura Halilovic, classe 1989, che ha infuso nella sceneggiatura, scritta con Valia Santella e Silvia Ranfagni, tratti autobiografici. Se il film rientra a pieno merito nelle commedie etniche, risultando molto prevedibile, è anche vero che l’autobiografismo di Laura Halilovic si giova della sincerità che traspare dalla leggerezza del racconto.

Nelle scene più divertenti, Gioia conosce un regista italiano medio che vuole a tutti i costi costruire su di lei un documentario, forma da lei rifiutata perché ben lontana dalla legittima necessità di fuga psicologica che cerca.

In nessun momento le azioni di Gioia trasmettono disprezzo per la propria etnìa, rappresentando solo un ponte (non aproblematico) tra la propria tradizione e la terra che in più d’un caso risulta con essa incompatibile. E le scene ambientate in una Roma mai così distante lasciano il segno.

Alla fine Io rom romantica è un piccolo film che assomiglia all’istintività della sua spontanea protagonista, Claudia Ruza Djordevic: tecnica acerba, fierezza chiara.

(foto LaPresse)