Rassegna stampa. Bersani: “Alleggerire l’Imu”. La madre di Fiorito: “Mio figlio è intelligente. A tre anni leggeva Topolino”

Pubblicato il 19 Settembre 2012 - 09:09 OLTRE 6 MESI FA
Il Corriere della Sera 19-9-12

Caso Fiat, interviene Monti. Il Corriere della Sera: “Elkann: sostegno a Marchionne, Della Valle irresponsabile”. Il lingotto e la carta tedesca. Editoriale di Massimo Mucchetti:

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“Tanto tuonò che piovve. Incalzato da Diego Della Valle e da Cesare Romiti, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha rilasciato un’intervista a la Repubblica che ha titolato su 5 delle 6 colonne della prima pagina: «La Fiat resterà in Italia». Lo strillo promette, ma possiamo dirci tranquillizzati? La risposta è: no. Ecco perché.
L’esternazione del top manager era stata preparata, il giorno prima, da un lungo elogio dell’economista Alessandro Penati. Perché, si era chiesto Penati riecheggiando l’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, negli Usa si osanna Marchionne e in Italia lo si critica in modo così aspro? Perché questo Paese è conservatore e consociativo, refrattario all’economia di mercato, è stata la risposta: identica a quella del giornalista britannico. Musica per la Torino del Lingotto”. 

Da Mirafiori a Cassino, fabbriche a rischio. L’approfondimento di Giovanni Stringa:

“A Mirafiori nel 2011 la produzione di auto si è fermata a quota 63 mila. Qualche anno prima erano più di 200 mila le macchine uscite dallo stabilimento simbolo della Fiat. Correva l’anno 2007, l’economia italiana cresceva, i consumi correvano e le Borse erano ai massimi. Ma si aprivano anche le prime, lontane crepe, distanti dall’Italia e dalla sua industria. Sui mercati finanziari arrivavano i primi scossoni per una serie di prodotti finanziari legati al settore immobiliare d’oltre Oceano, a dicembre gli Stati Uniti entravano in recessione, e in Gran Bretagna si vedevano, per la prima volta dopo tanti anni, le code di risparmiatori preoccupati davanti alla propria banca. Da allora, da quei germi di recessione, la crisi si è trasformata da finanziaria in industriale e l’epicentro si è spostato dall’America del Nord all’Europa del Sud”.

Intervista di Fabrizio Caccia ad Anna Tintori, madre di Franco Fiorito:

“Mio figlio è intelligente A tre anni leggeva Topolino. Ma che dice, come vi permettete? Le ostriche, se mai, le hanno mangiate gli altri, Franco non ha mai fumato una sigaretta, non è mai andato in discoteca in vita sua, è un uomo perbene, intelligentissimo, ha sempre studiato molto, in terza media venne promosso con eccellente”.

Bersani: alleggerire l’Imu. Primarie, affondo di Renzi. Articolo di Monica Guerzoni:

“Scherzare col fuoco non si può più. Le primarie stanno diventando un affare molto serio e i dirigenti del Pd premono su Bersani perché scongiuri l’incendio. D’Alema, Franceschini e Veltroni hanno provato a convincere il segretario (che ieri a Ballarò ha spiegato che «l’Imu si può alleggerire e rendere più equa, affiancandola con un’imposta personale sui grandi patrimoni mobiliari», causando la replica di Elsa Fornero, secondo cui abolire la tassa «non è realizzabile») che la competizione, con una legge elettorale proporzionale, avrebbe poco senso. Renzi ha fiutato l’aria, forse sospetta che chi spinge per il sistema tedesco voglia far saltare le primarie e si dice «contrario» a una legge proporzionale: «Per il Pd sarebbe abdicare al proprio ruolo, sarebbe una riforma vergognosa e inaccettabile». Arturo Parisi per ora non si sbilancia, ma su questo punto la pensa proprio come il pilota del camper: «Come si fa a farle se non c’è il maggioritario?».
E ieri Beppe Fioroni ha scritto a Bersani una lettera, che porta in calce una trentina di firme di parlamentari, con la quale l’ex ministro mette in guardia il leader su una competizione che rischia di prefigurare un’altra armata Brancaleone, come fu l’Unione di Prodi”. 

Aumentano i candidati e la confusione. La nota politica di Massimo Franco:

“Non si può dire che le primarie stiano offrendo l’immagine di un Pd compatto intorno alla leadership di Pier Luigi Bersani. E la folla di aspiranti candidati a Palazzo Chigi farebbe pensare che chiunque nel centrosinistra si senta in grado di sostituire Mario Monti al governo. Ma probabilmente sono forzate entrambe le interpretazioni. Il segretario del Pd non è accerchiato da veri concorrenti, ma da una moltitudine di ambizioni, se non di velleità. E l’ipotesi che da questa gara esca un aspirante presidente del Consiglio diverso da Bersani rimane, al momento, piuttosto remota. L’unica vera sfida è quella del sindaco di Firenze, Matteo Renzi: se non altro perché è partita prima e tende a sparigliare i giochi interni”.

Vauro fa infuriare il ministro Fornero: la sua vignetta è vergognosa e maschilista. Articolo di Alessandro Trocino:

Per approfondire: Fornero, “squillo” in guepiere per Vauro, s’indigna: “Vergognoso e maschilista”

“Il sarcasmo amaro sull’«aumento di cubature» dei cimiteri per il terremoto in Abruzzo. Gesù in croce che allude all’autoerotismo. Giovanni Paolo II che corre dietro le sottane di una suora. Walter Veltroni inserito proditoriamente in una delegazione anticomunista. La visione prolungata di Fazio e Saviano che indurrebbe al suicidio. Fiamma Nirenstein con un naso pericolosamente simile a quello disegnato dalle vignette naziste. Non è la prima volta, come si vede, che Vauro provoca sconcerto e irritazione per le sue vignette, dagli esordi con il «Male» fino al «manifesto» e a Servizio Pubblico. Questa volta tocca al ministro Elsa Fornero, che viene ritratta in tenuta poco istituzionale, calze a rete e orecchie da coniglietta”.

La Repubblica 19_9_12

La Repubblica: “Marchionne va da Monti”. Il voto di primavera scalda i fronti editoriali ma la crisi limita le risorse. Articolo di Giovanni Pons:

“Si scaldano i fronti editoriali in vista della prossima tornata elettorale di primavera. Diego Della Valle con una doppia mossa sembra aver deciso di scendere in pista puntando altri denari sulla Rcs che controlla il
Corriere della Sera. La sua mossa di salire all’8,6% (ma forse è già oltre il 10%) della casa editrice, a ben guardarla, ha un significato molto tecnico e poco “politico”. Poiché a inizio agosto il titolo stava ai minimi in Borsa gli acquisti a prezzi bassi gli hanno permesso di abbassare notevolmente il suo valore di carico. E non è una cosa da poco poiché Della Valle, dopo Rotelli, è l’azionista che sta perdendo di più nell’investimento in Rcs, oltre 100 milioni di euro. E se è normale che l’imprenditore delle Tod’s stia cercando di recuperare, è al tempo stesso difficile che questo rafforzamento porti a qualche cambiamento concreto negli assetti di governo della casa editrice, blindati da un patto che racchiude il 58% del capitale fino a settembre 2013. A meno che qualcuno dei pezzi grossi non decida di uscire. E forse in questa chiave va anche interpretato l’attacco di Della Valle alla Fiat e a John Elkann, colui che insieme a Mediobanca ha pilotato la recente revisione della governance e il cambio del management. La Fiat è il secondo azionista di Rcs con il 10% e Della Valle sta cercando abilmente di far emergere la contraddizione di un gruppo industriale che sta portando soldi fuori dal Paese ma vuole mantenere il consenso attraverso l’appoggio di un quotidiano di cui è azionista”.

Carte di credito, cene elettorali e portaborse così vengono spesi oltre 35 milioni l’anno. Articolo di Carmelo Lopapa:
“E adesso anche i “responsabili” Scilipoti e Moffa dovranno spiegare come è stato utilizzato il milione 249 mila euro che il gruppo Popolo e territorio ha incassato nel 2011. I responsabili come metafora, sia chiaro, perché i loro sono spiccioli rispetto ai quasi 35 milioni di euro che la lo scorso anno la Camera ha assegnato alle otto formazioni che occupano gli scranni. Carte di credito a disposizione dei capigruppo, viaggi aerei, cene di rappresentanza e telefonini. Senza controlli, in nome dell’autodichia”.
La difesa di Fiorito: l’inchiesta l’ho fatta partire io. L’intervista di Corrado Zunino:
“Nel suo feudo elettorale, la sua linea di galleggiamento dopo che tutta la destra lo ha abbandonato, soltanto gli amici di Anagni gli portano vettovaglie. Batman è alto 190 cm, pesa 170 kg e, dallo scandalo, non è dimagrito un etto. Squilla il telefonino, “Franco Fiorito”. È Batman. «L’avvocato mi ha chiesto di non parlare, ma salgo a salutarla». L’auto piccola sale lenta lungo l’ultimo sbancamento di Villa Fiorito. Sono appena andati via due operai. Tutta monti, l’Anagni di collina, odora di abusivismo e cantieri mai finiti. Un’edilizia eternamente precaria in un’area agricola lottizzata di frodo. «Piacere». Batman resta in auto, a destra. In gessato grigio. L’auto accesa. «Vorrei farle vedere la mia casa, ma sto correndo dall’avvocato a Roma. Sono 80 mq, l’ho comprata 10 anni fa già realizzata. Tutto regolare. Le altre ville non so, non sono tutte mie”. 
Il Giornale 19-9-12

Il Giornale: “Togliere l’Imu si può, Ecco chi l’ha fatto”. Quelli che gridano oggi al lupo ieri si inchinavano agli Agnelli. Editoriale di Vittorio Feltri:

“Destino crudele e bef­fardo. Sergio Mar­chionne, il manager che ha salvato la Fiat dal tribunale e rimesso in piedi al­la grande la Chrysler ( oggi ha un at­tivo mostruoso), è considerato ne­gli Stati Uniti un fenomeno, men­tre in Italia una specie di imbro­glione da cacciare subito a male­parole. Come mai giudizi diame­tralmente opposti sulla medesi­ma persona? Il discorso sarebbe lungo, ma il nostro sarà breve. Gianni Agnelli morì il 23 gen­naio 2003 lasciandosi dietro un’azienda tec­nicamente fallita.
In­tervennero le solite banche e se ne impa­dronirono, ma non combinarono nien­te di buono.
A un certo punto, Gianluigi Gabetti, un signo­re che la sapeva e la sa lunga in campo finanziario, ebbe l’idea giusta: assumere Sergio Mar­chionne, dandogli carta bianca. Disse: «Se non ce la fa lui, non ce la può fare nessuno». Fu ascoltato. Ecco le cifre. Nel 2004 la Fiat era quotata 6 miliardi di euro. Oggi, nonostante la crisi economica e quella dell’auto, è quotata 16 mi­liardi. I numeri non tradiscono mai. Basterebbe questo dato a di­mostrare che il dirigente di origini abruzzesi, figlio di un maresciallo dei carabinieri e residente in Sviz­zera, non è l’ultimo micco”.
A Torino un fiume di denaro pubblico: 400 milioni solo negli ultimi 4 anni. Scrive Paolo Bracalini:
“Una società per azioni inte­ramente privata, nella forma; una società «partecipata» dai soldi del­lo Stato italiano nella sostanza e nella storia. C’è un fiume di dena­ro pubblico che scorre costante­mente, negli anni, dalle casse sta­tali a quelle di Fiat e società con­trollate. Da quando l’azienda è guidata da Marchionne, cioè dal 2004, la corrente non si è interrot­ta affatto, anzi, alcuni maxifinan­ziamenti pubblici sono concen­trati proprio negli ultimi 4 anni.
Ma quanti, in tutto? Una som­ma è difficile farla perché dentro vanno messi anche gli aiuti indi­retti, più difficili da calcolare, quel­li cioè sotto forma di incentivi alla rottamazione o di cassa integra­zione straordinaria (l’ordinaria è a carico dell’azienda), che al mo­mento è utilizzata negli stabili­menti di Mirafiori (5.500 dipen­denti) e per 1.500 operai di Pomi­gliano, per dodici mesi (con do­manda di rinnovo fino al luglio 2013 per Pomigliano): significa pa­recchi milioni di euro dal Ministe­ro del Lavoro. Poi ci sono i sussidi per la formazione dei dipendenti della Fiat, e quindi gli aiuti regio­nali al Centro Ricerche Fiat. Tan­tissimi rivoli, che si uniscono al torrente impetuoso degli aiuti sta­tali diretti, ricostruiti nel dettaglio da Marco Cobianchi nel suo Mani bucate(Chiarelettere)”.
Il Fatto Quotidiano: “Rubano soldi pubblici a man bassa. Ma i partiti bocciano i controlli”. Il secondo tragico Marchionne. Editoriale di Marco Travaglio:
“C’è un che di irresistibile nel dialogo (si fa per dire) a distanza fra il duro Sergio Marchionne e gli omuncoli gelatinosi del governo, dei partiti e dei sindacati moderati (Cisl e Uil). Lui, il duro che non deve chiedere mai perché viene ubbidito prim’ancora che dia gli ordini, annuncia che dei 20 miliardi di investimenti promessi, col contorno di 1 milione e 400 mila auto e altre supercazzole che potevano essere credute solo in Italia, non se ne fa più nulla. Perché? Perché no. E gli impavidi ministri, sindacalisti e politici che fanno? Gli chiedono di “chiarire”. I più temerari aggiungono “subito”, ma sottovoce, vedimai che s’incazzi e li prenda a sberle. Ora, tutto si può rimproverare a questo finanziere scambiato per un genio dell’automobile, tranne la carenza di chiarezza: è dal 2004 che dice ai quattro venti che dell’Italia non ne vuole sapere, molto meglio i paesi dell’Est, dove la gente lavora per un tozzo di pane e non chiede diritti sindacali perché non sa cosa siano, e gli Usa dove Obama paga e Fiat-Chrysler incassa. Ma quelli niente, fingono di non capire, chiedono chiarimenti, approfondimenti, spiegazioni, aprono tavoli, propongono patti, invocano negoziati, lanciano penultimatum, attendono il messia dei “nuovi modelli” naturalmente mai pervenuti”.
La Stampa: “Fiat, i vertici vedono Monti”. Le sfide dell’Unione. Editoriale di Enzo Bettiza:
“La visita di due giorni a Bruxelles di Enzo Moavero, ministro degli Affari Europei, è stata motivata dalla necessità di preparare l’esecutivo italiano al vertice dei capi di Stato e di governo che si terrà il 18 ottobre. Moavero ha tenuto a dichiarare di aver discusso a livello di Commissione e di Consiglio europeo il progetto di un’unione bancaria, sostenuto dall’Italia, aggiungendo nel linguaggio in uso negli ambienti eurocratici: «Ho sottolineato la grande importanza che il nostro governo attribuisce alla legittimità democratica del percorso in atto». Come a dire che i colloqui, svolti all’interno di istituzioni transnazionali note per il loro «deficit di democrazia», si sono in realtà esauriti in dettagli soprattutto tecnici. Hanno girato cioè al largo delle più incandescenti questioni che agitano il mondo odierno, senza suscitare una risposta unanime da parte dell’Europa, una risposta decisa e degna, mi si perdoni la retorica, della gravità dell’ora”.
Il Messaggero: “Monti convoca la Fiat”. Chi favorisce l’antipolitica. Editoriale di Francesco Paolo Casavola:
“Si usa dire che sul viale del tramonto di questa sedicesima legislatura repubblicana il pericolo maggiore per la nostra democrazia sembra l’antipolitica, che si sta impossessando di un numero ogni giorno crescente di cittadini. Ma questo atteggiamento reattivo, che può preludere a uno sciopero di massa dalle urne elettorali, oppure a un rimescolamento dei bacini elettorali, con effetti a sorpresa sulla consistenza dei partiti maggiori, o anche a fiammate di movimento protestatari o eversivi, ha le sue cause e i suoi responsabili nel sistema politico. Se seguiamo la ricognizione, non necessariamente da subito storica, ma cronistica dei guasti del nostro sistema, ci imbattiamo nella identificazione del ceto dei nostri rappresentanti in una casta. Questo termine indica una condizione arretrata di società immobili nelle loro stratificazioni. Basti pensare alle caste ancora sopravvissute nell’India dei nostri giorni. Come è immaginabile che da libere elezioni in una democrazia moderna nasca una casta?”.