Clementina Forleo, pugno di ferro col borseggiatore: 3 anni per un cellulare

di redazione Blitz
Pubblicato il 28 Luglio 2014 - 10:46 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Un algerino condannato a tre anni e due mesi di reclusione perché sorpreso a sfilare il cellulare dalla tasca di un turista in metro. Una punizione esemplare, ben oltre le aspettative del magistrato inquirente, che aveva chiesto otto mesi, scaturita dal pugno di ferro di Clementina Forleo, l’ex gip di Milano a capo dell’inchiesta Unipol, poi finita sotto procedimento disciplinare da parte del Csm per le sue dichiarazioni ad Annozero, denunciando presunte pressioni da parte di “poteri forti”.

Il caso è riportato da Riccardo Vanna sull’edizione domenicale del quotidiano il Messaggero, che sottolinea come la punizione sia esageratamente severa a dispetto degli altri borseggiatori, spesso rimessi in libertà dopo un processo per direttissima. La stessa Forleo, ricorda il Messaggero, in passato era stata particolarmente clemente con due tunisini accusati di terrorismo internazionale e poi assolti.

IL FURTO La vicenda risale al mese di giugno quando l’imputato, già gravato da precedenti penali per furto, sale su un treno della linea metropolitana e individua tra la folla la sua vittima. L’uomo, un italiano in vacanza nella Capitale, tiene il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni, in una posizione che rende l’apparecchio a portata di qualsiasi borseggiatore. Trovato il momento giusto, l’algerino allunga la mano e cerca di afferrare il telefono ma, appena prova a sfilarlo, si ritrova a dover affrontare la reazione del turista. Esile e piccolo di statura, il ladro viene facilmente bloccato dalla vittima e, grazie anche all’intervento di due allieve carabiniere presenti nello stesso vagone, finisce in manette non appena il mezzo raggiunge la stazione Termini. Qui, l’imputato viene preso in consegna dalla polizia e, a distanza di poche ore, portato davanti al giudice per la direttissima. Un mese più tardi, convalidato l’arresto, arriva l’esemplare condanna.

LA CONDANNA Portato in aula con l’accusa di tentato furto aggravato dal fatto di essere stato commesso con destrezza e su un mezzo pubblico, l’uomo è quasi causa del suo male, perché non accetta il consiglio dell’avvocato d’ufficio e insiste per essere giudicato con rito ordinario invece che in abbreviato. Ascoltati i testimoni e concluso il dibattimento con una richiesta di condanna a otto mesi di reclusione, il giudice si ritira in camera di consiglio. Quando esce e legge il verdetto, il pregiudicato guarda il suo avvocato, sgomento. La condanna è il risultato di un calcolo in base al quale sono state riconosciute solo le aggravanti e la recidiva, mentre sono state escluse le attenuanti. Una sentenza che, essendo di due mesi superiore ai tre anni, obbliga il borseggiatore – senza dimora – a scontare la pena in carcere. «In circostanze simili a quelle in cui si è trovato il mio assistito – ha dichiarato l’avvocato Giuseppe Caparrucci – il nostro ordinamento consente di bilanciare gli effetti della contestazione delle aggravanti con quelli delle attenuanti, ma questo purtroppo non è successo. Ricorreremo in appello».