Drogati di tasse, Barbara Spinelli come Fabrizio Barca per la patrimoniale

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Febbraio 2014 - 08:02 OLTRE 6 MESI FA
Drogati di tasse, Barbara Spinelli come Fabrizio Barca per la patrimoniale

Fabrizio Barca (foto Lapresse)

ROMA – Matteo Renzi, la sua scalata alla poltrona di primo ministro, l’involuzione del Pd in un modello bolscevico sono il tema centrale di un articolo di Barbara Spinelli per Repubblica. Il tono è sofferente, accorato. Poi spunta il vizietto di tutti gli aristocratici di sinistra: la tossicodipendenza dalle tasse, i cui effetti stiamo vivendo oggi tutti sulla nostra pelle.

In questi momenti gli aristocratici di sinistra rivelano la loro vera natura reazionaria. Contestano Margaret Thatcher e Angela Merkel, ma sono più a destra di loro.

La conclusione di Barbara Spinelli è desolante:

“Renzi punta sulla propria lontananza dai giochi partitici, sul successo che gli ha garantito la base. Ma quel che avviene nelle ultime ore rischia di vanificare la sua diversità: il Parlamento costretto a tacere sulle modalità bolsceviche della liquidazione di Letta, il cambio deciso «fuori scena», sono segnali nefasti. Torna alla ribalta la politica, ma impoverita democraticamente”.

“Tornano i partiti”

aggiunge con sconforto riprendendo un tema caro ai fascisti nel dopoguerra,

“mentre i cittadini coi loro rappresentanti stanno a guardare”.

Chi siano i “rappresentanti” dei cittadini non lo spiega: ma se non sono proprio i partiti, chi?

L’attacco dell’articolo è da antologia:

“Per il modo in cui è stata congegnata, per le doppiezze che l’hanno contraddistinta, per i regolamenti di conti con cui s’è conclusa, l’ascesa di Matteo Renzi alla guida del governo ha il sapore di certi cambi di guardia al Cremlino. Un esorbitante partito- Stato si fa macchina di potere, usa i propri uomini come pedine, li uccide politicamente se ingombrano, tradisce la parola data senza spiegazioni.

“Il tutto avviene «a porte chiuse», come nel dramma claustrofobico di Sartre: lontano dal Parlamento, dalla prova elettorale che era stata assicurata, da una società che il partito-Stato non sa più ascoltare senza vedere, dietro ogni cittadino, l’inferno molesto di qualche populismo. La liquidazione di Enrico Letta è avvenuta in streaming, ma sostanzialmente fuori scena: secondo Carmelo Bene, questa è l’essenza dell’osceno.

“Non sarà forse così, Renzi riuscirà forse a realizzare quel che promette: un piano lavoro entro marzo, soprattutto. Ma l’inizio incoraggia poco. Per la terza volta, in un Parlamento di nominati, il Pd designa per Palazzo Chigi un nominato”.

Qui c’è da dire che quanto è avvenuto è esattamente quello che prevede la Costituzione. L’idea che il primo ministro sia eletto dal popolo è una forzatura di Berlusconi, al quale peraltro, fuori dei sondaggi sulla simpatia e sul gradimento, non è mai andato il voto della maggioranza degli italiani; anche Berlusconi godeva del voto espresso in Parlamento da una coalizione formata da Forza Italia, An, Lega e Udc.

Prosegue Barbara Spinelli:

“È già accaduto in passato: basti ricordare il sotterraneo lavorio contro il governo Prodi, nel ’98. E più di recente, in aprile, il tradimento di 101 parlamentari Pd che avevano giurato di votare Prodi capo dello Stato e in un baleno l’affossarono. Colpisce la coazione a ripetere il gesto violento, e a scordare subito i traumi lasciati dalle coltellate. […] Il coltello non è più un incidente. S’è fatto istinto, tendenza innata.

La cosa straordinaria, e solo in apparenza paradossale, è che la macchina del Pd cresce in potenza, man mano che organizza autodafé e perde i contatti con la società.

“Già da tempo ha smesso di identificarsi con la sinistra: parola da cui fugge, quasi fosse un fuoco che scotta e incenerisce. Già da tempo non si preoccupa di parlare in nome degli oppressi, degli emarginati, ed è mossa da un solo obiettivo: il potere nello Stato, attraverso lo Stato. Letta ha preparato il terreno, ma non guidava il Pd. Ora è un capo-partito a ultimare la metamorfosi: l’abbandono della rappresentatività, la governabilità che diventa movente unico, l’oblio della sinistra e della sua storia.

Ovvio che l’istinto a tradire si tramuti in normalità. Può darsi che Renzi cambi l’Italia in meglio, che renda lo Stato addirittura più giusto. Che non si spenga in lui la memoria del consenso popolare ottenuto alle primarie. Ma il come ancora non lo sappiamo, la coalizione è quella di ieri, e la macchia della defenestrazione di Letta gli resta appiccicata al vestito. Difficile dimenticarla”.

[…]

“In Italia la sinistra precipita dalle scale e si ritrova vocabolo non grato. È la vittoria postuma di Bettino Craxi ed è il lascito di Berlusconi, con cui il Pd diRenzi intende riformare la Costituzione. Della grande idea avanzata da Prodi negli anni Novanta — unire il solidarismo universalista cristiano e quello comunista — non resta che brace spenta.

La scomparsa della sinistra non significa tuttavia che siano scomparsi i mali che la giustificarono in passato: la questione sociale è di ritorno, la disuguaglianza di redditi e opportunità s’è estesa in questi anni di crisi.

[…]

“Quel che sconcerta, nella presunta ansia modernista di Renzi, è la formidabile vecchiezza dei modelli prescelti: rifarsi oggi a Tony Blair vuol dire correre a ritroso nel tempo, mettere i piedi su orme che sette anni di crisi hanno coperto di sabbia. Se le disuguaglianze sono aumentate vertiginosamente,se si parla oggi di un 1% della popolazione che continua imperturbato ad arricchirsi e di un 99% di impoveriti (classi medie comprese), lo si deve alle destre più legate ai mercati ma anche alla Terza Via di Blair”.

Il dubbio che la colpa sia anche della dissennata politica dello spettacolo fiscale e della tassazione accanita in corso di recessione non sembra sfiorare Barbara Spinelli.

“L’homo novus di Firenze suscita grandi aspettative, ed è vero quel che dice: leadership non è una parolaccia. Ma fin dalla prime sue mosse, negoziando con il pregiudicato Berlusconi la legge elettorale, il leader ha fatto capire che la rappresentatività è un bene minore. Il suo Pd stenta a mediare fra società e Stato”.

E poi, come dicevano i comunisti una volta dei “rigurgiti fascisti”, ecco il rigurgito delle tasse:

“Difficile dimenticare le parole carpite lunedì a Fabrizio Barca. Il quale grosso modo ha detto questo: «C’è chi mi vuole ministro dell’Economia. Ma per fare che?Per imporre una patrimoniale di 400 miliardi di euro, cosa che secondo me va fatta e però non è nei piani? ».