Evasione Rebibbia, Il Messaggero: “La pista delle faide di quartiere”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Febbraio 2014 - 10:33 OLTRE 6 MESI FA

Evasione Rebibbia, Il Messaggero: "La pista delle faide di quartiere"ROMA – È la prima evasione dalla terza Casa del carcere di Rebibbia. Nessuno finora è fuggito, anche se qui le mura sono più basse e non controllate, per una semplice ragione: la terza casa è l’anticamera della libertà, chi ci arriva si sente un privilegiato rispetto agli altri detenuti.

Scrive Marco De Risi sul Messaggero:

«Custodia attenuata», si chiama così, e vuol dire che i carcerati sono abbastanza liberi di muoversi all’interno di Rebibbia, svolgono varie attività e piccoli lavori. Un trattamento riservato a tossici che hanno intrapreso un percorso di recupero e si sono comportati bene durante la detenzione. Le celle non sono sovraffollate come nel resto del carcere: al momento ci sono 47 persone in una struttura che può ospitarne fino a 80.

Perché Sergio Di Palo e Gampiero Cattini sono fuggiti? Se lo chiedono gli investigatori all’indomani dalla clamorosa evasione. Non erano tanti gli anni per la fine della pena: la condanna di De Palo sarebbe scaduta a settembre del 2018 e quella di Cattini a fine dicembre dello stesso anno. Se li riprenderanno avranno un reato in più sulle spalle e non potranno certo tornare nella terza Casa. «Una sciocchezza» scappare da lì, dice chi si occupa di detenuti.

Cosa li ha spinti allora a farlo? Il bisogno di libertà? Un disagio legato alla loro condizione di tossicodipendenti? O c’è dell’altro? Sono le domande che si stanno ponendo gli investigatori.

L’ipotesi è che sia stato Di Palo a pianificare la fuga e Cattini si sarebbe aggregato. Ragioni serie potrebbero averlo spinto a mettere in piedi il piano. Non sfugge a chi sta indagando sull’evasione che il suo non è un cognome qualunque. La famiglia Di Palo, originaria della Sicilia, da anni è radicata a Tor Bella Monaca dove operano vari clan, tra cui quello camorristico dei Moccia. I De Palo sono temuti nel quartiere, avrebbero un ruolo nell’assegnazione delle case popolari che manovrerebbero anche attraverso estorsioni. L’attività di facciata, quella di ambulanti (la famiglia gestiva un banco a piazzale Clodio) coprirebbe – a quanto rivelano le inchieste sul loro conto – in realtà una serie di affari illeciti, compreso lo spaccio (…)