Finmeccanica, Giuseppe Orsi: “Solo qui i pm decapitano un colosso”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Ottobre 2014 - 12:17 OLTRE 6 MESI FA
Finmeccanica, Giusppe Orsi: "Solo qui i pm decapitano un colosso"

Giusppe Orsi, ex ad di Finmeccanica (LaPresse)

ROMA – Il diario scritto in carcere ha 84 pagine, come i giorni passati in galera. “Un po’ da solo, un po’ con altri detenuti, dipendeva… La cosa più impressionante è che il giorno prima hai a disposizione tutto e tutti, devi decidere se andare a Mosca o a Tokyo, e quando entri lì ti trovi in una gabbia di quattro metri per due, dove devi chiedere il permesso anche solo per farti una doccia, e aspettare il tuo turno”.

Ma l’esperienza del carcerato preventivo, per Giuseppe Orsi, ex presidente e ad di Finmeccanica arrestato e messo in galera il 12 febbraio 2013, non è nemmeno la ferita più lacerante, dopo l’assoluzione dall’accusa di corruzione internazionale “perché il fatto non sussiste”. “Stavo lì dentro, a leggere giornali, a guardare la tv, a sentire gli stessi politici che prima se chiamavo rispondevano, che anzi mi cercavano, e che invece in quei giorni sono in piena campagna elettorale, lei capisce…”.

L’intervista di Paolo Bracalini a Giuseppe Orsi sul Giornale:

Meglio essere colpevolisti.

«Anche Pier Luigi Bersani, che pure mi conosce bene, poteva dire qualcosa in più, tipo “questo Orsi lo conosco, o è impazzito improvvisamente oppure non ci credo sia un corruttore internazionale”. Niente. Allora gli ho scritto una lettera, ma è una cosa privata. La cosa più avvilente era l’impossibilità di comunicare che quello che io stavo leggendo nell’ordinanza non era vero. Vedere in tv il primo ministro indiano che dà per scontata la mia colpevolezza».

Lei come se l’è spiegato?

«Guardi, io credo che in nessuna parte del mondo si sognino di mettere in galera il presidente della più importante industria del Paese se non si hanno motivazioni più che provate. E quindi è molto difficile capire dall’estero che uno possa essere messo in galera senza un processo. Poiché stavo in carcere, fuori dall’Italia pensavano fossi un criminale, e anche pericoloso visto che non potevo uscire nemmeno su cauzione, come prue aveva fatto proprio in quei giorni Pistorius, accusato di omicidio. Lindsay Fox (magnate australiano della logistica, ndr ) parlando con mia moglie al telefono non riusciva proprio a capire perché fossi in galera. Allora ha preso l’aereo, è venuto a Milano dal mio avvocato, per farsi spiegare. Dopo è andato in Duomo, ha preso una cartolina e mi ha scritto: “Italy’s fucked up”».

L’Italia è fottuta.

«Poi in un messaggio ha aggiunto: “Trovo arduo credere che un italiano leale che ha sempre lavorato nell’interesse di Agusta e del Paese possa esser messo in carcere senza una prova contro di lui, per non dire della mancanza di un processo”. Se lei vede l’ordinanza di arresto si legge “Orsi ha pagato, Orsi ha corrotto, Orsi ha fatto…”, tutto il documento dice in modo assertivo che il reato l’ho fatto, il condizionale è solo all’inizio. Tradotto in inglese tutto questo, e distribuito nel mondo, con pezzi di intercettazioni estrapolati dal loro contesto, ha portato le persone, i clienti passati e futuri di Finmeccanica, ad avere perlomeno un momento di sconcerto, a poter pensare che io fossi colpevole e che fossero aziende che corrompevano. Un danno devastante per l’industria italiana, prima ancora che per me. C’è da domandarsi se ci fosse un sufficiente riscontro di prove per causare tanto disastro».

Vuol dire che una Procura dovrebbe avere maggiori attenzioni quando si tratta di un’azienda strategica per il Paese?

«Credo che almeno dovrebbe pensarci bene prima. Si può anche separare la responsabilità personale dal danno che si infligge ad un’azienda decapitandola. Voglio dire, se fossi stato chiamato da un procuratore, convinto di avere le prove della mia colpevolezza, avrei potuto lasciare la carica prima dell’arresto. Una persona dà le dimissioni, la società non soffre il danno».

Danno che, solo rispetto all’India, si è tradotto in 560 milioni di commessa andati in fumo.

«Credo che in India non avessero capito bene che si trattava solo di un’indagine, e non di un fatto accertato. Nella prima parte del processo c’è stata l’istruttoria dell’accusa, e gli indiani erano sconvolti, perché le prendevano non come ipotesi accusatorie ma come dati di fatto. Si convincevano che fossi colpevole. Ritengo che fossero anche irritati dal fatto che uno Stato straniero dicesse che il loro capo di Stato maggiore fosse un corrotto. È comprensibile insomma la posizione del governo indiano».

Il magnate indiano Ratan Tata, però, ha testimoniato in suo favore.

«È venuto apposta a Busto Arsizio per attestare “rispetto e fiducia verso Orsi sia come persona che come manager”. Ho avuto molti attestati di stima e solidarietà da chi mi conosceva dopo quarant’anni di lavoro nel settore difesa.

Il capo di un’azienda come Finmeccanica, se indagato per un reato come la corruzione, ha il dovere di dimettersi o no?

«L’indagato deve confrontarsi col proprio consiglio di amministrazione, che può decidere. Io da indagato non mi sono dimesso, avevo tutto il cda dalla mia, fino all’ultimo, e devo dire che non ho avuto alcuna pressione da parte del governo in quel senso. Anzi, l’allora ministro Passera escluse le mie dimissioni dopo l’avviso di garanzia».

Ma la storia della tangente alla Lega, poi dimostratasi una bufala nel processo, com’è nata?

«Da un giro di persone che ha avuto un danno dalla mia nomina. C’era un risentimento nei miei confronti legato all’interruzione di certi affari che io non consideravo corretti. E quindi la volontà di screditarmi con false accuse» (…)