Giulio Regeni, la frase shock del giornalista egiziano: “Se Polizia lo voleva morto…”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 5 Luglio 2016 - 10:20 OLTRE 6 MESI FA
Giulio Regeni, la frase shock del giornalista egiziano: "Se Polizia lo voleva morto..."

Giulio Regeni, la frase shock del giornalista egiziano: “Se Polizia lo voleva morto…”

IL CAIRO – “Se la polizia lo voleva morto, lo avrebbe messo nel cemento”. A pronunciare questa frase shock parlando dell’omicidio brutale di Giulio Regeni è il giornalista Mustafa Bakry, uno dei più celebri giornalisti egiziani nonché membro della Camera dei deputati. Il giornalista senza nessuna remore ha parlato in diretta tv, spiegando che i corpi dei nemici dell’Egitto e delle persone considerate “scomode” vengono fatti sparire nel cemento. Per questo motivo, secondo Bakry, è impossibile che ad uccidere Giulio Regeni sia stata la polizia. Poi si è scagliato contro l’Italia, “colpevole” di aver bloccato la fornitura di F16 in attesa di risposte sull’omicidio dello studente italiano.

Il Messaggero Veneto scrive che Bakry ha esordito con la frase shock durante la trasmissione “Gli occhi dell’Egitto”, che va in onda in prima serata, e ha tranquillamente ammesso che la polizia egiziana, se avesse ucciso Regeni, ne avrebbe nascosto il corpo e non lo avrebbe certo buttato per strada:

“«Se la polizia avesse ucciso Regeni non l’avrebbe certamente buttato per strada. Ci sono altri modi. Lo avrebbe nascosto. Lo avrebbe messo nel cemento e nascosto, non sarebbe andata a denunciare se stessa».

La trasmissione è andata in onda su Alhadath, il canale egiziano del network saudita di AlArabiya, lo stesso che ospita la trasmissione della giornalista che in passato ha mandato Giulio al diavolo, e l’episodio è stato ripreso dal settimanale L’Espresso.  Tema principale della trasmissione è stato l’emendamento Regeni con cui il Senato italiano ha deciso di bloccare la fornitura dei pezzi di ricambio per gli F16 che l’Egitto ha in dotazione. Una decisione che non è andata giù al Paese arabo ora guidato dai militari.

Bakry l’ha definito «un provvedimento pericoloso che potrebbe portare a conseguenze ancora più gravi». La linea difensiva è sempre la stessa, quella tracciata dal presidente alSisi e percorsa con precisione da tutti i membri del governo. «Le autorità egiziane hanno fatto tutto il possibile, la delegazione che è stata inviata a Roma ha fornito tutte le prove con assoluta trasparenza».

Non è chiaro cosa intenda per tutto il possibile e nemmeno di quali prove parli, vista la negligenza dimostrata dagli inquirenti del Cairo in più riprese. In ogni caso l’opinionista, voce del governo attuale, ha dato il peggio di sé parlando dell’uccisione del ricercatore italiano.

Nel goffo tentativo di assolvere la polizia e gli Interni ha in sostanza spiegato quali sono i modi attuati per fare sparire i dissidenti: «È pensabile che la polizia egiziana uccida Regeni e lo butti per strada vicino a Hazem Hassan? È possibile che lo torturi in questo modo?

Ci sono metodi più innovativi. E se l’avesse fatto, l’avrebbe nascosto. Lo avrebbe messo nel cemento e nascosto, non andrebbe a denunciare se stessa. Il primo che guidava un minibus ha trovato la vittima».
E per concludere ha fornito anche colpevole e movente. «Immagino che sia una mossa in uno scontro tra servizi segreti stranieri. E il signore aveva un lavoro nei servizi segreti. Nel suo hard disk sono stati trovati più di 500mila file».

Il conduttore della trasmissione, Hatem Numan, si è limitato ad annuire confermando e prendendo quasi per scontato tutto ciò che è stato affermato dal suo prestigioso ospite.
Ad avvalorare la versione raccontata dal testimonial del regime ci sono anche i numeri. In occasione del terzo anniversario del golpe militare sono stati pubblicati diversi rapporti delle associazioni dei diritti umani su sparizioni forzate e morti nelle carceri. Numeri da guerra silenziosa. Dove libertà e morte sono separate da un filo troppo sottile.
Dal 30 giugno del 2013, quando è iniziata la protesta che è sfociata in un colpo di Stato, sono morte in prigione 493 persone. L’ultimo decesso risale al 27 giugno: un 54enne gravemente malato è stato abbandonato in una cella.

Non poteva uscirne vivo, e chi lo ha abbandonato lì lo sapeva bene. E uno degli ambienti meno protetti è quello accademico. Secondo alcune organizzazioni per i diritti umani in questi tre anni sono stati uccisi 21 studenti nelle aree universitarie. Quelli arrestati, o scomparsi forzatamente, sono stati invece 1.626. L’attivista egiziano per i diritti umani Abdelrahman Mansour, in questi giorni a Roma ospite dell’associazione Arci, invita l’Italia a «insistere di più sul caso Regeni affinchè ci sia un’indagine trasparente, facendo maggiori pressioni sul governo egiziano e bloccando la vendita di armi».

Intanto al Cairo è stata prolungata di altri 15 giorni la detenzione cautelare imposta a Malek Adly, avvocato e attivista egiziano, indagato per istigazione alla protesta del 25 aprile e per una serie di accuse di sovversione. Il 18 luglio il tribunale di Shubra el Khaima al Cairo deciderà se prolungare o meno la custodia cautelare. La vicenda di Malek Adly, di cui si è interessata anche Amnesty International, era stata segnalata a maggio dai genitori di Giulio Regeni”.